L'esempio di Raùl e una Juve che fatico a riconoscere

del pieroRaùl Gonzales Blanco, a parte una breve parentesi nei preferente infantil dell'Atletico Madrid, ha vissuto una carriera totalmente targata Real Madrid.
Per uno che si chiama "Blanco" non si può dire che il destino non sia già scritto nel nome.
Raùl ha letteralmente stracciato tutti i primati individuali del club più blasonato del Pianeta Terra, un club che ha regalato dozzine di idoli ad uso e consumo del culto dei propri tifosi, i quali non hanno mai avuto realmente a che fare con discorsi del tipo "vendere per fare cassa" nemmeno in tempi meno opulenti rispetto all'era "galactica" firmata Florentino Perez.
Ma, nonostante le tante stelle e stelline che hanno illuminato il cielo del Bernabeu negli ultimi tre lustri, Raùl è l'indiscusso simbolo del madridismo, quello da prendere ad esempio, il ragazzo prelevato giovanissimo, cresciuto in casa ed esploso precocissimo in prima squadra.
L'uomo che ha attraversato momenti esaltanti e delusioni cocenti, distinguendosi sempre per educazione e professionalità.
Non il più dotato, ma il più amato.
All'età di 33 anni la storia d'amore fra il simbolo merengue e il club col quale si è identificato si interrompe.
Raùl non vuole andare in "pensione" negli States, non accetta che l'arrivo di Mourinho significhi emarginazione.
E allora sceglie la sfida Schalke 04.
Legittimamente, senza polemiche e nessun mugugno.
In silenzio.
Alla Juventus c'è un giocatore che inizierà la diciottesima stagione da aggregato alla prima squadra, un giocatore che ha avuto una carriera parallela a quella di Raùl, anche se di tre anni più vecchio dello spagnolo.
Un giocatore che ha in comune con l'ormai ex numero sette merengue la stessa parabola, rapporto complicato con la propria Nazionale compresa.
Un giocatore che all'età di Raùl aveva deciso di fare la stessa scelta operata in queste ore dal collega iberico, scelta rientrata per via di dinamiche legate alla maledetta estate del 2006.
Dinamiche che hanno cambiato troppe cose, e ci vorrà tempo per tornare all'antico.
Perché se il Real Madrid assume Mourinho e costui non esita a mettere alla porta la storia di un simbolo per continuare a fare la Storia del club, a Torino chiunque arrivi per prima cosa dichiara ai quattro venti che ripartirà dal capitano.
Perché c'è questa necessità di fare i conti con un totem, per quanto importante e "ingombrante" sia?
E' una domanda che mi pongo e che giro a Del Neri, Marotta e Andrea Agnelli.
E' forse un po' presto e pure ingeneroso chiedere conto ad una dirigenza appena insediata di risolvere tutti i problemi con una bacchetta magica, oggetto che nel mondo reale non esiste.
Vuole essere solo un monito, tutto qui, e mi auguro non serva.
Spero che queste righe sortiscano il solo effetto di attirare verso la mia persona le antipatie (eufemismo) dei delpieristi per vocazione, e, altrettanto presuntuosamente, se mai i dirigenti della Juventus dovessero leggere queste riflessioni, mi auguro di strappare un sorriso a chi in pubblico si esprime in modo politically correct, ma in realtà ha idee molto chiare.
E ben diverse.
Perché, se la Storia della Juventus 1897-2006 insegna qualcosa, insegna che i calciatori fanno i calciatori e i dirigenti fanno i dirigenti.