Mirko Vucinic, simbolo di pace

RubricaCampionario - Carico e scarico di calciatori che malgrado tutto non dimenticheremo mai

Erano tempi brutti, tempi in cui ci eravamo abituati a pensare che, se non sai fare a botte come in periferia, a centrocampo non ci puoi giocare. Tempi in cui il "Le faremo sapere" dei direttori sportivi non combaciava più con il confortante motto illuminista "Sì, ha un gran fisico, ma con quei piedi dove vuole andare?", ma piuttosto con l'avvilente "Sì, il ragazzo lancia a 90 metri sul piede del compagno, ma nei contrasti è leggerino." Tempi in cui si parlava di Xavi con lo stesso annoiato tono di sufficienza che oggi riserviamo a Giovinco.
Erano i tempi dei corsi di sopravvivenza, delle sagre paesane, del risorgere dei nazionalismi. Al cinema si tifava per i cattivi, in guerra pure, il sarcasmo più cinico era l'unica via per affrontare una discussione senza sembrare cretino. E ingenuo. Dio, non volevamo essere ingenui. L'ingenuità era un peccato mortale. A quei tempi, non ce la raccontavano mica. Tutti sapevamo cosa c'era dietro, davvero.
Adoravamo i personaggi machiavellici, ma anche quelli pronti a immolarsi eroicamente per una causa qualsiasi, a maggior ragione se si trattava di quella evidentemente sbagliata. Adoravamo i personaggi machiavellici che sfruttavano a proprio favore la foga guerresca di quelli che si immolavano eroicamente, eccetera eccetera. Del genere: profittare della voglia di riscatto sociale di Zinedine Zidane per vincere la Champions League.
Anche nel calcio, si affermava l'età post-eroica. Eroi non ce n'erano più, ma noi ne avevamo dannatamente bisogno.

Non erano tempi, insomma, per Vucinic, il disertore. Cioè, tu pensa se Vucinic fosse venuto a giocare da noi, nel perfido Settentrione, a quei tempi. Proprio alla Juve, la fabbrica del calcio, dove ognuno si alza presto, arriva in orario, sta al posto suo e non c'è altro modo che farsi il mazzo per uscirne vivi.
Tu pensa. (ma pensaci sul serio e magari costruisci un episodio tu stesso, del tipo Mirko che alla terza flessione suona la campana di Ventrone a morto, o Mirko che sbaglia tutti i goal, proprio quei goal, che invece Trezeguet ha insaccato, o Mirko in finale a Roma che invece di incazzarsi come Ravanelli per la sostituzione, tira un sospiro di sollievo ché proprio non ce la faceva più. Un genere letterario tipo quello su Chuck Norris, insomma. C'è anche la barba, per mixare le due tracce. E sì, tranne per il fatto che Chuck cura il suo pizzetto per sembrare più cattivo, mentre Vucinic ti immagini che più semplicemente non abbia voglia di rasarsi, di primo pomeriggio.)

Siamo noi ad essere cambiati, date retta. Oggi il personaggio di Vucinic è per noi indubbiamente positivo. Anche quando non segna. Assomiglia a quei personaggi di quei film post-jugoslavi sempre di quei tempi là (film che erano un po' diversi dai nostri perché lì quelle cose per cui noi ci arrapavamo nei boschi, succedevano davvero) che, con la loro indolenza, semplicioneria e sbadataggine, si rivelavano, spesso a seguito di eventi bizzarramente concatenati alla moda dei film "di qui", il mezzo più potente di resistenza alla guerra in corso. Il fattore di inerzia capace di bloccare la regolarità della macchina da guerra. E infatti, approfittando per un attimo dell'abusato vocabolario bellico prestato al calcio, nessuna squadra in cui metterà svogliatamente piede Vucinic, potrà mai essere definita una macchina da guerra.
Vucinic potrebbe sempre sbagliare mira. Potrebbe accendersi una sigaretta mentre ti stai nascondendo dal nemico, facendoti scoprire e ammazzare. Vucinic potrebbe essere troppo stanco, troppo ubriaco, troppo umano. Vucinic potrebbe disertare. Proprio quel giorno lì. Vucinic, ritorniamo alla polemica innescata da Cassano, intellettualmente molto significativa, non è un soldato.

Vengo al dunque. Vincere sempre e vincere facile è una naturale rottura di coglioni anche se il motto della casa statuisce che vincere è l'unica cosa che conta.
Vincere difficile è più bello. L'ho scoperto l'anno scorso. Io, e anche voi. Non c'è nulla da spiegare: oggi guardiamo le partite, tutte le partite, anche quelle contro il Pescara, insicuri su quale sarà il risultato finale. Convinti che sì, su trentotto partite, la Juve vincerà il campionato, ma questa partita qui, quella che stiamo per vedere, la potremmo pure pareggiare, dopo aver fallito decine di occasioni da goal. Sarà, perciò, una partita emozionante.
La tonitruante bestemmia con cui avete accolto il goal sbagliato contro il Napoli non vi distragga, non vi porti verso considerazioni meramente utilitaristiche, del genere che se l'avesse buttata dentro, oggi già festeggeremmo la vittoria del campionato.
Sai che palle.
Pensate invece al suo sorriso sincero, antielettorale, il bel sorriso con cui Mirko accoglie i goal altrui, così diverso dai ghignetti di circostanza dei nostri vecchi killer, gli Inzaghi e, diciamocelo, anche i Del Piero, sempre biliosamente maldisposti verso una vittoria che non portasse il loro nome. C'è una straordinaria umanità in quel sorriso, riconoscenza verso lo sforzo altrui.
E pensate anche alle sue incredibili capacità tecniche, anzi poetiche. Il suo gioco a testa alta, due metri sopra le piccolezze di ciò che avviene al livello del suolo, il colpo sotto il pallone, che è una complice palpatina di culo alla fidanzatina birichina, le giravolte con il pallone attaccato ai piedi, una parodia di valzer da balera balcanica.
Pensate al suo contributo al gioco della squadra, pieno di linee oblique, di scambi di posizione, di arabeschi e bizantinismi a cui solo lui, pivot sghembo, vigile urbano del paese delle meraviglie, può dare direzione. Un gioco bello, che altro aggettivo vuoi usare? Bello e complicato, ecco l'altro.
Non puoi chiedergli la bava alla bocca, i goal facili, la catena di montaggio. Non puoi chiedergli lo sforzo bellico.
Del resto, uno parecchio bravo sosteneva che esistono essenzialmente due modi per rapportarsi all'evento sportivo: c'è chi ammira la bellezza e chi desidera lo scontro, la guerra. Bene, la guerra è finita. War is over.
E' proprio come dice Conte: questa Juve è bella, assai prima di essere guerriera, a differenza di molte delle sue antenate vincenti.
Non solo a me piace così com'è, ma anche a voi, è inutile che facciate quella faccia.
E il merito è essenzialmente tutto di Vucinic e di quei film post-jugoslavi.

La morale (sì non son più quei tempi lì, ora c'è una morale) è la seguente: tienitelo tu il cecchino da area di rigore. Io mi sto divertendo un sacco.
Questa Juve non si può migliorare, solo rovinare. E' questa la ragione dell'esistenza della presente rubrica, di cui proprio nessuno sentiva il bisogno. Celebrarla finché c'è.
Fino al giorno in cui Marotta guasterà tutto questo bendidìo, azzeccando la campagna acquisti. Quel giorno ve ne accorgerete.

Infine, accolgo la più pregnante delle obiezioni a questo mio inutilmente pretenzioso quadretto: ossia, l'argomento per cui, in realtà (ossia nel backstage di questo grande spettacolo: lo spogliatoio), Vucinic non sarebbe affatto così come lo descrivo io, Kusturica e molti di voi, ma un ragazzo, anzi un uomo, maturo, consapevole di se stesso, volenteroso e contegnoso.
Può pure darsi, per carità. Ma chi se ne importa.
Tutto quello che ho imparato dal calcio è che l'unica verità possibile è quella del campo.

Twitter: @elborchoke