Perdenti o vincenti. A voi la scelta

MarottaSabato è partita la Liga, e un episodio mi ha fatto rivivere momenti e sensazioni che risalgono ormai a quasi dieci anni fa.
Il tempo passa ma, pure quando qualcuno tenta di stravolgere la realtà annegandola in un mare di menzogne postume, la verità ritorna sempre a ricordarci come stiano davvero le cose.
Si diceva della Liga, appunto, iniziata al Mestalla con Valencia-Racing Santander, minuto 65 più o meno, risultato 1-3 per gli ospiti.
Punteggio meritato, ma nel giro di pochi minuti il Valencia accorcia e da quel momento si gioca solo nell'area dei cantabrici, bravi a resistere fino a 5 minuti dalla fine.
Ma siccome le partite durano 90 e più minuti, ecco che il valenciano Soldado ne mette due e ribalta tutto.
Risultato finale: Valencia 4 - Racing Santander 3.
"Emozionante" penso, "ma che sfigati quelli del Racing!".
Un'inquadratura a bordo campo mi chiarisce tutto e riporta alla mia mente le sensazioni di cui parlavo prima.
Sensazioni dolci, ricordi stupendi.
L'allenatore del Racing è nientemeno che Hector Raùl Cùper.
L'uomo che spronava i suoi giocatori con un pugno sul cuore, l'uomo che faceva miracoli salvo afflosciarsi sempre sul più bello.
Colui che cominciò a perdere una finale europea (contro la Lazio, Coppa delle Coppe 1999, gol decisivo di Nedved) conquistando la suddetta finale da finalista (ovviamente perdente) della Copa del Rey dell'anno prima.
E dopo queste sconfitte ne arrivarono altre, immediatamente: due finali consecutive (perse, of course), in Champions League alla guida del Valencia, diventato come per magia campione di Spagna appena Cùper prese la strada di Milano, alla corte dell'illuminato presidente della seconda squadra meneghina - in questi giorni assurto al rango di divinità - convinto che l'hombre vertical fosse l'uomo giusto per porre fine ad anni di sofferenze, sfottò e (a detta degli adepti del novello Divino) ruberie.
Inutile dire come andò, con il Divino costretto a provare cosa significhi ritrovarsi in poco più di un'ora e mezza da primo a terzo.
E nonostante tutto il Divino insinuò dubbi sui vincitori e livido di rabbia cominciò probabilmente in quel pomeriggio a studiare soluzioni - con l'appoggio dell'amico di sempre, seduto al suo fianco nella tribuna autorità dell'Olimpico romano - per non soffrire più simili umiliazioni.
Fu probabilmente quel giorno che nelle menti illuminate degli sconfitti dalla Grande Truffatrice cominciò a prendere forma l'idea che, se era possibile passare da primi a terzi in un pomeriggio, ci poteva essere un modo per compiere il percorso inverso, anche senza passare dal giudizio del campo.
Ma questa è un'altra storia...

Per una storia che non si smentisce mai in negativo, eccone un'altra che da 25 anni non smette di essere d'esempio per come va condotta una squadra di calcio.
Parlo ovviamente dell'immenso Sir Alex Ferguson che, reduce dai successi nazionali e internazionali alla guida del suo piccolo Aberdeen, nell'estate dell''86 fu chiamato ad Old Trafford per riportarvi un titolo nazionale che mancava dal 1967.
Ci mise quattro anni, Alex non ancora Sir, per vincere qualcosa con i Red Devils, ma una volta assaporata la vittoria non ha più smesso e non sembra affatto intenzionato a smettere neppure ora.
Partì con Bryan Robson e Mark Hughes, attraverso Roy Keane, Cantona e i Fergie Babes; ha continuato prendendo batoste europee dalle quali ha imparato a vincere, raggiungendo e superando i suoi modelli; non si è perso d'animo quando la società non lo assecondava e un magnate russo tentava di complicargli la vita; ha scommesso (vincendo) su ragazzi costosissimi ma super (Cristiano Ronaldo, Wayne Rooney) affiancandoli ad alcuni fedelissimi della prima ora, e uno è ancora in pista: Ryan Giggs.
E ora che il magnate russo sembra meno entusiasta di un tempo del giocattolo calcio - nonostante l'ingaggio dell'allenatore più "fashion" del momento - gli tocca fronteggiare l'offensiva araba, per di più in casa propria, nella stessa città.
Forse è per questo che alla soglia dei 70 anni Sir Alex continua a rinviare il suo ritiro e ad abusare della pazienza della moglie "che lo vorrebbe più a casa": c'è un rivale pericoloso in città e non c'è tempo per altre "distrazioni".
Al City Sir Alex ha già dato una lezione nel Community Shield, quando - sotto 0-2 - si è portato a casa lo scudo con una spettacolare rimonta.
E in attesa di duellare in Premier - a distanza, la lotta è già iniziata - i segnali ad alcune pretendenti sono già stati inviati: 3-0 al Tottenham dei tanti talenti inseguiti da mezza Europa, e 8-2 all'Arsenal dell'ex nemico Wenger.
Il tutto schierando titolari Wellbeck, Jones, Evans, Cleverley, Smalling e gli ormai "veterani" Nani e Anderson.
Tutta gente - a parte il portoghese, classe 1986 - nata fra il 1988 e il 1992, guidata da "nonno" Rooney (1985), il vecchietto di turno coetaneo di Ashley Young, l'ultimo arrivato d'estate.

Quale sarebbe la morale di queste due storie per noi tifosi juventini?
E' semplice, noi siamo stati modello e ispirazione per un vincente, ma negli ultimi anni ci stiamo abituando alla cultura della sconfitta, accampando scuse e giustificazioni per il mancato raggiungimento degli obiettivi, sul campo e fuori, e affidando società e squadra a personaggi più vicini al profilo di Cùper che a quello di Sir Alex.
Con i risultati che si sono visti.
Abbiamo avuto un tecnico che dopo una sconfitta alla prima giornata disse testualmente: "Non siamo competitivi per vincere lo scudetto"; ne abbiamo avuto un altro - un paio d'anni prima - che dichiarò: "La società mi aveva chiesto la qualificazione in Coppa UEFA e siamo finiti in Champions League".
Allenatori e società che si accontentano, non roba da Juve.
Sir Alex prima del match contro i Gunners ha dichiarato che, pur con tutto il rispetto per la filosofia dell'Arsenal, rimanere senza trofei per sei anni non è concepibile per un grande club.
Impari da queste parole la società Juventus, specialmente chi ha mansioni operative e mostra idee confuse e un'assoluta incapacità di pensare in grande.
Un chiaro atteggiamento da perdenti, un virus dal quale spero che almeno Mister Conte sia immune.