Delusione Messi? Mah...

E' partito il coro dei sedicenti opinionisti. I media italiani compatti a sentenziare: "Fallimento Messi", "Messi nemmeno avvicinabile a Maradona", etc. Gli eventi del passato sono evidentemente avvolti da un'aura di leggenda.
In generale, la sconfitta dell'Argentina è la rivincita di tutti coloro i quali erano e sono fans di Maradona, che avrebbero visto nel successo mondiale dell'albiceleste una sciagura per le proprie più intime passioni. Si sarebbero aggrappati alla mancanza di leadership e a chissà cos'altro.
Quello che è certo è che Messi vive da sempre con il fucile puntato e le astruse sentenze di chi ricorda le gesta leggendarie di Maradona, come se Diego avesse vinto 10 campionati nazionali, 10 coppe dei campioni, quattro mondiali e persino la Milano-Sanremo.
Tanto per intenderci, Maradona aveva Burruchaga e Valdano, oro puro rispetto a quelli che circondavano Messi. Il più buono (Di Maria) che aveva l'Argentina oltre a Messi si è fatto male. Quindi, "gabbietta" sulla pulce, Argentina bloccata.
Nessuno ha mai vinto niente da solo. Mai. O forse uno c'è stato, ma non fu Maradona. Si chiamava Platini, 9 gol nell'Europeo 1984 in 5 partite. Ma anche lì, senza l'assist di Tigana in semifinale, nemmeno Michel avrebbe potuto vincere la partita da solo.

E il Mondiale del 1986?
L'Argentina era una squadra con un fuoriclasse e un manipolo di duri strappati alla strada (in senso figurato, s'intende). Nel girone di qualificazione pareggiarono contro di noi (gol di Diego con complicità pesante di Giovanni Galli) e sconfissero Corea e Bulgaria. Un girone senza infamia e senza lode.
Le favorite del torneo erano, nell'ordine:
1) la Francia, il "Brasile d'Europa", reduce dal titolo europeo del 1984 e dalla semifinale del 1982 persa malamente contro i tedeschi. I bleus, con Platini sofferente ai tendini e all'ultima passerella in un grande torneo e l'emergente Papin a colmare la decennale lacuna del centravanti, erano considerati i principali favoriti. Si squagliarono contro la solita Germania in semifinale, in una partita stregata decisa dall'errore del loro portiere Bats e dai tanti errori sottoporta degli attaccanti, Platini compreso.
2) la Danimarca, la "Danish dynamite", una squadra favolosa che strapazzò l'Uruguay e una Germania Ovest che, pur se incerottata, riuscì poi invece ad arrivare in fondo.
3) il Brasile sperimentale, reduce dalla rifondazione post 1982, con alcuni grandi campioni ereditati dalla delusione spagnola (Socrates, Falcao, Junior e Zico) e finalmente un centravanti (Careca). Era il Brasile di Julio Cesar (il nostro), Alemão, Branco e Müller, eliminato ai rigori dalla Francia dopo una partita incredibile e ricordata per gli errori dal dischetto di Socrates, Platini e appunto Zico. Mai tanto talento sprecato in una stessa partita.
Le grandi sensazioni del Mondiale furono: la già citata Danimarca, squadrone pieno di talento ma dallo spirito naif (agli ottavi passò in vantaggio e, in situazione di totale controllo snobbò la Spagna: finì travolta da 4 gol di Butragueño) e l'Unione Sovietica del colonnello Lobanovski, in pratica la Dinamo Kiev con la maglia dell'Urss.
Il "calcio del 2000", ritmi indiavolati e giocate a velocità supersonica. Sembravano dei mostri: Zavarov, Yakovenko, Kutznetsov, Yaremchuk e Belanov, vincitore (immeritato) del Pallone d'Oro 1986 e famoso più per essere stato coinvolto qualche anno dopo in un traffico illecito di pellicce fra Urss e Germania, dove giocava. Più i vecchi Demianenko e Blochin, il miglior calciatore ucraino di sempre almeno fino all'arrivo di Sheva.
I sovietici distrussero l'Ungheria di Detari con un 6-0 (che poteva essere anche 12/13-0), pareggiarono contro la Francia, che con esperienza riuscì a limitare i danni contro quegli assatanati, e liquidarono la pratica Canada con un secco 2-0. Agli ottavi andarono in vantaggio due volte sul Belgio, e poi persero ai supplementari. La stessa fine della Danimarca.
L'Argentina partì a fari spenti, anche perché guidata da un giocatore straordinario ma che all'età di 26 anni aveva vinto solo il torneo dei bar della Boca. Maradona toccò l'apice della carriera trovando la sua ribalta al Mondiale messicano. Dopo aver eliminato l'Uruguay con un gol di Pasculli (appena retrocesso in B col Lecce, altroché Palacio, Higuain e Agüero), el Pibe fece quel che sappiamo con Inghilterra e Belgio. In finale non la vide, salvo trovare un suggerimento per Burruchaga che, a differenza di Higuain e Palacio, si presentò davanti a Schumacher dopo sessanta metri di corsa palla al piede e freddò facile facile il (quasi) killer di Battiston.
Il Mondiale dipende dalla fortuna più di ogni altra manifestazione. Ci sono giocatori straordinari che nemmeno lo hanno giocato, altri che l'hanno perso in finale, altri ancora che la finale non l'hanno neppure mai sfiorata.

Affermare la superiorità di questo o quello nei confronti di quell'altro ancora è un esercizio sterile, che lascia il tempo che trova. Perché ogni epoca è figlia del contesto nel quale si sviluppa il gioco. Ecco perchè Rod Laver non può essere ritenuto in assoluto superiore a Federer o a McEnroe, o a Sampras.
Arthur Friedendreich, Peppino Meazza, gli uruguagi Scarone e il successivo Schiaffino, i primi maestri inglesi e i danubiani giocavano un calcio moderno per l'epoca, e nessuno può dire cosa sarebbe successo al giorno d'oggi se questi signori fossero scesi in campo al posto di Messi o Ronaldo.
Da ragazzini sentivamo discutere i "grandi" su chi fosse il migliore fra Di Stefano e Pelé. Per i brasiliani era meglio Pelé, per gli argentini e gli ispanici in genere la preferenza andava a Di Stefano. E si parlava ancora poco di un terzo assoluto fenomeno, che in quegli anni spadroneggiava: Cruijff, che, se guardiamo i riflessi filmati batte Pelé e Di Stefano nettamente quanto a incisività. Però Cruijff ha giocato solo dieci secondi della finale del Mondiale 1974: quelli iniziali nel quale si portò a spasso Berti Vogts finendo con l'essere steso in area da Grabowski. Solo per questo particolare Cruijff non meriterebbe di stare al livello di questi signori?

Poi è arrivato Maradona, con un indubbio vantaggio rispetto a tutti gli altri: giocatore da Nazionale più che da club, e in questo somigliava a Pelé. Pelé in Europa non ci è mai venuto, ha preferito rimanere al Santos vincendo due Libertadores da giovanissimo in una squadra forte (7/11 del Santos erano stati campioni del Mondo nel 1958 e nel 1962) e poi, rimasto solo, ha vinto più nulla se non con la Nazionale. Una Nazionale forte, quella del 1970, quella della linea d'attacco con 5 virtuali numeri 10.
Maradona ha giocato in un club di primo livello (il Barcellona) e ha fallito. E' dovuto venire a Napoli per potersi comportare da reuccio, con la sua corte dei miracoli cui tutto era concesso. Gli hanno costruito una squadra competitiva a livello nazionale (Giordano, Bagni, Ferrara, Carnevale, Alemão, Careca, Francini, Crippa, De Napoli: tutta gente che ha giocato e vinto tanto e non solo a Napoli, tutti stabilmente nel giro della Nazionale). In Europa, tolta una Uefa nel 1989 (e sorvoliamo sul modo nel quale il Napoli passò i quarti a spese della Juve), di Maradona non si hanno tracce.
Il successo e la figura di Maradona nell'immaginario collettivo sono spesso legati a contesti che con il calcio hanno a che fare molto relativamente. Maradona simbolo di un popolo che usciva dalla dittatura dei generali, Maradona che sconfisse l'Inghilterra con la "mano de Dios", a pochi anni dalla fine della guerra persa con gli inglesi per il controllo delle Falkland/Malvinas. Maradona genio e sregolatezza, simbolo dell'incoerenza: da fervido credente e praticante a cocainomane, marito infedele e ateo "da quando è morta mia madre non credo più a Dio". E poi, la figura del Maradona capopopolo degli oppressi contro i potenti, figura romantica ma fuori luogo e decisamente non credibile. Nel giudicare l'immenso Maradona conta più il sentimento dell'obiettività.

Poi Platini, che ha vinto scudetti e coppe, anche con la Nazionale, in quel famoso e stradominato Europeo del 1984. Zico non ha mai vinto un Mondiale, eppure quando lo abbiamo visto in Italia, a Udine e già trentenne, ci ha spiegato che tipo di giocatore fosse. Lo stesso discorso vale per Marco Van Basten, finito troppo presto ma sovrano dell'Europeo 1988, il prototipo del calciatore moderno: attaccante a tutto campo dal fisico da corazziere e l'agilità di un brevilineo. Poi Ronaldo, Zidane e Messi.
L'ultimo della compagnia ha fatto e fa normalmente cose che Maradona faceva (senza la stessa prolificità) nel momento più fulgido della sua carriera. Il discorso fatto per i campioni del Paleozoico vale anche per oggi, ma, se è vero che oggi i campioni sono più tutelati rispetto al passato, è anche vero che i ritmi odierni (preparazione atletica, velocità di esecuzione, preparazione tattica) difficilmente potrebbero essere mantenuti da uno che non si allena. Come usava fare Maradona.

L'Argentina del 2014 ha fatto 7 gol: 4 di Messi, un'autorete su punizione di Messi, un gol di Di Maria su azione e assist di Messi. Unico gol nel quale Messi non è entrato, quello di Higuain al Belgio. Ok, Messi non sarà stato al top (pare abbia vomitato anche in finale, ma non cerchiamo giustificazioni), ma l'Argentina di Diego di gol ne segnò 14, e tipi come Valdano, Burruchaga, il barbuto Batista e persino quel "bastardo" di Ruggeri in questa Selecciòn non c'erano.
Solo con l'aiuto di Di Maria - finché c'è stato - e la garra di Mascherano arrivare anche solo in finale è stato un mezzo miracolo. Aver conteso il titolo ai tedeschi pieni di talento è stata un'impresa. E l'Argentina è stata in gara fino al minuto 113, contro una squadra decisamente più forte, una squadra che aveva tanti giocatori in grado di risolvere la partita a proprio favore.
E fino ai quarti ce l'ha portata Messi. In semifinale, sono andati ai rigori dopo che Van Gaal gliene ha piazzati attorno tre. In finale, non ha fatto scena muta: ha avuto un'occasione e l'ha chiusa 20 centimetri troppo. L'Argentina, il Mondiale lo ha dimostrato, se non segna Messi è il nulla, o quasi.
Il Mondiale conta, certo, ma è un torneo talmente strano che non può essere un metro di giudizio insindacabile. Perché un Mondiale può essere deciso anche da un gol di Goetze, uno di Iniesta (tra l'altro, viziato da fuorigioco)... e, udite udite, perfino da uno di Materazzi.