Mughini: "Questa Juve non mi emoziona più"

mughiniPer gentile concessione dell'amico Giampiero Mughini, riprendiamo da Libero del 29 gennaio questo suo articolo sulla Juve e sulle emozioni che non riesce più a trasmettere. Siamo sicuri che tanti nostri lettori vi si riconosceranno, come è accaduto a noi.

Senza emozioni. Così, assolutamente senza emozioni, ho guardato giovedì sera Juve-Roma 0-2 che mette una pietra tombale sull’ultima ambizione della Juve targata 2010-2011, quella che Andrea Agnelli e Beppe Marotta avrebbero voluto ricostruire dalle macerie del post-Calciopoli. Di questa Juve avevo scritto così (su “Libero”) all’avvio della stagione calcistica: può darsi che diventerà una squadra funzionante da migliorare poi ulteriormente, può darsi che annegherà nella mediocrità dei giocatori che sono stati scelti e che non sono dei campioni. La seconda che ho detto.
Purtroppo a metà del cammino il bottino è di due punti in più rispetto al rovinoso campionato scorso, e per il resto zero. Di campioni in campo nemmeno l’ombra. Il ginocchio di Quagliarella ha sbattuto contro la mala sorte; Krasic non ce la fa più neppure ad andare a rispondere al telefono; Aquilani è fuori condizione. Per il resto infortuni a catena e mediocrità disarmante in campo. Non si può pensar di vincere nulla con Grygera, con l’invecchiato Grosso, con il pur volenteroso Pepe, con il fantasma di un giocatore chiamato Martinez, con la contraffazione del Sissoko della prima stagione juventina.
L’ho detto, ho guardato la partita di giovedì sera senza la benché minima emozione. Aspettavo solo il momento che la Roma la mettesse dentro. A un certo punto sono andato a guardare la trasmissione di Michele Santoro, che comunque aveva tutt’altre vibrazioni. Sono tornato a vedere la partita negli ultimi dieci minuti, quello che doveva essere l’arrembaggio della Juve a tentare il pareggio. Quando all’ultimo minuto Taddei l’ha messa dentro, e in quella desolata area juventina aveva attorno delle mummie bianconere che lo guardavano con una qualche curosità, non ho provato nulla di nulla. Cappello alla Roma di Claudio Ranieri e del mio amico Giampaolo Montali. Che brutto vedere una partita di calcio e non provare la benché minima emozione. Vedere in campo le maglie bianconere e non provare emozioni. Mi era mai successo? Mi è subito arrivato un sms di un fratello di pene juventine, il quale auspicava una “nuova rivoluzione” tecnica e societaria. Quale? Non c’è una lira, bellezza.
Non che Moggi e Giraudo di lire ne avessero. Solo che allora la Juve era la Juve, i giocatori che comprava a dieci li rivendeva a quindici, e non c’era giocatore al mondo che non bramasse la maglia bianconera, e Moggi arrivava a uno Zidane o a un Ibrahimovic di cui nessuno sapeva e voleva, e un arbitro se sbagliava era più probabile che sbagliasse a favore della Juve, una squadra dalla storia sontuosa e la cui dirigenza era politicamente potente. Oggi per un arbitro fa chic sbagliare contro la Juve, così come nel giornalismo politico fa chic dire che Bettino Craxi era un malfattore. Io vi confermo la mia idea che gli arbitri hanno contato sempre molto poco quanto ai risultati di un torneo di calcio. Certo è che quando l’arbitro di Juve-Roma non ha battuto ciglio al momento in cui Mexès s’è avvinghiato ad Alex e lo ha messo giù, mi sono sentito sfottuto. Sette volte su dieci quello è un rigore, ma ne accenno solo col sorriso (amaro) sulla bocca.
Purtroppo una società che ha accettato l’onta e il martirio di Calciopoli senza battere ciglio è difficile che recuperi credito. Una società che aveva promosso un’azione giudiziaria per bilancio fasullo contro il miglior gruppo dirigente che una squadra di calcio italiana abbia mai avuto, è difficile che sia trattata con rispetto, e anche se Andrea Agnelli quell’azione giudiziaria vergognosa l’ha ritratta. E poi c’è che se i giocatori non sono da Juve non c’è niente da fare. Non che dovessero essere per forza dei fuoriclasse. Beppe Furino non era un fuoriclasse, era molto di più di un fuoriclasse: era il “capitan Furia” della più bella Juve tutta italiana degli ultimi quarant’anni. Non era un fuoriclasse Francesco Morini, che da stopper non sbagliava un intervento e che sarebbe morto anziché lasciare a Taddei il tempo di colpire la palla e fare un bellissimo gol. Non era un fuoriclasse e bensì un ferrovecchio Fabio Cannavaro (questo a giudizio dell’Inter), uno che Moggi volle a tutti i costi e che con la maglia bianconera è diventato campione del mondo e Pallone d’Oro. E non continuo così, perché se no mi intristisco.
Gli anni passano, le generazioni pure. E’ finito l’Impero Romano, la Repubblica marinara di Venezia, il tempo in cui il drappo orgoglioso della Spagna sventolava su territori sui quali non tramontava mai il sole. Credo sia purtroppo finito il tempo di un’insegna calcistica voluta da un gruppo di liceali nella magnifica Torino di fine Ottocento. Una squadra e un mito durati un secolo e più. Un secolo e più di vittorie, ciò che nello sport è inaudito.
Ringrazio il cielo di essere stato testimone oculare della metà di quelle vittorie sino allo scudetto dei 91 punti, il ventinovesimo, e al trionfo nel Mundial del 2006, un trionfo che sapeva di juventinità. That’s the end, my beautiful friend. E’ purtroppo finita.