Nicklas Bendtner - Ragazzo fortunato

RubricaCampionario - Carico e scarico di calciatori che malgrado tutto non dimenticheremo mai

Nasce in Danimarca nel 1988. E già qui si potrebbe rimarcare la buona sorte.
A soli 16 anni corona il sogno di molti giovani scandinavi: trasferirsi giù a Londra. E' un diverso tipo di vacanza-studio, roba per pochi: va a giocare per l'Arsenal di Wenger, il tecnico alsaziano che più di tutti punta sui giovani. Che fortuna. Un paio di stagioni tra squadra giovanile e un prestito in Championship ed è già pronto per il salto in prima squadra. Firma un contratto quinquennale per giocare accanto ai vari Fabregas, Adebayor e Van Persie. Gli esordi sono promettenti: nove goal stagionali, due in Champions League. Il momento è propizio per attaccanti del suo genere, un armadio a due ante e due metri con un buon tocco di palla. In Italia domina Zlatan Ibrahimovic, che ha dimostrato al mondo che un fisico da granatiere non si accompagna per forza a piedi da ferramenta. Il paragone, infatti, è con lui. In comune, di sicuro, c'è il caratteraccio: alla prima da titolare rimedia un espulsione. In un derby contro il Tottenham sfiora la rissa in campo con un compagno di squadra. Non uno qualsiasi, ma il titolare del ruolo di centravanti cui ambisce, il togolese Adebayor, che sta per concludere una stagione da 30 goal.
E' una promessa, tutta da mantenere. Con il Fabregas di quei giorni, non è difficile trovarsi da solo davanti alla porta. Capita parecchie volte, infatti, nelle due successive stagioni, quando Bendtner conquista il posto da titolare, grazie alla cessione di Adebayor e i ripetuti infortuni occorsi a Van Persie. Il più delle volte i goal li sbaglia. Ne realizza soltanto quindici in due stagioni di Premier League, seppur compensi con un buono score in Champions League: sette goal in diciannove presenze.

Il giovane Bendtner ha grandi ambizioni e nessun pudore nel manifestarle. Rivela al Guardian: "In cinque anni voglio diventare il capocannoniere della Premier League. Voglio essere riconosciuto come un centravanti di fama internazionale. E succederà. Credetemi, succederà. Guardo gli altri giocatori, guardo alle mie capacità e non vedo niente che possa suggerirmi che non andrà così. La gente penserà: "Di che sta parlando?" Ma come ho fatto prima, e farò ancora, sarò seduto dall'altra parte e riderò in faccia a queste persone, quando succederà."
Sta costruendo il suo personaggio, un po' dandy un po' spaccone. Calza scarpette rosa, veste mutande sponsorizzate, a stagione iniziata sceglie di cambiare il numero di maglia, promettendo ai tifosi di pagare di tasca sua il denaro necessario per "aggiornare" le magliette già vendute. Sceglie il 52. B52, come l'aereo bombardiere americano, o forse nella sua declinazione di cocktail esplosivo, più consona alla sua affermata reputazione da party animal, conquistata grazie a episodi singolari, come quando viene pizzicato a braghe calate all'uscita di un locale londinese.
La fortuna gira. Bendtner si infortuna, proprio mentre esplode il talento di Van Persie. Al ritorno in campo fatica a trovare posto in squadra e il ragazzo fortunato si rivela ragazzo viziato dalla fortuna. A mezzo stampa, fa sapere a Wenger che il ruolo da subalterno non gli va giù. A fine stagione chiede di essere ceduto. Dichiara che la sua destinazione preferita sarebbe Barcelona.

Finisce in prestito al Sunderland. Il ragazzo fortunato ha ora 23 anni ed è già padre. La sua compagna, un'aristocratica danese vicina alla famiglia reale, ha tredici anni in più di lui. Tutto come Ibra, insomma. Tranne che lui non vuole saperne di mettere la testa a posto. In campo, otto goal in trenta presenze. Fuori, è vida loca: il culmine quando viene arrestato insieme al compagno Cattermole con l'accusa, poi archiviata, di aver danneggiato alcune automobili parcheggiate vicine allo stadio dei rivali del Newcastle, durante una nottata allegra. Appena rilasciato, invia ai suoi tifosi l'ennesima lettera di scuse, ormai un vero e proprio genere letterario personale. Vi si legge: "Sostanzialmente, sono un ragazzo normale con un lavoro straordinario. Tendo a dimenticarlo qualche volta, ma nel profondo lo so bene." Il ragazzo fortunato sa di essere fortunato.

Dopo un buon campionato europeo con la Nazionale del suo paese, dove rimane pur sempre il golden boy del calcio locale, la fortuna bussa di nuovo alla sua porta. Sembra destinato ai bassifondi del calcio europeo, quando Marotta conclude la sua ricerca per un bomber di livello europeo con un nulla di fatto e ripiega su di lui per completare l'attacco della Juve. Lui si presenta, sorridente, elegante e pasciuto, chiedendo di indossare la maglia numero 10, appena lasciata libera da Del Piero. Viene ricondotto a più miti propositi, tra cui quello di dimagrire in fretta. Il ragazzo fortunato fatica a inserirsi nei ritmi alti del gioco di Conte e viene impiegato pochissimo, fino all'infortunio che fa terminare la sua stagione a dicembre. Nove scampoli di partita, zero goal. In mezzo, una multa per guida in stato di ebbrezza e la conseguente esclusione dalla Nazionale per sei mesi. Lo ritroviamo in campo per le celebrazioni finali, quando si fa riconoscere per le galanterie rivolte alle hostess dell'evento, pallida imitazione, per altro, del re di tutti i burloni pallonari, Paul Gascoigne, che tentò di baciare niente meno che Lady Diana

In tanti si divertono, ma l'effetto è quello di una barzelletta raccontata troppe volte. Quella simpatica faccia da schiaffi è anche il destinatario di uno stipendio milionario. Uno di quei fortunati che non fanno nulla per meritarselo. Non si tratta certo di vivere in castimonia, ma di condurre una vita da professionista. E' banale sostenere che un lavoro straordinario debba essere affrontato con impegno straordinario?
Probabilmente sì, lo è, se si ritiene che le avventure metropolitane notturne nulla abbiano a causare sul rendimento in campo. E, del resto, il ragazzo fortunato potrebbe semplicemente sostenere di essere stato invece solo un po' sfortunato, per via degli infortuni.

Insomma, ha ancora un senso il vecchio moralismo alla Boniperti, sempre più tacciato di trombonismo, come interpretazione del calcio? Il calciatore viziato e irresponsabile è quanto di peggio la società occidentale possa esprimere? In genere, lo sdegno erompe soltanto quando la qualità del gioco (e forse anche della vita notturna) è mediocre. Per questo Gascoigne, piuttosto che far alzare sopracciglia, preoccupava i tifosi per la sua precaria salute. Di giocatori come lui non ce n'erano poi molti. Nel calcio delle rose a 30 squadre, invece, calciatori come Coco e Bendtner sono sostituibili con facilità. Soprattutto, questi ragazzi fortunati, che hanno spuntato ingaggi milionari in giovane età, sono sostituibili, a parità di rendimento, con calciatori che guadagnano meno della metà, se non addirittura con un giovane della Primavera. Eppure sembrerebbe che il calcio non possa farne a meno: ogni squadra mantiene in rosa almeno un ragazzo fortunato.

Per questo, soprattutto, questi ragazzi sono fortunati. Perché il calcio non fa quadrare i suoi conti: l'inefficienza economica è per parecchie squadre il costo della competitività sportiva. Soprattutto in Italia dove, a dispetto della crisi, il rapporto stipendi/fatturato è il più alto tra le cinque maggiori leghe europee. Andrà così, almeno fino all'avvento effettivo del fair-play finanziario, ma anche oltre, perché il calcio come il mondo diventerà sempre meno eurocentrico. Ognuno ha diritto alla sua parte di beautiful game. Il calcio, insomma, non è più un mestiere per pochi, già da un pezzo. Nel 2000, secondo la federazione brasiliana, c'erano 5.000 giocatori verdeoro che esercitavano la professione all'estero. Aumenta l'offerta, ma aumenta anche la domanda di calciatori. Il privilegio è di sempre più persone: chi raggiunge il milione grazie a doti naturali, chi grazie al duro lavoro, chi grazie a un bravo procuratore, chi ha un po' di fortuna e campa di rendita. Il privilegio maggiore tocca a grandi campioni e seri professionisti come Messi, Ibra, Cristiano o Eto'o sotto forma di uno zero in più nello stipendio annuale. Con i criteri del moralista o dell'abachista, la domanda è la stessa. Dov'è l'ingiustizia? Nella quantità enorme di denaro o in quello che davvero fai per guadagnarli? (O ancora, visto l'ingresso di personaggi come Kadyrov, da chi li guadagni?) La mia risposta è che, anziché fissare tetti salariali, sia assai meglio limitare il numero di giocatori in rosa e imporre l'inserimento di un cospicuo numero di giocatori provenienti dalla Primavera. Solo in questo modo, si restituisce valore al denaro di cui sopra.
Nel frattempo, il calcio soffre molti problemi, ma non quello della disoccupazione. Non smette di dare possibilità a chiunque sia sano, almeno fino ai 30 anni. E allora la prossima possibilità meritatela, ragazzo fortunato.





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