La luna dello J-Stadium

Al 61' della partita di ritorno contro l'Olympiacos, la Juventus era virtualmente fuori dalla Champions League edizione 2014/15. Perdendo, la squadra bianconera sarebbe stata praticamente eliminata, con l'unica eccezione rappresentata da due sconfitte dell'Atletico, di cui una in casa nell'infuocato Calderón, nelle rimanenti due partite. Contemporaneamente sarebbero state necessarie due vittorie della Juve, compresa quella contro la squadra di Madrid allo Juventus Stadium nell'ultima giornata del girone di qualificazione, e con un punteggio migliore dell'1-0 dell'andata.
Nel caso in cui martedì la Juventus fosse riuscita a pareggiare nei rimanenti trenta minuti scarsi, le possibilità di passaggio del turno sarebbero state maggiori, ma pur sempre limitatissime. Per qualificarsi, all'Olympiacos sarebbe bastato successivamente vincere in casa contro il Malmö, campo in cui in passato la squadra ateniese ha fatto lo scalpo a squadre ben più blasonate dei volenterosi ma modesti svedesi. In quel caso la squadra piemontese sarebbe stata costretta a fare ancora una volta la corsa sull'Atletico, che avrebbe dovuto battere in casa, sempre con un punteggio tale da permettere di portare a proprio vantaggio il punteggio nello scontro diretto e sperare nel colpaccio dell'Olympiacos di riuscire ad uscire imbattuto dallo stadio di Madrid.
Qualcuno la chiama entità, qualcuno la chiama maledizione, qualcuno casualità o fortuna di Champions, da guadagnarsi con atteggiamenti coraggiosi e di carattere al limite della sfrontatezza. Comunque la si voglia chiamare, quella "cosa" ha dato una grandissima mano alla Juve con quel gollonzo di rara bellezza, straordinario anche perché avvenuto a pochissimi minuti, quattro per la precisione, dal vantaggio greco. Dunque una partita rimessa immediatamente nei binari, prima ancora che un possibile scoramento, magari indotto dalla storia recente di questo gruppo in Champions League, o anche solo la semplice frenesia di recuperare il risultato, potesse prendere il sopravvento nella mente dei giocatori.

Tanto è difficile trovare un nome appropriato a questa "cosa" tipica della massima competizione europea per club, tanto è facile da descriverla: cross telefonato dalla trequarti, palla carambolata testa difensore su testa Llorente, palo, gamba del portiere, gol. Nella storia recente della Juventus di Champions, forse soltanto il gol di Emerson contro il Werder Brema di qualche stagione fa è stato più comico, anche se quello di ieri ha avuto una concatenazione di eventi difficile da battere. Archiviato il gollonzo, ecco un minuto dopo un altro po' di quella "cosa" quando Pogba cincischia cercando un improbabile passaggio filtrante nel traffico dell'area di rigore ritrovandosi poi lì la palla per sparare con prontezza la solita bomba nell'angolino.
Alla fine quella "cosa" avrà detto: ragazzi, oh, ma tutto io devo fare, maremma buhaiola? E così ha fatto sbagliare il calcio di rigore ad Arturo Vidal all'ultimo secondo di una gara giocata dal cileno con grandissima generosità e spirito di sacrificio, sempre disponibile al pressing e ad aiutare i compagni, e oltretutto partecipando alla manovra d'attacco con buona qualità tecnica, se si esclude il rigore e la mancanza di personalità nel finalizzare a rete un perfetto contropiede portato avanti dall'Apache.

Una gara che ha vissuto grandi sbalzi emozionali e mille episodi, errori difensivi e sotto porta, e che sarebbe potuta finire senza problemi 4-0, ma che invece è rimasta in bilico fino all'ultimo secondo del quarto minuto di recupero. Il calcio di rigore è il dito, il fatto che siamo ancora vivi in Champions e possiamo addirittura ancora arrivare primi è la luna sopra lo J-Stadium di ieri sera.