25 anni fa, Juve campione del mondo

platini_tokioOggi è l'8 dicembre e i media di tutto il mondo ricordano il trentennale dell'assassinio di John Lennon, evento tragico che colpì le folle a livello planetario per quello che l'ex Beatle aveva rappresentato e continua a rappresentare. Ma, pur partecipando alla commemorazione del mito lennoniano come appassionato dei Fab Four, voglio ricordare l'8 dicembre per qualcosa di felice ed entusiasmante per tutti i tifosi juventini che esattamente venticinque anni fa vissero una notte sportivamente indimenticabile.
La sera del 7 dicembre 1985, allora quattordicenne, chiesi a mio padre il permesso per programmare la nostra chiassosissima sveglia (che di solito suonava alle sette e mezza) per le quattro meno un quarto del mattino successivo.
Dividevo la cameretta con mio fratello, che all'epoca aveva 6 anni, e mia madre si oppose ("ma sei matto a scatenare un simile baccano a quell'ora?").
Così, dopo aver registrato l'indifferenza di mio padre, che sembrava ignorare la mia richiesta, andai a letto stizzito ed arrabbiato.
Per colpa dei miei genitori, e per non svegliare il "piccolo" (che negli anni, dopo un percorso tortuoso, sarebbe pure diventato interista...), rischiavo di perdermi quella che, almeno fino ad allora, sarebbe stata la partita più importante nella storia della Juventus.
La partita che poteva consacrare campione del Mondo per club la Juventus, campione d'Europa in carica.
Per nulla al mondo mi sarei perso la diretta da Tokyo, su Canale 5, con la tv berlusconiana che iniziava a mettere in dubbio il duopolio calcistico che, di fatto, Rai e Telemontecarlo vantavano sul calcio in diretta.
Decisi di adottare una strategia che negli anni sarebbe sfociata, mio malgrado, in una cattiva e dannosa abitudine poi tramutatasi in una forma di insonnia: resistere al sonno e arrivare sveglio a ridosso dell'orario di inizio.
Non rammento cosa inventai per riuscire nell' "impresa", le uniche cose che ricordo furono i lamenti di mio fratello, infastidito dalla luce dell'abat-jour che tenevo acceso per leggere, tentando di ingannare il sonno, e il fallimento dell'impresa stessa.
Perché mi addormentai, ma la sorpresa più gradita fu nel sentire qualcuno che mi svegliò con un: "E' ora di alzarsi, sta per cominciare!".
Mio padre, quello che aveva reagito con disinteresse alla mia richiesta di poche ore prima, era già sveglio e stava seguendo il prepartita...
Di quella notte cosa mi rimane?
Il rumore assordante delle trombette, delle vuvuzelas più squillanti ma altrettanto fastidiose; un campo che sembrava una torbiera, tanto appariva morbido e con l'erba di un colore verde opaco, spento; le voci dei commentatori: quella del misurato Giuseppe Albertini, e quella di Roberto Bettega, che non riusciva a contenere la sua juventinità.
E ricordo una partita dall'andamento rocambolesco ed emozionante, vissuta sul divano con mio padre che in situazioni di pericolo per la porta bianconera usava, come d'abitudine, muovere istintivamente le gambe come se potesse spazzare l'area, rinviare, scacciare il pericolo.
Ricordo che le telecamere erano tutte per Michel: qualsiasi cosa facesse, la regìa giapponese lo inquadrava e in sovraimpressione compariva la doppia, "rudimentale" didascalia in caratteri occidentali e in ideogrammi.
Ricordo Scirea, che alzò la Coppa come primo giocatore europeo ad aver giocato e vinto tutte le finali delle Coppe Europee e Mondiali; Cabrini, l'altro reduce di lungo corso; i peones Favero e Bonini; il gigante Brio, freddissimo dal dischetto; Serena, Mauro e Manfredonia, che quella partita la giocarono grazie a chi, nel frattempo, aveva preso altre strade (Rossi, Tardelli e Boniek); i subentrati Briaschi e Pioli, dalle carriere meno fortunate di quanto meritassero; Miki Laudrup, autore di una gara meravigliosa (e di un gol impossibile) macchiata da un rigore fallito che poteva costare caro.
E ricordo Tacconi, determinante nel neutralizzare i rigori calciati da Batista e Pavoni e, anche se è un'immagine ormai abusata, ricordo Platini quando segnò quel gol straordinario sciaguratamente annullato da Roth e quando, finalmente, si inginocchiò per esultare dopo il rigore decisivo.
In campo c'era un avversario che si distingueva: si chiamava Claudio Daniel Borghi e mostrò il campionario delle proprie meraviglie tutto in una volta sola.
Fu abbastanza per far innamorare Berlusconi, che lo acquistò per il suo Milan pensando di imporlo ai tecnici alle sue dipendenze.
Borghi, che lanciò Castro ed Ereros per il duplice vantaggio argentino, e fece impazzire la retroguardia della Juve, sarebbe poi svanito nel nulla come una meteora, non riproponendosi più ai livelli di quell'8 dicembre 1985.
Quando la Juve diventò campione del Mondo per la prima volta.