Andrea Agnelli e il monito di suo padre

umbertoVedere la Juve di questi tempi patire gli avversari sul campo è già di per sé un colpo al cuore per ogni tifoso, soprattutto per chi aveva sperato che nella parte finale del 2010 si fossero poste le prime basi per iniziare una difficile riemersione dalle sabbie mobili in cui squadra e società erano sprofondate in questi ultimi anni. Ma il dolore diventa rabbia, anzi incazzatura, nell'osservare le condizioni nelle quali la nostra società, ormai nobile decaduta del calcio internazionale, è costretta ad operare nella finestra invernale del calciomercato. Condizioni in realtà in nulla affatto dissimili da quelle che si erano riscontrate nel mercato estivo, ma questa volta con l'aggravante della stringente necessità di intervenire per allontanare il fantasma della seconda stagione consecutiva fuori dalla Champions League.

La squadra costruita tra non poche difficoltà nel mercato estivo e il lavoro di mister Del Neri hanno portato la Juve forse al di sopra di quelle che erano le prospettive iniziali, ma alla lunga sono emerse le lacune che una rosa work in progress fatalmente aveva e che a fatica l'allenatore era riuscito a colmare dopo un inizio disastroso. Logica vorrebbe che, in un caso del genere, il management venisse dotato di risorse necessarie a porre rimedio almeno ad alcune di esse, se non altro a quelle più stringenti. Invece, noi tifosi juventini ci troviamo di fronte al deprimente spettacolo di una Juve ridotta peggio dell'ultima provinciale, senza un soldo da investire che non sia derivante dalle (sempre più difficili, soprattutto a gennaio) cessioni e costretta a chiedere l'elemosina in giro per l'Italia, in attesa che qualche squadretta medio piccola, impietosita di fronte al vecchio blasone ormai decaduto, ci conceda il prestito (meglio se gratuito) di qualche avanzo della sua rosa.

Vedere una proprietà che rifiuta qualsiasi sforzo economico (nulla di trascendentale eh... pochi spiccioli per lo stretto indispensabile) e rimane insensibile di fronte alla nefasta iattura di rimanere di nuovo ai margini dell'Europa che conta fa rabbia, tanta rabbia. E non fa altro che rafforzare l'idea che non ci possa essere un futuro sportivo degno del nostro glorioso passato finché non saranno rescissi, in tutto o in parte, i lacci e lacciuoli che tengono la Juventus ancorata all'universo Fiat-Exor. E qui entra in gioco la figura del Presidente Andrea Agnelli.

Tra i tanti motivi di speranza che scaturirono dalla sua nomina nel maggio scorso, ce n'era uno che chi scrive teneva lì in un angolino, giusto per non illudersi troppo. Una sua frase (invero un po' criptica) pronunciata nel giorno dell'insediamento, unita al ricordo di quello che era il progetto del suo mentore Antonio Giraudo, mi suscitò la speranza che il Presidente Agnelli si sarebbe adoperato affinché la Juventus si sganciasse, prima o poi, dalla casa madre Exor e proseguisse con la sue gambe e con l'aiuto di quegli investitori che avrebbero trovato affascinante (Giraudo, prima di essere defenestrato, forse qualcuno ne conosceva...) l'avventura di legare il proprio marchio al nome della società più amata d'Italia e tra le prime d'Europa per seguito e palmarès. D'altronde, mi dicevo, Andrea sicuramente avrà ben presente il vecchio monito che soleva ripetere suo padre: "Se devi fare una cosa, assicurati di avere le condizioni per farla bene". Pensavo: Andrea non avrà accettato di prendere in mano il timone della Juventus senza portafoglio e senza nemmeno la garanzia di potere prima o poi operare per trovarne uno suo.
D'altronde, quando suo padre riprese in mano le redini della Juve nel '94 era sì nella condizione di dover chiudere i rubinetti dell'allora Ifil ("Non c'è una lira e bisogna vincere", disse al suo uomo di fiducia Antonio Giraudo), ma se non altro andò sul sicuro prendendosi i due migliori manager possibili, sul piano economico finanziario e su quello sportivo. Andrea Agnelli, dal canto suo, pare essere costretto alle stesse ristrettezze economiche di allora, ma senza poter contare sulla genialità di due "mostri" come Giraudo e Moggi, bensì facendo affidamento solo sulle capacità di Marotta (che se la cava, però insomma...) e di un Blanc, ereditato dalla precedente gestione, del quale ancora non si capiscono i reali contorni operativi. Senza offesa, ma il paragone è impietoso.

Queste amare riflessioni lasciano il campo ad una piccola, tenue speranza: che i tempi non siano ancora maturi, ma che sia comunque in cantiere un'operazione che possa mettere la Juve nelle condizioni di guardare al futuro con serenità e con le giuste risorse, come aveva in mente Giraudo prima che qualcuno decidesse di fargliela pagare. Risorse che non siano solo quelle (ad oggi molto incerte come quantità e tempistica) che deriverebbero dal nuovo stadio entrato a regime, ma che derivino da un assetto proprietario capace di sfruttare al massimo le sinergie positive che possono derivare dallo sfruttamento di un marchio dalle altissime potenzialità come quello della squadra più gloriosa e seguita d'Italia. Cosa che Exor, con tutta evidenza, non vuole o non può o non è interessata a fare.
Insomma, vogliamo ancora coltivare la piccola speranza che Andrea non abbia fatto il passo più lungo della gamba e, soprattutto, abbia tenuto conto del saggio monito del suo indimenticato papà.