Per la Juve adesso viene il difficile

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Era difficile quest'anno, per Conte e i suoi ragazzi, ma anche per la dirigenza, affrrontare questa stagione: sul campo si partiva da un settimo posto (con le remore psicologiche che ciò comporta), che ci aveva portato fuori da tutto, e da un'ennesima rivoluzione dell'organico, portata avanti non senza difficoltà: con qualche acquisto d'occasione prima dell'arrivo del nuovo tecnico, che si era persino indotto a riconvertire lo schema tattico preventivato, e senza l'arrivo del top player 'promesso'. La società, che aveva inaugurato la stagione con la gioia e l'orgoglio dell'inaugurazione del nuovo stadio, sapeva di essere attesa da mesi impegnativi sul piano della difesa dei diritti calpestati da Calciopoli: ad agosto Andrea Agnelli aveva elencato le iniziative che sarebbero state intraprese ed era certo ben consapevole che non gli sarebbe stata sicuramente spianata la strada in questo arduo cammino; e così è stato, con sempre nuove incompetenze e accuse di doping legale condite da appelli all'etica.
Per tutto il girone di andata sul campo le cose erano filate sostanzialmente lisce, con una Juve che faceva bene, da unica imbattuta, grazie ad un lavoro intenso, martellante, senza respiro ("ci alleniamo come animali", son parole di Conte); una Juve però che ancora viaggiava sotto traccia, senza far paura più di tanto; certo, le avvisaglie che non fosse proprio ben vista dagli arbitri si si erano avute sin dalla prima partita, contro il Parma, nonostante la rotonda vittoria, e Conte l'aveva evidenziato: "Non mi aspetto favori, ma voglio che nessuno si atteggi a paladino di giustizia quando viene ad arbitrare la Juventus, vogliamo equità di trattamento". Aveva annusato l'aria e il fiuto si è rivelato buono. Infatti, appena la Juve si è rivelata una pretendente in grado di competere per lo scudetto, gli episodi penalizzanti (da intendersi non solo come rigori negati, ma anche come direzioni di gara a senso unico, tolleranti con gli avversari, fiscali verso i bianconeri) si sono intensificati: le partite contro Siena e Parma, con episodi così lampanti che la difesa ad oltranza dei soliti noti risulta addirittura mortificante per loro, sono poi state la cartina di tornasole che ha evidenziato un clima ostile "che si sente nell'aria", "un ostracismo", che Conte e con lui i giocatori (rappresentati da Pirlo), la dirigenza (per bocca di Nedved), la Società non hanno accettato, dichiarandolo apertamente, e senza peli sulla lingua: insolitamente tagliente il comunicato del club, che butta a mare la diplomazia di facciata e sottoscrive apertamente e in toto le dichiarazioni rese dai tre la sera precedente, facendo risuonare di nuovo quell'espressione "parità di trattamento", che è alla base delle azioni legali del club, che anche lì era stato netto e reciso quando aveva dichiarato, per bocca dell'avvocato Michele Briamonte: "L'obiettivo è fare danno a chi ci ha fatto danno".
E adesso viene il difficile: la squadra è quella che è, con i suoi pregi, ma anche con i suoi difetti, un po' incompiuta, con una valida organizzazione di gioco (forse la migliore della serie A) ma senza il fromboliere in grado di tradurre in un altrettanto schiacciante mole di reti il lavoro svolto; in questo contesto tre rigori negati in due partite diventano determinanti anche se, sia chiaro, il discorso sull'equità non cambierebbe nemmeno se questi errori arbitrali fossero stati ininfluenti (come lo sono stati quello di Milano contro l'Inter e quello di Lecce, che hanno fatto da apripista a questi); e in effetti Conte era sbottato dopo il 4-1 iniziale sul Parma.
I giocatori sono coscienti di subire arbitraggi ostili (fallacci ai loro danni vengono perdonati con un buffetto, mentre nei loro confronti, per molto meno, i cartellini fioccano copiosi); questo al limite potrebbe persino diventare un alibi (perdiamo per colpa dell'arbitro), ma in questa Juve è assai improbabile, ci pensa Conte a precisare tutte le volte che i primi rimbrotti li rivolge ai suoi 'spreconi'.
Però la squadra 'sa' ora di dover moltiplicare gli sforzi, perché, sic stantibus rebus, la strada è più erta che mai. Da una parte c'è l'accerchiamento dei media, disperatamente protesi a cercare, e a riprodurre ingigantita, qualche pagliuzza a favore dei bianconeri, nascondendo in un angolino la trave che si è abbattuta sulle loro teste. Vengono mesis alla gogna in ogni occasione: basti pensare all'episodio di Chiellini che solo per aver raccontato quanto aveva combinato Ibra, ne ha preso il posto sul banco degli accusati; il peccato non era aver colpito un avversario a gioco ormai finito, ma che lo si fosse svelato al mondo (eh sì che le telecamere se ne erano tenute prudentemente lontane, per non disturbare); o all'ultimo, recentissimo, di Conte, che ha denunciato i palesi torti arbitrali subìti: e addetti ai lavori, sia tra quanti son detti 'di campo' (uno per tutti Ranieri) sia tra quelli 'di penna', hanno messo nel mirino, non gli arbitri, ma Conte & c (morale: a pagare non è il peccatore, ma lo spione). Dall'altra una classe arbitrale tra lo spaventato (guai a chi favorisce la Juve, calciopolaro che non è altro) e il protetto (avanti così e siete tutti in una botte di ferro: adesso si chiamano 'episodi', parola molto rassicurante, niente di grave...).
Chiaro che non c'è nulla da aspettarsi da Braschi, un beneficato da Guido Rossi, l'ennesimo frutto dell'ennesima storia di 'giustizia sportiva all'italiana': quel Braschi rispettosamente silente davanti alle invettive di Galliani e Berlusconi (dopo due sole giornate dello scorso campionato) e per converso così reattivo e pronto a bacchettare Marotta che gli faceva notare come non si potesse accettare che un arbitro avesse ignorato quel fallo di mano di Vergassola. E il successivo evolversi dei fatti non sembra foriero di sviluppi positivi.
La Juve per ottenere la parità di trattamento e il risarcimento dei danni subìti ha intrapreso i passi necessari ma, si sa, la giustizia ha i suoi tempi, mai rapidi, e questo lascia la Juve in un limbo: la cifra riparatoria richiesta è altissima e la paura di dover pagare, foss'anche solo in parte, questo conto salato, mette i vertici del calcio nella posizione di chiudersi nel fortino della loro giustizia. E del loro potere.
Dovranno quindi essere brave, squadra e società, ad ammortizzare il dispendio di energie psicofisiche e a rispedire lo stress al mittente: per dirla con le parole di Conte, a tenersi stretto l'eustress, rimbalzando il distress; senza trascurare nessun versante: ancora tanto lavoro sui campi di Vinovo, e in sede guardia alta a non perdere di vista nulla, portando avanti la battaglia sul piano legale ma anche su quello mediatico; l'ingenuità pre-2006 deve diventare puntuale, dignitosa e ferma difesa dell'immagine, l'immagine di una Società (e di una storia) da rispettare.