Paul Pogba e il romanzo di formazione

PogbaCampionario - Carico e scarico di calciatori che malgrado tutto non dimenticheremo mai

Quante discussioni calcistiche dell'ultimo anno sono terminate senza che qualcuno esprimesse grave il memento che Leo Messi in fondo ha solo 25 anni? Banalità assai poco consolatoria in un'epoca in cui, tra chi conta meno di trent'anni, solo i calciatori hanno "tutta la vita davanti", ma statisticamente ineccepibile. E' vero: Messi ha già segnato 317 goal e non è nemmeno a metà della sua carriera. Ha dominato nel suo sport sin da giovanissimo, un po' come accade nella ginnastica. E pare voler continuare, come di solito non riesce a quegli imberbi ginnasti che, finalmente popolari dopo anni di privazioni, dolore fisico e vita monacale spesso imposta da genitori orrendi, si sentono in dovere, anche con l'ausilio dei diritti civili derivanti dalla maggiore età appena conseguita, di assaporare un po' di mondanità, finendo quindi per lasciare il trono al prossimo diciottenne programmato dodici anni prima per vincere.
Lionel Messi, proprio come questi sventurati, era predestinato e programmato per diventare un campione: acquistato a soli 13 anni dal Barcelona, curato da una brutta malattia, lanciato ancora giovanissimo in prima squadra. A differenza loro però, il suo regno non solo è già molto lungo ma è destinato a durare. Messi, infatti, non solo è il giocatore più dotato da ogni punto di vista mai apparso su un campo da gioco, ma è anche un atleta incredibile, la cui costanza di rendimento è semplicemente sbalorditiva: quattro volte consecutive Pallone d'Oro, quattro volte consecutive capocannoniere della Champions League, in breve tempo non esisterà alcun record positivo da ascriversi ad altro calciatore. Di Maradona, Platini, Cruijff, Zidane diremo che "dopo Messi è quello che più…"
Messi segna praticamente sempre; anzi, negli ultimi tempi Messi segna sempre due volte. Messi è un prototipo di professionista nell'unico sport al mondo che non richiede affatto una vita e un fisico da professionisti per riuscire a guadagnare un sacco di soldi. Pensate a Cassano. Al Ronaldo imbolsito che continuava a segnare un goal a partita. A calcio si può giocare anche con la panza. Anche con la panza piena di birra.
Come faccia il piccolo Messi a continuare ad allenarsi con scrupolo, a mostrarsi umile, a giocare ogni partita col cuore, pieno di grinta, di motivazioni, invece che più semplicemente impazzire, come un bimbo prodigio qualsiasi, un André Agassi per capirci, dopo una vita vissuta così, è per me mistero assai più intricato di spiegare perché Balotelli, ad esempio, parlando di un altro bimbo prodigio, si ingegni continuamente per mandare tutto a puttane.
Io Balotelli lo capisco bene.

(Sì, confermo: il pezzo è su Paul Pogba.)

A quanto appena scritto, aggiungete che, tendi a dimenticartelo, ma Juventus vuol dire per l'appunto Gioventù, non si capisce bene se in latino o in piemontese. Una scelta probabilmente parente dell'ossessione virile di quegli anni complicati. Una qualsiasi carriera calcistica di basso livello in Italia - il target dei lettori di questa rubrica - ha comportato sicuramente partite contro squadre dai nomi altisonanti e ridicolmente maschi come Vigor, Fulgor, Ardor (negli anni '90 per altro queste società erano curiosamente le più colpite dalla piaga dei ragazzini occhialuti, sfigurati dall'acne, con dentatura leporina. Ancora una volta: il target della presente rubrica).
Il culto della giovinezza, del corpore sano, dell'ardore-fulgore-vigore era per altro cosa normale in una società giovane dal punto di vista demografico e ignorante della potenzialità delle droghe. Lo sport veniva praticato soprattutto in forma amatoriale, come necessità dello spirito, e sussistevano tutta una serie di rigidi dogmi olimpico-moralistici, che oggi non riteniamo più validi da insegnare nemmeno ai ragazzini ai primi calci. Anzi, diciamola tutta: già l'educazione fisica a scuola un po' ci puzza di fascismo.
Voi, invece, e quando dico voi mi rivolgo al suddetto target della rubrica, siete cresciuti nella moderna convinzione che un'eccessiva preoccupazione per il proprio corpo sia esclusiva dei beoti in canottiera che popolano le palestre italiche, con il pizzetto disegnato e le tattiche d'approccio da film di Verdone. La negazione vivente del rapporto causa-effetto tra il corpore sano e la mens sana. La naturale competizione giovanile nel vostro liceo non si esprimeva affatto in dure prove di ardor&vigor, ma in dissolutezza. Non corse a ostacoli o attraversamento di fiumi al disgelo, ma gare di bevute o amichevoli al bong. Foste voi i pionieri del football, le suddette squadre si chiamerebbero Luxuriantur Pinerolo, Pravitatis Cerveteri, Impudicitiae Pozzuoli e Vitium Bresso.
E poi mi venite anche a dire che non capite cosa passi per la testa di Balotelli.
Ciò che è difficile da capire è cosa passi per la testa di Messi.

(Ora arriva Paul Pogba)

Le esperienze giovanili con il pallone, soprattutto quando fallimentari, ci rendono più disfunzionali di quanto possano fare le delusioni amorose e il disorientamento sessuale. Non ce ne sbarazziamo mai. Io, ad esempio, sono di quelli che pensano ancora che, se invece di stopparla avessi tirato al volo, la mia vita sarebbe cambiata. Qualche volta do la colpa all'allenatore. Qualche volta, me ne vergogno, anche all'arbitro.
Questo per dire che non è per forza necessario essere un campione in erba con una condizione patologica allarmante, trasportato a vivere in un altro continente all'età di 13 anni con il peso di dover raggiungere ad ogni costo un obiettivo per tutta la tua famiglia, per sviluppare un trauma collegato al gioco del calcio. Anche perché, ad un'analisi superficiale, sembrerebbe ovvio che Leo Messi sta benissimo, e io no. E non scommetto nemmeno su di voi.

(Arriva, arriva)

Nomina sunt omina? Da quell'epoca militaresca che ha dato il nome alla Juventus è discesa una squadra i cui caratteri fondamentali sono appunto la grande disciplina, la voglia di lottare e di migliorarsi, il rispetto dei ruoli. Una squadra di soldati, come ha efficacemente sintetizzato Cassano. Guidata da generali con i controcoglioni, aggiungiamo. Una squadra di un altro secolo. Sabauda, come dice il mio amico Emilio. Nel bene e nel male.
Non quindi una squadra per Balotelli, dicono. Non possiamo dire nemmeno una squadra per Messi, perché per Messi va bene qualsiasi squadra. Ciò che resta da capire è se si tratti della squadra giusta per Paul Pogba, uno che indiscutibilmente appartiene alla suddetta categoria dei giovani prodigiosi. Uno speciale, che si porta dietro questa iattura, come Messi e Balotelli.
Il ragazzo, per farmi capire da voi ex giovani, è nato lo stesso anno di Maastricht, della Guerra in Bosnia e in Somalia, della fine della DC, degli arresti di Totò Riina e Pietro Pacciani. Conta vent'anni, venti presenze in Serie A, cinque goal, quasi tutti pazzeschi. Sa già far tutto. E' un autentico dominatore del centrocampo: fisico perfetto che gli consente di catturare palloni con irrisoria facilità, intelligenza applicata di livello superiore, visione di gioco, anzi vera e propria veggenza di gioco, testa costantemente alta, eleganza naturale e un tiro da esperimento nucleare. Domenica scorsa, contro il Catania, ha deciso un'altra partita, in tandem col simpatico Giak. Sì, perché Pogba è già uno che decide le partite. L'uscita irresistibile in progressione e il lancio a tagliare tutto il campo per Giaccherini (qui il video) è roba che fa alzare dal divano anche la nonna. Pogba si impadronisce del campo. Già adesso.

(La morale?)
Che tipo è Pogba, però? Uno come Leo Messi che, sebbene abbia iniziato presto ad essere un numero uno, ha continuato imperterrito sulla strada maestra del professionismo, insomma uno strano, o uno come Mario Balotelli a cui semplicemente sembra non freghi niente di quello che sta facendo, come a buona parte di noi? Non si può rispondere, naturalmente.
Il tifoso, in genere, applica un determinismo categorico. Chi di tipo quasi biologico, per cui una testa matta non si può normalizzare e chi di tipo ambientale, per cui la scuola Juventus può raddrizzare qualsiasi stortura e Mino Raiola, il suo manager, deviare qualsiasi essere umano. Ovvero: quelli che Balotelli, se frequentasse la scuola militare della Juventus o anche quella più metodo Montessori del Barcelona, acquisterebbe finalmente maturità e disciplina, e quelli invece che pensano che Balotelli non cambierà mai.
I seguaci della teoria ambientale citano spesso Ibrahimovic, che ha spesso espresso la sua riconoscenza per essere stato domato da Capello, mentre Cassano, che, oltre ad avere assaggiato Capello, ha cambiato sei squadre, è il caso di studio sbandierato dai darwinisti.
Chi conosce il calcio sa anche però che, piuttosto spesso, le partite le decidono gli episodi, anziché i campioni, gli allenatori o gli arbitri. E la vita, si sa, è una metafora del calcio.
Quello di Paul Pogba, insomma, è un romanzo ancora da scrivere, così come quello di Mario Balotelli e persino quello di Lionel Messi. Leggeremo tra vent'anni un'autobiografia densa di umanità e contemporaneità, come quella di André Agassi, una storia di ordinario professionismo come quella di Nedved, oppure un'ancora più pallosa raccolta di marachelle vanziniane, tipo Cassano? Da tifoso juventino, non posso che sperare che sia un racconto dannatamente noioso.
Da moralista, però, mi batterò perché anche Mario Balotelli venga arruolato nel nostro esercito.


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