Tu dici "Heysel"...

heyselPubblichiamo il ricordo e le considerazioni di un affezionato lettore, presente 25 anni fa allo stadio Heysel di Bruxelles.

Un nome, una storia, una tragedia. Esistono parole che ne contengono mille, centomila. Tu dici “Vajont” , “Hiroshima”, “Chernobil” e non devi aggiungere altro. Heysel, appunto.

Ho sentito le più grandi stupidaggini su quella notte, sulla partita, sugli hooligans. Ovviamente da parte di chi non c’era, perché è molto facile parlare dalla poltrona di casa, quando in “prima linea” c’erano gli altri. La più grande bischerata è quella di sostenere che la partita non andasse giocata.

Credo che in determinati momenti i calciatori riescano ad isolarsi dal contesto, soprattutto non avendo ancora interamente percepito le reali dimensioni della tragedia. La Juventus non ostentò quel trofeo del quale parlano con onesto e sincero pudore i dirigenti e i giocatori di allora. Ma non sopporto chi si arroga il diritto di censurare una breve esultanza che era un gesto di scarico - caldamente consigliato dai dirigenti UEFA, come recentemente ricordato da Prandelli - e anche di ringraziamento per quelli come me che avevano fatto 1500 km in pullman per seguire la sua squadra.

La Juventus ha pagato anche troppo per quella serata: prima con il dolore per 39 CADUTI, poi con le condanne morali dei soloni pronti a sciorinare il loro ipocrita repertorio da sacerdoti del senno di poi. E assolutamente disgustoso fu il falso perbenismo di quegli 'sportivi' che si dissero indignati per le (rare) manifestazioni di gioia dei fans bianconeri in Italia, ma erano pronti a battezzare 'Via Liverpool' le strade della penisola e a scendere in piazza con clacson e bandiere se la Vecchia Signora avesse perduto. Bisogna sottolineare, altresì, il comportamento irreprensibile nella forma e doveroso nella sostanza dello staff juventino al ritorno a Caselle, tutti scapparono in fretta dalle loro famiglie rifuggendo qualsiasi celebrazione. Segnalo sull'argomento l'ottimo libro di Nereo Ferlat 'L'ultima curva - la tragedia dello stadio Heysel' , (mentre trovo pretestuoso Caremani) e riporto cosa scrisse Giglio Panza sul 'Tuttosport' del 5 giugno1985: "Il giorno dopo che la squadra aveva adempiuto stoicamente al dovere che le era stato imposto, riuscendo anche a vincere, ecco scatenarsi la demagogia, l'orgia della retorica, la voglia di colpevolizzare tutto e tutti, perfino i giocatori juventini che erano andati a salutare i tifosi obbedendo a un sentimento di gratitudine....".

Io rammento bene il clima che si stava creando nei settori M/N/O, cioè la curva opposta a quella degli scontri, quando si sparse la voce - eravamo nel secondo tempo del match - che “c’era qualche morto”. Ricordo l’appello del povero Gaetano Scirea ( ...”Stiamo giocando per voi”) e di Phil Neal, che poi scrisse al capitano bianconero queste parole:

“Caro Scirea,
sono un calciatore professionista. Come te. Non sono un politico, o un diplomatico, o un uomo di legge. Non so scrivere quei discorsi pieni di delicate parole che esprimono il dolore ufficiale e la tristezza di una nazione e in questo caso di una organizzazione come il Liverpool Football Club. Sono soltanto un uomo comune. Posso assicurarti che ho pianto spesso da quando sono tornato da Bruxelles. Mia moglie e la mia famiglia possono dirti che persona triste e sconsolata sia diventato nell’ultima settimana. Ho persino pensato di ritirarmi dal calcio e di non avere più nulla a che fare con questo sport. Molti di noi lo hanno fatto. Mi sono troppo divertito in tanti anni di attività per poter stare a guardare il calcio inglese che finisce nella spazzatura. Ho lottato e cacciato e spinto e avuto da dire con Franco Causio nel nome della Coppa del Mondo. Gli ho stretto la mano, ci siamo abbracciati e scambiati le maglie. La sua l’ho portata ai miei amici italiani che vivono a Liverpool.
Non sono più così sicuro che lo spirito col quale abbiamo giocato quella partita bellissima possa sopravvivere, resistere al comportamento di una minoranza di spostati che hanno distrutto la nostra grande notte allo stadio Heysel. Noi due eravamo nello stesso box, abbiamo usato lo stesso microfono per invocare la calma, per pregare che la nostra partita e il nostro calcio avessero un futuro. Oggi sono solo e chiedo a te e agli italiani di perdonare, di avere pazienza, mentre noi lavoriamo per salvare il nome del calcio, qui in Inghilterra.”

Nelle frasi del capitano “red” tutto il senso di colpa, di vergogna di una nazione, di un club, dei suoi tifosi. Prova a spiegare, oggi, che le bandiere della Juve, gli stemmi bianconeri cuciti sui giubbotti dei “koppities” non sono trofei di guerra, ma il segno di un particolarissimo “gemellaggio etico”, se così possiamo chiamarlo. Come se volessero dirci: lo sappiamo, stiamo ancora espiando. Ricordo il pudore e l’imbarazzo del mio vicino di posto, nel mio “debutto” ad Anfield nel 2001, quando chiacchierando gli dissi che “I was there...” . Pochi, in Italia, capiscono.

Gli hooligans. I teppisti. La feccia. I supporters britannici in generale, additati al pubblico ludibrio.

Un'alluvione di luoghi comuni superficiali e tonnellate di demagogia.

La “giustizia” dell’UEFA. Una giustizia pusillanime, vigliacca. Con una lunghissima coda di paglia dimostrata persino 15 anni dopo, agli Europei del 2000, quando i parrucconi del Comitato Organizzatore osteggiarono qualsiasi commemorazione proposta dalla Nazionale italiana davanti alla lapide nel nuovo stadio “Re Baldovino”. Poi Antonio Conte e Paolo Maldini andarono ugualmente a deporre dei fiori.

Juventus a porte chiuse i primi due turni europei dell’anno successivo. Perché? Me lo spieghino. E niente Supercoppa Europea con l’Everton per il bando ai club di Sua Maestà. La Juve poteva almeno giocare contro il Rapid Vienna, la finalista sconfitta. Niente. Mah. Prima fanno disputare finali europee con larghissimo seguito di pubblico in impianti ridicoli, fatiscenti, pericolosi, con otto poliziotti a cavallo: poi cercano di lavarsi la coscienza col pugno di ferro.....E nessuno di loro ha pagato, né pagherà. Vorrei qui trascrivere alcuni passaggi dell’editoriale di Italo Cucci, dal Guerin Sportivo del 5 giugno 1985.

“...Avere negato al calcio inglese il contatto con l’altra Europa è come aver assegnato a quei fanatici una medaglia. Semmai dovevano punire soltanto il Liverpool, oggettivamente responsabile dei suoi “animals”; il ritiro del “passaporto” all’Everton e agli altri club riporta indietro non solo tutta l’Europa calcistica ma anche quel grande paese sognato che doveva sorgere sull’abbattimento dei confini e dei nazionalismi (....) non per mero idealismo ma per amore di una sicura fratellanza fra i popoli. Le lacrime dei ragazzi di Fagan nella cattedrale di Liverpool sono vere come quelle che noi abbiamo versato per le vittime dell’Heysel. Mi sento anche di respingere il ruolo di giudice assegnatosi dall’UEFA. Se la mano omicida è stata quella degli “animals” di Liverpool, la mente idiota che ha favorito il massacro è senza dubbio quella dell’ente calcistico europeo affidatosi alla federazione belga senza pretendere il controllo della sua organizzazione, apparsa colpevole fin dalla lontana vigilia, quando ha saputo interpretare soltanto un ruolo burocratico, mancando d’intelligenza e di ogni forma di prudenza. Mentre il signor Millichip, presidente della federazione inglese, comunicava la dura decisione di ritirare le proprie squadre dalle competizioni europee, l’intero gruppo dirigente dell’UEFA doveva dimettersi, imitato dalle autorità calcistiche e dai responsabili dell’ordine pubblico del Belgio. Tutti costoro – ripeto – sono più colpevoli della strage di Bruxelles di quanto lo sia il calcio inglese. In Italia questo doveva essere preteso, dai governanti del calcio come da quelli del Palazzo; si è invece preferito moraleggiare sul piccolo e stupido trionfo improvvisato allo stadio dei giocatori della Juve, sicuramente stravolti dalla terribile vicenda di cui erano stati testimoni.(....) Piuttosto che rivolgersi ai veri colpevoli della strage pretendendo giustizia, si è preferito infierire su chi era andato a cogliere un trofeo nell’Heysel. Resti pure, quella Coppa dei Campioni, tra i trofei della Juventus: certo non le darà nuova gloria o felicità. Speriamo invece che le dia l’energia, la determinazione sportiva di riconquistarla fra un anno: solo una coppa così, più vera, potrà essere dedicata al piccolo Andrea Casula e agli altri trentuno italiani che non sono più tornati dallo stadio di Bruxelles e sono stati portati sul freddo marmo di un obitorio coperti di bandiere e di sciarpe bianconere.”

Eppure, mi sembra che il 29 maggio 1985 sia passato invano. Nel 2005, quando giocammo ad Anfield, fummo accolti da una bellissima coreografia, ma gli ultras esportati per l'occasione si girarono di spalle col dito medio alzato. Non solo, ma all'aeroporto disdegnarono il saluto del sindaco e del console italiano a Liverpool, non capendo che un conto è il dolore, un conto è l'inciviltà. Italiani e inglesi non possono, non devono sentirsi nemici. Il popolo dei Reds, scontato l’embargo e le più pesanti condanne morali, è sempre lì, a sostenere i suoi undici campioni, a urlare “You’ll never walk alone” dalla Kop. Invece noi abbiamo dato una brutta immagine quest'anno a Torino, e non abbiamo imparato dal passato come hanno fatto oltre la Manica. Dobbiamo ammettere che Capello e Ancelotti su questo aspetto hanno ragione.