L’anno delle verità negate

mascheraPoteva essere l’anno della svolta definitiva post-Calciopoli, il 2011 morente: poteva, ma non è stato.
E’ stato l’anno delle verità negate, della realtà capovolta.
Due erano i fatti attesi: la risposta, concreta, a fatti, all’esposto della Juventus che rivendicava parità di trattamento e la sentenza di Napoli.
L’esposto del club bianconero ha dovuto attendere nell’anticamera della Figc ben 14 mesi prima che il Consiglio Federale decidesse di non essere competente a cominciare a fare il primo passo verso la parità di trattamento. Ma la vera risposta era arrivata 17 giorni prima, il 1° luglio, con la relazione di Palazzi, che inchiodava l’Inter alle sue responsabilità, addossandole l’accusa di violazione dell’art. 6, illecito sportivo: intendiamoci, un art. 6 autentico, per aver intrattenuto i suoi dirigenti rapporti con esponenti del settore arbitrale (i colloqui e i rapporti di Nucini con Facchetti sono cosa acclarata), non un art. 6 somma di più art. 1, cosa che rimane comunque un abominio sul piano giuridico, esattamente quanto l’illecito strutturato, con la possibilità di alterare la classifica senza alterare i risultati. Il verbo di Palazzi avrebbe dovuto strappare, senza se e senza ma, lo scudetto di cartone dalla bacheca interista, tanto per iniziare, dal momento che era insussistente la condizione di partenza che aveva indotto il Commissario straordinario ad assegnarlo, visto il parere dei tre saggi che statuivano come requisito fondamentale quell’illibatezza che ora appariva irrimediabilmente macchiata. Chi era il Commissario straordinario? Il dott. Guido Rossi, tifoso interista ma non solo, ex C.d.A. Inter addirittura, colui che recentemente ha chiesto di far tacere chi dice stronzate, ovvero si permette di sindacare la sua decisione.
La verità dunque era che in Calciopoli non ‘qualcosa’ era sfuggito, era sfuggito il meglio, pardon, il peggio, e quindi altri avrebbero dovuto pagare. No. Perché insieme alla verità è arrivata la negazione: queste son le accuse ma, spiacenti, è tutto prescritto. La fretta barbina del 2006 aveva lasciato il posto ad un’incredibile flemma che aveva lasciato scivolare tutto, lemme lemme, in braccio ad una dolce prescrizione. E noi, che avevamo passato quel che avevamo passato, ci siam pure dovuti sorbire i piagnistei e l’indignazione dei nerazzurri, perché tra gli incolpati c’era il deceduto Giacinto Facchetti. Eppure era l’unico che mai avrebbe potuto essere toccato da sanzione alcuna: il Fato lo aveva già punito più crudelmente di quanto tribunale umano avrebbe mai potuto fare, qualora ne avesse sancito la colpevolezza.
La nostra calda estate era stata squarciata da due lampi: il primo era arrivato il 10 agosto, quando, forse ad esaudire i desideri espressi dagli amanti della Vecchia Signora vedendo piovere le stelle di San Lorenzo la notte precedente, Andrea Agnelli aveva messo un punto fermo sulle intenzioni della Juve, enunciando tutte le azioni che la società avrebbe messo in campo: le sue parole erano risuonate come miele per le nostre orecchie: “La cosa incredibile è che si è dichiarata incompetente quella stessa istituzione che ha lapidato la Juventus nel 2006. Quello stesso sistema che oggi è diventato anche garantista. Quello scudetto lo abbiamo vinto sul campo con 91 punti, ma qualcun altro se l’è visto recapitare sulla scrivania”. E ancora, sugli scudetti tolti: “Quando torneranno nella nostra bacheca io metterò fine alla questione”.
L’altro lampo di orgoglio, la nostra eterna risorsa, il meglio che abbiamo, al momento, era arrivato al declinar dell’estate, l’8 settembre, quando la Juventus aveva inaugurato la sua casa, quello Juventus Stadium tutto suo in cui la gente della Juve, quella che “sa gioire, soffrire e stringere i denti”, ora corre a raccogliersi intorno ai suoi ragazzi che spera di vedere mietere successi sul campo, perché “il campo dice sempre la verità”. Il virgolettato sono ancora parole di Andrea, che anche in questa occasione aveva ribadito, sbatacchiando un bel 29 alla vista degli illustri ospiti, che proprio 29, ancora e sempre, erano gli scudetti della Juve.
Ma la doccia gelata era in arrivo: esattamente due mesi dopo la grande gioia.
Anche in questo caso: qual era la realtà? Era quella emersa da quasi due anni di udienze, costellate da testi dell’accusa che sembravano puntellare le tesi della difesa, in quanto tutto ciò su cui riferivano era infiorato da sensazioni, sentito dire, chiacchiere di corridoio: di fatti veri, di prove, neanche l’ombra. In più in quel frattempo erano uscite, grazie a Moggi che aveva acquistato i cd con le intercettazioni e le aveva fatte trascrivere, non senza ‘incidenti’ di percorso, da un suo staff di consulenti, le telefonate che non c’erano: ricordiamo ancora quel che pomposamente aveva affermato il pm Narducci, nella sua requisitoria del rito abbreviato: “Piaccia o non piaccia agli imputati, non ci sono mai telefonate tra Bergamo e Pairetto con il signor Moratti o con il signor Sensi o con il signor Campedelli”. Invece c’erano. Non era vero che solo quelle persone (ovvero gli imputati) colloquiavano con i poteri del calcio. Poi è saltata fuori l’avventurosa storia dell’attribuzione delle sim svizzere con gli schemini a mano del maresciallo Di Laroni, poi è spuntata la storia dei baffi, e infine l’ultimo pentito ci ha raccontato altro su come andarono quelle indagini. Questa la realtà, anch’essa negata: dall’aula 216 è uscita una pesante sentenza di colpevolezza, che ha fatto esultare solo l’avv. Vitiello, cui bastava aver compiuto la sua missione di far escludere la responsabilità civile della Juventus; senza rendersi conto che era una ben piccola vittoria, perché comunque una sentenza di assoluzione di Moggi, sia pur in primo grado (perché sempre al primo grado di giudizio siamo), avrebbe consentito e consentirebbe ad Agnelli di presentarsi a qualsiasi tavolo con in mano un’arma supplementare in mano.
E’ stata una sentenza inaspettata, soprattutto per la sua durezza: d’accordo aspettare le motivazioni, d’accordo che si è parlato di un collegio spaccato, di urla dalla camera di consiglio (che i rapporti tra le tre non fossero idilliaci era arcinoto), ma la botta è stata forte.
Incredulità, dispiacere, rabbia: queste le sensazioni delle prime ore dopo la sentenza. Ma noi siamo la gente della Juve: non poteva essere quest’altra negazione della realtà a fermarci. Abbiamo raccattato tutte le nostre forze e ci siamo stretti intorno alla squadra e alla società, solidali con Andrea che richiede i danni alla Figc, offesi da chi ci apostrofa come persone che dicono "stronzate", scettici di fronte ai panegirici di Petrucci che, agitando lo spettro del "doping legale", vorrebbe chiuderla lì, con una stretta di mano in segno di pace. La pace può arrivare solo dalla Giustizia. Prima la Giustizia, poi la Pace. Non importa dove sarà necessario andare per avere giustizia. La gente della Juve sa soffrire e stringere i denti, pur di arrivare alla vittoria, sul campo e fuori dal campo.