Torino, provincia di Juventus - Segni particolari: Gobbo

Le periferie di una grande città sono sempre brutte, anche quando si tratta di una ex capitale. E, se sono brutte oggi, immaginate di spostarvi a metà degli anni Sessanta... La periferia di Torino, città peraltro bellissima, non fa eccezione. La più brutta tra le periferie sabaude è tra Mirafiori sud e le basse del Lingotto, a cento metri da una frazione di Moncalieri, a duecento dal torrente Sangone e dal ghetto delle case popolari di via Artom. Molte strade sono ancora bianche, e quando piove è un disastro, ma di certo non mancano i prati nei quali ritrovarsi a giocare con gli altri bambini. Un'immagine indelebile. Le scritte, fatte con colori diversi, quindi in momenti diversi, sul muro esterno di un basso fabbricato similbaracca diventato poi una scuola (!) in via Pio VII: "Vogliamo la casa", "Lucia sei bona", "W la Juve". C'è tutto.

Quando sei figlio di contadini ferraresi trasferitisi a Torino a fare gli operai, hai 7-8 anni e sei a metà degli anni '60, nella periferia più sfigata di Torino, con un tot di prati a disposizione, difficilmente ti dedichi alla scherma o al tennis... il calcio è più popolare, più abbordabile, per tutti. Poi, tra i compagni di scuola, che sono anche i compagni di gioco, qualcuno che porta un pallone (di gomma, beninteso) lo trovi sempre. E ci si dà appuntamento in qualche prato. Oppure alle case Fiat di via Vigliani (sei palazzi di dieci piani, ma per noi sono "i grattacieli"), che all'interno hanno una sorta di campo, corto e senza né righe né erba, ma con due porte che sembrano vere.

Ecco, il tifo nasce lì ai grattacieli, in quelle partite dove aspetti incazzato che i più grandi ti dicano che puoi entrare, in quelle partite che finiscono 13-9 e dintorni, in quelle partite che spesso culminano in innocue risse senza feriti (se non nell'orgoglio). E c'è chi tenta di ripetere la sforbiciata di "Mazzolino", la discesa alla Facchetti o la punizione a foglia morta di Corso. Tutte espressioni mutuate dal linguaggio di Nicolò Carosio (unico telecronista dell'epoca), e tutte riferite a giocatori interisti. Già, perché la squadra di Angelo Moratti e Italo Allodi, allenata da Helenio Herrera, vince parecchio in quegli anni: quattro primi posti (tre scudetti e uno spareggio perso col Bologna), due vittorie europee e due intercontinentali. Normale che molti bambini ne vengano attratti, e infatti la tifano praticamente tutti i figli di immigrati dal sud. I pochi torinesi purosangue sono invece divisi fra granata e bianconeri, con prevalenza numerica dei primi. Che parlano, coi racconti dei genitori, di una tragedia di una quindicina d'anni prima, che ha decimato la squadra più forte della storia. E hai voglia a fargli notare che forse ora, data l'età, non vincerebbero più: non vogliono sentire ragioni.

Sarebbe comodo tifare Inter, dato che, a quel che ti raccontano, sembrerebbe essere invincibile. Sarebbe forse perfino più semplice tifare Toro, vista la sfortuna che li ha accompagnati nel tempo: in fondo, chi ha sfiga suscita inevitabilmente simpatia. I tifosi juventini invece non parlano molto, forse anche perché in quegli anni non c'è molto da dire. Perfino il campione più importante e più amato, Sivori, non gioca quasi più, e se ne andrà a Napoli. Difficile sceglierla come squadra del cuore, in quel momento. Eppure...
Sono proprio gli avversari a darti un buon motivo per farlo. La cosa che accomuna interisti e granata dell’epoca è un incomprensibile (e, ai tuoi occhi ingenui, immotivato) odio per la Juve, cui viene imputato di essere la squadra degli Agnelli e di rappresentare i potenti. Eh, ma questo cambia le cose: pur non sapendo praticamente nulla di calcio, non puoi non rilevare che “Se la odiano così tanto tutti quanti, deve essere davvero qualcosa di grande: sarà la mia squadra!". A confermare la bontà della scelta, scopri poi che in realtà la odiano solo perché ha vinto più di tutti, e che quasi sempre si tratta di invidia, più che di altro. Il tuo compagno di banco, tifoso granata, è il primo cui lo fai notare.

La risposta: "Ma non puoi tenere per la goeba: è la squadra di Agnelli, del padrone, e tu sei figlio di un operaio Fiat". Già il fatto che uno ti dica che non puoi fare una cosa fa pendere la bilancia dalla parte giusta. Ma ancor più decisivo è l'intervento di "Mazzolino" (quello che imitava l'omonima sforbiciata), che sentenzia senza mezzi termini che "La Juve ruba". Cioè? E parte il racconto, evidentemente appreso dai più grandi, del 9-1 di qualche anno prima, contro l'Inter che schierava la Primavera: "Ladri, ci hanno rubato lo scudetto". Mah... ridergli in faccia, oltre che un piacere, diventa quasi un dovere. La passione non ha quasi mai spiegazioni razionali. Così, può capitare che trovi origine nell'orgoglio, nella reazione, nel rifiuto delle posizioni preconcette, nella voglia di contrapposizione. In fondo, potendo scegliere, quando si gioca a guardie e ladri, è molto più divertente stare dalla parte dei ladri, no?
"Quindi, tu tieni per la Juve?". "Sì, alla faccia vostra".
"E perché?". "Perché la odiate tutti, e dite che ruba, ma non è vero".
"Sei proprio un gobbo dimmerda". "Sì, ma quella la mangiate voi, e tanta".