Torino, provincia di Juventus - Al bar "Motta"

Cosa volete che facessi a 21 anni? Andavo a ragazze. E se c’era l’università di mezzo... semplice: andavo a ragazze all'università! Tra una lezione e l'altra, da un’aula all'altra, profittando del tanto atteso quarto d’ora accademico, quattro passi si facevano in versione “mista” e gli esemplari di fauna femminile di livello non mancavano. Saranno carine e belle le ragazze odierne, ma anche le nostre non scherzavano! Quando poi ti porti in giro i tuoi vent'anni in maniera discreta e con un’aria da “venghino belle totine venghino”, non ci vuole l’aspersione con l’acqua santa per incrociare uno sguardo facilmente leggibile sul volto di qualche fanciulla. Così, senza fare il saltimbanco propiziatorio, avevo fatto colpo su un paio, no, una terna (gli arbitri non c’entrano!), di giovani virgulti.

Scusa eh! Ma tutto sto panegirico, che c’entra col calcio? C’entra, eccome! Era il 1977 e solo la data, per i miei coetanei torinesi e tifosi, non importa di  che sponda, fa sobbalzare sulla poltrona. Era una primavera luminosa e stranamente poco piovosa, quello che ci voleva per risvegliare gli ormoni; il pieno di sole al Valentino, dopo pranzo, era un’abitudine irrinunciabile: bastava attraversare corso Massimo d’Azeglio (corso Massimo per noi torinesi discendenti dai celti, e quindi portati ad abbreviare tutto, come gli inglesi!) ed il gioco era fatto.

L’anno prima un Toro tremendista aveva approfittato di una bambola della Juve a Cesena, per iniziare una rimonta bestiale, con derby di mezzo e vittoria finale da tramandare di generazione in generazione. D'altronde si sa che i torinisti sono per le vittorie... epocali! Questo allora i granata non lo sapevano e, avendo prenotato già il primo posto per i futuri 4 campionati, la stagione in oggetto li vedeva partire a razzo, ma con la Juve di Boniperti (che non perdonò mai ai giocatori il brutto scherzo dell’anno prima) e Trapattoni, fresco fresco da Cusano Milanino, alle calcagna. Un anno da non riuscire a descrivere, ma solo da vivere: ed io lo stavo vivendo! Punto a punto, domenica dopo domenica, le due squadre torinesi si contendevano lo scudetto e la città con esse. In quell'anno nascevano amicizie e tante si disfacevano, professori e studenti, operai e capi-reparto, impiegati e dirigenti, senza più un vero e proprio ruolo, se non essere granata o juventini.

Il venerdì che precedeva l’ultima giornata, Angela mi disse: “Perché non ci troviamo in via Roma a festeggiare?” Il suo volto smagliante era tutto un programma ed io: “Ci troviamo a partita finita davanti al bar Motta”. Il bar Motta! Luogo di appuntamento di migliaia di coppie... che magone, vedere il susseguirsi di anonimi negozi di abbigliamento, là all'angolo di piazza Castello e via Roma. Non eravamo sicuri dello scudetto, ma della festa sì! Ci aveva pensato “La Stampa” al battage unificatore delle tifoserie cittadine al motto di ‘comunque finisca è la vittoria di Torino città, comunque finisca tutti in piazza San Carlo, tutti insieme’. “Viene anche Lucetta a casa mia, in piazza Vittorio (sarebbe Vittorio Veneto, ma vedasi corso Massimo), usciamo e veniamo al bar Motta, d’accordo?” “Perfetto”.

Ed eccomi all'oratorio, sotto l’altoparlante! Il Toro segna, risegna, segna ancora, e noi? A Marassi sempre 0 a 0, partita delicata contro la Samp di Bersellini, con  Lippi nel ruolo di libero, che si deve salvare ed è pronta a vendere cara la pelle. Poi... ”Scusa Ciotti, Juventus in vantaggio con Bettega”. La voce di Ameri aveva in quel frangente la stessa portata storica di quella di Churchill che sanciva la vittoria nell'ultima guerra! “La Juve ha raddoppiato con Boninsegna”. L’avrei abbracciato, Ameri, ma non c’era tempo, dovevo avviarmi a piedi verso il centro con le mie due bandiere bianconere pronte, una per me ed una per Angela...

Proprio in quel momento, un amico di oratorio piomba con la ragazza ed il “cinquino”. Vedendomi con le bandiere e tutto esultante, mi sequestra e mi costringe a salire in macchina, capote aperta ed io fuori con il bandierone. Non c’è stato verso di dirgli che c’erano Angela e Lucetta che mi aspettavano. Davanti al bar Motta, poi!
In via Roma si stava scaricando la città; in quel pomeriggio c’erano più torinesi in centro che nelle case e le macchine si rincorrevano con i finestrini calati: a sinistra una bandiera bianconera, a destra una granata. Colori così rivali e così mescolati non li ho più visti, una cosa da pelle d’oca!

Ed io in piedi fuori dal tetto della 500 di Sergio Milanesio (chissà dove sarà!) alla guida ed Emma a fianco, a gioire per la Juve, a gridare “17, campioni!” col magone per il... bar Motta! Verso sera si vedevano sempre più bandiere juventine e sempre meno granata: perché “lorlà” (quelli là per gli stranieri) saranno tignosi, rognosi, incazzosi, ma non stupidi. Era chiaro che “tutti in piazza” era stato dettato anche dal timore di problemi di ordine pubblico, e che alla fine la vincitrice aveva le maglie a righe.

Al lunedì mattina, dopo la lezione di analisi chimica, vado al solito appuntamento con Angela. L’abbraccio tra noi ci scambiava la gioia per lo scudetto vinto (in settimana c’era stata anche la Coppa Uefa a Bilbao!), ma il suo trasporto mi parlava pure di altri orizzonti. “Ti abbiamo aspettato un bel po’! Perché non sei venuto?” “Mi è andato tutto storto, scusami, ma proprio non ce l’ho fatta”. A quei tempi si telefonava ancora a gettoni ed Angela in tasca non aveva lo smartphone. Però, di là da corso Massimo c’era il Valentino, con tante panchine verdi e viali per innamorati... Mi è mancato il coraggio o la prontezza, o semplicemente il nostro treno era già passato!

Due settimane prima, tra gli amici di un pomeriggio a Villa Genero, c’era una ragazzina a cui piacevo già. Quella volta l’ansia di una Juve in parità a Milano me la fece passare in secondo piano, e nemmeno il gol di Tardelli mi aprì gli occhi. La ragazzina in questione si è comunque presa ampiamente la sua rivincita, giacché non smette di vincere con me da quasi 32 anni!