La squadra più prestigiosa di Severgnini

Moratti e TronchettiSe il classico marziano arrivato sulla terra oggi avesse assistito alla contestazione dei tifosi interisti ai propri beniamini, avrebbe probabilmente pensato che l'Inter sia abituata a vincere sempre, e forse troverebbe anche una copertina di Sportweek, l'allegato alla Pravda Rosa, a confermargli questa sua impressione.
Noi terrestri sappiamo invece che le cose stanno in un altro modo.
Sappiamo che i tifosi dell'Inter si nutrono essenzialmente di due sostanze: l'autocelebrazione sempre e comunque, vittoria o sconfitta che sia, e il complesso di inferiorità.
Riguardo a quest'ultimo, la questione è semplice: sono vent'anni che non vincono uno scudetto che non sia a tavolino o aziendale. Nonostante la retorica, lo sanno bene. E non perdonano ai propri giocatori l'ennesima sconfitta.
L'autocelebrazione è invece la sintesi più completa del tifoso interista. Che non vive di partite, ma di feste pacchiane. Vive di Materazzi in smoking bianco, di campagne pubblicitarie con spillette annesse, di karaoke allo stadio, di Moratti con la maglia di Recoba. In una pessima imitazione dello sport come veicolo di marketing all'americana. Con una piccola differenza: che negli States i bilanci delle squadre, grazie al marketing, sono in attivo.
Per l'interista i 90 minuti in campo sono un superfluo, un di più. E non soltanto perchè pensano di avere vinto un campionato in cui sono arrivati a 15 punti dalla Juventus. Ma perchè la storia dell'Inter, la sua retorica, sta nei libri e non nelle partite. L'Inter è Severgnini, Gino&Michele, Bartolozzi. Abili a pontificare sulle finte vittorie, ancora più abili nel romanzare le sconfitte. La sconfitta che diventa romanzo, trattato di filosofia, di psicologia. L'elogio della follia interista, della malasorte, delle grandi emozioni. Questa è l'Inter raccontata dai libri. Mica un presidente incompetente, una miriade di allenatori e giocatori inadeguati, una squadra che non mette insieme 3 passaggi, la cui unica grande impresa, celebrata da dvd gazzettaro, è una rimonta sulla Sampdoria in una partita che non contava niente. No: il romanzo, il film alla Virzi', finanche l'epica. L'Inter non è una squadra, ma un genere letterario per scrittori falliti.
Perciò i tifosi interisti si mettano con l'animo in pace. Se la loro ansia autocelebrativa oggi li ha gettati nello sconforto e nell'anticamera del teppismo e dell'aggressività (ndr chiedere a Beretta), si consolino. Invece dell'ennesima festa pacchiana, potranno presto rifarsi con un nuovo trattato di parapsicologia calcistica di Severgnini. In ogni modo, celebreranno.
L'Inter ormai è diventata un lifestyle. L'Inter con le sue sconfitte è diventata molto cool. Il concept del perdente onesto ha attirato molti newcomers nell'opinione di trendsetters e coolhunters. E non sto parlando come Lapo Elkann, così per caso. Lapo che ha appena fatto i suoi migliori auguri all'Inter definendo Moratti un buono. E credo per evidenti mancanze nel suo vocabolario italiano, e non per una visione manichea di buoni e cattivi. Parlo come Lapo, perchè di Lapi nelle zone adiacenti a Moratti nel parterre di San Siro, se ne vedono molti. A digiuno di calcio da tutta la vita, hanno capito quant'è figo farsi vedere in quei paraggi. Il pregiudizio intellettuale è sdoganato, che tanto Moratti & sons sono di sinistra, e ostentare un'attitudine viscerale e partecipe durante la partita e' segno di socializzazione con la modernità, ancor più di avere il classico amico gay.
Un esemplare di questo genere mi sembrava la signorina alle spalle di Moratti oggi, due seggiolini a sinistra di Tronchetti Provera. Evidentemente inusa alla pratica pedatoria, si dannava l'anima a ogni occasione fallita dalla squadra di casa, producendosi in espressioni dall'inequivoca volgarità. Ovviamente, in bello stile interista, assumendo come primo bersaglio l'arbitro. Impagabile quando ripete al visibilmente annoiato uomo al suo fianco con vorace compiacimento: "Ma che c***o di fuorigioco e'?". E' un fuorigioco del c***o: quattro interisti due metri avanti la linea del fuorigioco.
Parlo di questa signorina perchè mi sembra esemplificare un cambiamento sociale che meriterebbe lo studio di un Alberoni qualsiasi. Ovverosia il triplo carpiato salto della quaglia che è occorso nella mentalità dell'interista medio. Da onesto moralizzatore sostenitore del contropotere ad arrogante e spocchioso con delirio di onnipotenza. In questa anomia le costanti sono due, come spiegato: l'autocelebrazione e il complesso di inferiorità. Più una terza: una squadra che riesce a non vincere anche quando gli si stendono i tappeti rossi.
Faceva impressione oggi Beretta a fine partita. Una stagione pazzesca la sua, con grandi meriti. Ma la sua riconferma è stata praticamente esclusa dalla sua società che, fatale coincidenza con il 5 maggio, andava ad affrontare l'Inter con un allenatore totalmente sfiduciato. Ed è difficile in questi casi che la squadra ti segua. Il Siena, a parte qualche singolo e la solita retorica da romanzo, è apparso ben rinunciatario e ha concesso molto, con pericolose distrazioni nella propria area, calci d'angolo concessi a profusione, nessuna voglia di pungere quando l'Inter giocava in affanno e in evidente delirio psicologico. Non a caso il Poborsky di questa partita è stato Manninger.
Attenzione non parlo di biscotti, ma di una squadra che non è sembrata, anche comprensibilmente, così motivata come la retorica vorrebbe far credere, così come, con le dovute eccezioni, non era motivata quella Lazio che fece a fettine l'Inter il 5 maggio.
E' l'Inter, invece. Solo l'Inter. Che riesce a entrare in crisi maniaco-depressiva quando le cose si fanno semplicissime. E' l'Inter di Materazzi che si procura un rigore inesistente, lo toglie a Cruz che legittimamente lo dovrebbe calciare, e poi lo sbaglia. Il tutto mentre il capitano si nasconde per non essere messo in mezzo.
E' l'Inter di un presidente che poi pensa che sia tutta colpa di Materazzi.
Questo è il riassunto di cosa sia l'Inter.
Altro che romanzo, teatro di Beckett, cinema sperimentale. L'Inter al massimo è un fumetto. O un cartone animato. E la sua storia si racconta così.
Nelle prime quindici puntate viene trascinata da Zlatan Ibrahimovic, scippato alla Juventus durante Calciopoli.
Nelle successive quindici viene trascinata dagli errori arbitrali, probabile eredità di Calciopoli.
Nelle ultime dieci si tiene in piedi, anche oggi, grazie alle giocate di Patrick Vieira, scippato alla Juventus durante Calciopoli, e Mario Balotelli, un diciassettenne.
Tutto il resto è noia. E Severgnini ve lo racconterà in 300 pagine.