La Juve sei tu

tifosiSono passati un po’ di anni ormai da quando la proprietà della Juventus ha sepolto la Juventus.
Il 27 maggio del 2004 è lontano, e anche il 31 agosto del 2006 lo è.
E allora ogni tanto penso ai ragazzi molto giovani che non hanno avuto modo di vederla vincere, se non forse per quei due scudetti scippati da chi è riuscito a rovinare per sempre il significato del termine “onestà”. Anche se, forse, a questo attentato al vocabolario della lingua Italiana ho contribuito molto anch'io, quando sul web ho coniato la denominazione “Banda degli onesti”. Comunque ci sono giovani che ancora non sanno cosa sia la Vecchia Signora, anche se ascoltano i discorsi dei più maturi e guardano i filmati su Youtube. Quelli che non hanno avuto modo di respirare la Juve a sufficienza, giorno per giorno, per poterne, ora, sentire la classica mancanza del post-sepoltura. Quelli che solo di recente, magari un po’ come tanti, sono diventati tifosi della Signora per via del papà o della famiglia. Una specie di abitudine folle che nasce in tanti modi, lo so: famiglia, amici, specifiche partite, singoli giocatori, ecc. L’amore è così, ognuno si innamora a modo suo, regole non ce ne sono. Ma serve un pochino di maturità per capire cosa ti è successo e per godere dei frutti di quell’amore. Ed è proprio a questa sfortunata categoria di persone che voglio parlare con il cuore aperto. Premetto però che l’innamoramento nel mio caso è stato un po’ diverso da quelli comuni, e allora ritengo giusto aprire una piccola parentesi, in modo che ogni lettore possa calarsi meglio nel discorso che vorrei proporre tra poco. Chiedo venia, e chiedo pazienza a chi legge, dunque, se prima di cominciare provo ad aprire questa piccola scatola magica che mi porto sempre in tasca, piena di emozioni e ricordi personali. Io nella mia vita sono stato sempre un’eccezione, nel senso più concettuale del termine, s’intende. Il mio percorso esistenziale è sempre stato un po’ diverso, nel bene e nel male, da una vita più classica, per così dire. Anche perché forse io stesso ho sempre elaborato il mondo e le sue vicende alla mia maniera. Mi sono innamorato della Juventus all’età di cinque anni, guardando le partite in bianco e nero su un piccolo televisore. Così, per gioco. Nessuno in casa mia guardava il calcio, solo un po’ la Nazionale ai Mondiali e basta, il resto erano solo le classiche casualità dello zapping. Un giorno, mentre i miei genitori parlavano, cucinavano e pulivano casa, guardai una partita con questi strani atleti con la maglia a strisce che correvano su un prato grigio. Chiesi informazioni ad un pensieroso e annoiato papà, il quale mi delucidò sul fatto che la squadra in questione aveva proprio le maglie bianche e nere, mentre le altre squadre avevano dei colori che su un televisore in bianco e nero non era possibile riconoscere. Ed io ero già cotto. Qualche cosa era già successo, per questo motivo avevo fatto la domanda, ma ancora non me ne ero reso conto. Quando a mio padre chiesi dove giocava questa squadra, lui mi disse che era della mia città, ed io risposi che a Torino c’era già il Torino. Com’era possibile che fossero due le squadre in una stessa città? Così, pur senza entusiasmo ma con la minima e necessaria precisione, lui mi spiegò che a Torino, a Milano, a Genova, a Roma, ecc c’erano due grandi squadre cittadine. Cominciò ad elencarle, descrivendo i colori delle maglie, molto brevemente però, perché tanto a lui del calcio non è mai fregato nulla, giusto per dire quattro cose utili a un bambino curioso. Quando pronunciò la parola “Juventus” la cottura fu completa. Il nome e tutto il resto era talmente geniale che non ci fu più niente da fare. Ormai ero già diventato un pezzetto del puzzle di cui vi parlerò a breve.
E fu così che un bambino, molto piccolo, in una famiglia che di calcio masticava nulla (niente bar, niente partite, niente stadio, niente sciarpe, niente maglie), che ancora non andava a scuola, che ancora non conosceva le regole del calcio (sapevo solo che c’era il pallone, che i giocatori lo prendevano a calci, e che facevano dei gol, anche se ancora non sapevo bene dove doveva andare fisicamente il pallone per essere gol), divenne un tifoso della Juventus. A quell’età non sapevo nulla di vittorie, di campioni, di scudetti, ecc.
Chi è quel pirla che ancora non crede ai miracoli? Questo che cos’è, se non un piccolo miracolo?
La scoperta della storia del club è arrivata molto dopo, ed è stata quasi come la scoperta dell’America. Ma è stato anche un po’ come scoprire di essersi innamorato della più bella della scuola solo quando ti accorgi che anche molti tuoi compagni di classe sono innamorati di lei. Il fatto che sia la più bella è un fatto che non avevi mai messo a fuoco prima. E quando all’improvviso lo scopri, hai quasi paura…
Ecco, io quella paura l’ho sempre avuta. Per questa ragione, fino al maggio del 2006, non mi sono mai permesso di giudicare la proprietà della Juventus, i giocatori, e le varie dirigenze che si sono susseguite negli anni. Sempre massimo rispetto per il lavoro di tutti. Del resto non è facile per nessuno essere sempre all’altezza della più bella della scuola.
Il pezzo di storia che ho potuto vivere, però, l’ho sempre vissuto da spettatore esterno e in modo nascosto. Nascosto persino da me stesso forse. Ma di queste cose ho già parlato tante volte.
Comunque sia, osservavo e assorbivo la Juventus senza nemmeno accorgermene, perché ho sempre avuto mille pensieri, mille passioni e milioni di sogni, come tutti gli esseri umani che dai 5 ai 20 anni crescono d’istinto senza avere ancora la sufficiente maturità per “pesare” gli eventi.
Ora, tornando al discorso iniziale, mi chiedo come le nuove generazioni possano entrare nella dimensione di ciò che è stata la Juventus fino al 2006, visto che la stessa è stata ammazzata, e visto che loro non ne hanno accompagnato un pezzo di storia sufficientemente lungo per averla tatuata addosso come tanti di noi.
Alcuni di loro ogni tanto formulano domande legittime: "Come ci si sentiva quando la Juventus vinceva? Cosa distingueva le emozioni delle vittorie della Juventus rispetto alle vittorie di una qualunque squadra di qualunque sport?"
Umilmente vorrei provare a spiegarlo, dal mio piccolo punto di vista. Facciamo finta per un attimo che la Juve sia ancora viva e vincente.
Ecco, quando vince la Juve “tu” ti senti “tu”. E' come se ti sentissi più te stesso di tutti gli altri giorni.
Cioè... è come se ogni Juventino potesse sentirsi un pezzetto del puzzle tra milioni di pezzetti del puzzle. Ma il bello è che puoi distinguere i pezzetti uno per uno, e sai perfettamente quale dei pezzetti sei tu. Dove sei e chi sei. E non importa se resti a casa senza festeggiare perché magari vuoi restare tranquillo evitando il casino e gli strombazzamenti nelle orecchie. Non importa se vai solo a comprare il gelato da mangiare coi tuoi parenti per festeggiare. Non importa se sei con gli amici e la bandiera in centro a Torino. Non importa se sei con gli amici e la bandiera allo stadio. E non importa se abiti in un'altra parte d'Italia o del mondo.
In buona sostanza potresti anche avere la notizia della vittoria di un trofeo mentre stai facendo dei rilevamenti al Polo Nord con settanta gradi sotto zero.
E’ che in quel momento la Juve sei tu.
Il tifo normale è un’altra cosa; si basa sulla gioia di un momento. Per la Juve non è così. Il vero essere Juventini per me è il processo identificativo in senso spirituale. La consapevolezza che tu sei un pezzo importante di quella storia. Perché la storia l’hai respirata per degli anni, e ogni attimo lo sai gestire emozionalmente al meglio. Una specie di incredibile sintonia che ti permette anche di non vedere la partita, di avere pensieri più seri del calcio per la testa, problemi da affrontare, e chissà cos’altro; ma la Juve sei tu. Sempre. Un’emozione molto più strana di quella del giocatore che vince fisicamente il trofeo. Quando lui alza una coppa, è strano ma sei molto più tu ad alzarla. Lui tira in porta, ma il suo piede è milioni di piedi, tra cui c’è il tuo. Sei tu che fai il colpo di tacco o la rovesciata contro il Milan. Non c’è nessun beneficio personale, nessun interesse, e l’emozione è molto più tua di altre emozioni di tipo collettivo che si possono provare in altri contesti.
Oggi la Juve mi manca, perché quando sapevo che durante la giornata si sarebbe giocata una partita importante c’era sempre un piccolo pensiero dolce che faceva capolino, da qualche parte, tra i mille impegni di studio e lavoro, che accarezzava per un attimo qualcosa a cui volevo bene. Anche un attimo brevissimo. Una piccolissima e dolce carezza a tutta la storia di oltre un secolo. Non mi serviva vedere la partita.
Sapevo che sarebbe scesa in campo una maglia con tutta la sua storia, indossata da milioni di persone tra cui c’ero anche io, e che gli avversari avrebbero sentito sempre il dovere di tremare. E, come per magia, c’ero anche negli anni trenta, e poi ero seduto anche sulla panchina davanti a quel liceo nel 1897, e via così. Mi sentivo in campo fin dalla prima partita della storia della squadra. Ero presente, correvo, difendevo, paravo, segnavo gol e vincevo da sempre.
Era come sapere che sopra qualunque nuvola c’è sempre il cielo azzurro. Questo era la Juventus.
Ed è tutto questo che la proprietà della Juventus ha sepolto, prima di ogni altra cosa.
Una volta la Juve ero io. Una volta la Juve eri tu. Una volta la Juve eravamo tutti noi.
Mi spiace molto che tanti giovani non abbiano avuto l’opportunità di conoscerla.
Grazie Exor, a buon rendere.
Adesso sopra le nuvole non c'è più niente.