Verso i mondiali /2

Uruguay, prima parte.

Se guardate lo stemma della Nazionale dell'Uruguay vi accorgerete subito che include ben quattro stelle, come l'Italia, pur avendo vinto solo due Mondiali. No, non è frutto di nessuna Calciopoli uruguayana, né di un Guido Rossi ante litteram: molto semplicemente, oltre alle due coppe Rimet, l'Uruguay considera anche le sue due medaglie d'oro olimpiche. L'Uruguay infatti, oltre ad aver vinto (e organizzato) il primo Mondiale della storia, ha vinto anche le prime due medaglie olimpiche della storia di questo sport, nel 1924 a Parigi e nel 1928 ad Amsterdam, entrambe prima che venisse organizzato dalla Fifa il primo Mondiale della storia, che si disputò proprio in Uruguay nel 1930. Ma al di là di questa curiosità, la cosa che conta è che questi tre successi su scala planetaria testimoniano la supremazia di questa nazione nella prima metà del secolo scorso. L'Uruguay infatti rimase la Nazionale sudamericana più titolata fino al 1962, prima di essere raggiunta e scavalcata dal Brasile e, successivamente, anche dall'Argentina.
 
Oggigiorno il calcio sudamericano è dominato da queste due grandi rivali ma, nei primi decenni di vita del "futbol", l'acerrima rivale dell'Argentina era proprio la Celeste, che non di rado aveva la meglio sugli avversari, specialmente quando la posta in palio era alta. Oltre alle ricorrenti sfide per la supremazia continentale nel Campeonato Sudamericano (l'odierna Copa America), restano nella storia la finale per l'oro ad Amsterdam 1928 e la finale del Mondiale 1930 giocata allo Stadio Centenario di Montevideo, che videro vincente, entrambe, l'Uruguay. Un dominio che durò circa mezzo secolo e che in teoria si sarebbe dovuto interrompere nel 1950, col passaggio di consegne all'emergente potenza calcistica brasiliana. Ma che il destino, una squadra e un uomo decisero di rimandare.
 
64 anni fa, come oggi, il Mondiale si disputò in Brasile, e dunque parlando dell'Uruguay il primo pensiero non può non andare a quella partita del 16 luglio 1950, quel Brasile-Uruguay che passerà dalla storia alla leggenda con il nome di "Maracanazo". Ogni campionato del Mondo è speciale a modo suo, ma quello del 1950, non solo per il suo epilogo, fu assolutamente unico per diversi aspetti. Ma andiamo con ordine: dopo quella del 1938 la coppa Rimet non si era più giocata a causa dell'esplosione del secondo conflitto mondiale. Quando la Fifa decise di organizzare il primo torneo dopo la guerra gli stati Europei versavano dunque in condizioni critiche, il che restrinse il cerchio delle candidature al solo Brasile, che peraltro non risparmiò sugli investimenti: nel 1948 partirono i lavori per la costruzione del più grande stadio del mondo, il Maracanà, ultimato neanche due anni dopo. All'epoca il Brasile non aveva vinto mai vinto la Coppa Rimet: l'organizzazione del Mondiale del 1950 rappresentava l'occasione del riscatto, la possibilità di portare la Nazionale, dopo lunghi anni finalmente competitiva, alla ribalta planetaria.
 
La prima stranezza riguardava la formula: Brasile 1950 è ad oggi l'unico Mondiale in cui non si è disputata una finale. Le 16 squadre partecipanti infatti furono divise in 4 gironi: le vincitrici si sarebbero poi affrontate in un ulteriore girone all'italiana la cui classifica finale avrebbe decretato la squadra campione. Ma siccome un Mondiale senza una finale è una cosa impensabile, il Fato, la Storia o semplicemente il caso si misero di mezzo, venendo a creare una situazione simile a quella della Liga quest'anno: le prime due che si affrontano all'ultima giornata, con due risultati su tre a disposizione della squadra di testa. Una specie di "finale non-finale" che, come già detto, sarebbe passata alla leggenda rispetto ad altre finali propriamente dette.
 
Altra peculiarità in fase di organizzazione furono le squalifiche, che ridussero il numero di partecipanti da 16 a 13. In particolare Wikipedia riporta il caso curioso dell'India, cancellata dal tabellone in quanto i propri giocatori erano soliti giocare a piedi nudi, pratica vietata dal regolamento ufficiale della Fifa. Il risultato di queste squalifiche probabilmente rivelava già la squadra prescelta dal destino: due di queste infatti erano nel girone dell'Uruguay il quale, anziché dover affrontare tre partite come le altre, si giocò agevolmente la qualificazione al girone finale in una partita secca, e di certo non proibitiva, contro la Bolivia. Poco più di una formalità, un rotondissimo 8-0 che servì quasi più da riscaldamento prima che il Mondiale entrasse nella fase più calda.
 
E le altre? I padroni di casa del Brasile, favoritissimi annunciati, incontrarono più difficoltà del previsto. Dopo la partita d'esordio, in cui triturarono la vittima sacrificale di turno, il Messico, per 4-0, i brasiliani furono fermati sul pareggio 2-2 dalla Svizzera, nell'unica partita che la Nazionale ospitante giocò lontano dal Maracanà, al Pacaembu di San Paolo. Probabilmente fu questo fatto che, unito alle assenze, fece considerare quel pareggio un incidente di percorso, piuttosto che un vero e proprio campanello d'allarme. Indietro di un punto rispetto alla Jugoslavia capolista, fu proprio contro i balcanici che i padroni di casa si dovettero giocare la qualificazione nell'ultima partita del girone. Che si disputò, neanche a dirlo, al Maracanà, di fronte a 150.000 tifosi, ovviamente tutti brasiliani. Non ci fu nulla da fare per la Jugoslavia: il Brasile trascinato dai suoi campioni e soprattutto dal fattore campo, che negli anni '50 aveva tutt'altra importanza rispetto ad oggi, s'impose per 2-0 con gol di Ademir, bomber del Vasco Da Gama, che viveva i suoi anni d'oro in quel periodo,  e del fenomeno vero della squadra, Zizinho, idolo d'infanzia di un certo Pelé.
 
Le grandi favorite degli altri due gironi erano Italia e Inghilterra. E anche qui le sorprese non mancarono: furono infatti entrambe eliminate rispettivamente da Svezia e Spagna. In realtà per gli azzurri fu un insuccesso non del tutto inaspettato. Poco più di un anno prima la tragedia di Superga aveva portato via gran parte dei titolari della Nazionale, che giocavano naturalmente nel Grande Torino. Come se non bastasse ,è ben noto alle cronache che l'onda lunga di quella tragedia spinse i dirigenti della Federazione a far affrontare la trasferta intercontinentale alla squadra in nave anziché in aereo. il risultato fu un viaggio massacrante di tre settimane, in compagnia dei turisti ovviamente, e col dettaglio non trascurabile di non potersi allenare, in quanto la storia ci dice che dopo pochi giorni tutti i palloni erano già finiti in acqua. Nonostante tutto gli azzurri vendettero cara la pelle, finendo un solo punto dietro la prima classificata Svezia, perdendo lo scontro inaugurale proprio contro gli scandinavi per 3-2, pur inseguendo il pareggio fino alla fine.
 
Ben più epocale fu la deludente figura degli inglesi, i maestri del "Football", che per la prima volta si erano degnati di partecipare alla Coppa del Mondo, dopo aver snobbato le prime tre edizioni. E il destino non perse tempo per presentar  loro il conto per quell'affronto, un conto salatissimo. Dopo aver battuto agevolmente il Cile, il loro programma prevedeva di fare a polpette gli Stati Uniti, prima di giocarsi la qualificazione nello scontro diretto con la Spagna. Ora, se non ci fosse stato quel Brasile-Uruguay, a passare alla storia come la grande "tragedia del calcio" sarebbe stato quell'Inghilterra-Stati Uniti, vinta per 1-0 dagli USA, una squadra amatoriale che aveva dovuto addirittura lasciare alcuni giocatori in patria per questioni di permessi di lavoro, contro gli inventori del calcio, gli dei che per la prima si erano degnati di scendere dall'Olimpo per poi farvi ritorno con le ossa rotte. La storia vuole che addirittura, il giorno dopo la sconfitta, in terra d'Albione il risultato fosse stato interpretato in un primo momento come un errore di trasmissione: no, era tutto vero, avevano vinto gli Stati Uniti. Un disastro epocale che fortuna volle, per l'Inghilterra, fosse oscurato solo dalla ancor più clamorosa disfatta del Brasile.

continua...