Visti dalla Est - La notte dei Campioni

In serate come questa giusto partire dalla considerazione per gli sconfitti: ottima squadra, grandi individualità, ben messa in campo e conscia di come agire e come colpire per fare male.
Penso che rispetto a quella dell'anno scorso, nonostante il ricambio di giocatori e il doppio impegno pressante, la Roma attuale possa lottare per il massimo traguardo fino in fondo.
E questo è un bene, perché i nostri giocatori, nonostante gli scudetti in serie, hanno dimostrato anche grazie a loro la voglia di soffrire, combattere e raggiungere l'obiettivo con quella fame che per alcuni era sopita, con la sazietà che colpisce chi non solo ha vinto, ma ha rivinto e si è confermata per la terza volta.
Sarebbe ingeneroso non ricordare il record di tutti i tempi in campionato delle vittorie consecutive in casa, prima pareggiato con il Grande Torino ed ora in solitudine appannaggio dei nostri colori.
Delle molte vittorie in serie, questa è forse la più densa di significati, di valore e contiene un'implicita dichiarazione di intenti bellicosi per tutti i naviganti. Ed è la conferma della difficile violabilità di quella che dall'inaugurazione è stata chiamata "la nostra casa".
Nella nostra casa per almeno due anni buoni la bolgia l'ha fatta da padrone, all'inizio spontanea, come risposta ai due anni bui precedenti e alla necessità di ritrovarsi vera Juve, altre volte richiamata da giocatori e staff tecnico, sia per intimorire l'avversario di turno che per richiamare la necessità dei protagonisti in campo di andare oltre i propri limiti manifesti per vincere con la spinta del pubblico.
Una bolgia pian piano scemata, sempre più in funzione della capacità della squadra di saper correre e vincere con il pilota automatico, sempre più conscia della propria forza, dei propri limiti ma anche dei molti pregi.
Ecco, dopo un periodo di torpore la bolgia è ricomparsa, di certo non chiesta in maniera pressante dal nuovo allenatore, auspicata ma non implorata dai nostri. Merito dell'avversario, come detto, ma anche della voglia dimostrata più volte in questa occasione di non capitolare, di non cedere il passo alla forza emergente e alla ribellione giallorossa alle batoste che puntualmente negli ultimi anni si sono verificate a loro danno.
Solo uno sceneggiatore beffardo avrebbe poi designato il viterbese Bonucci, protagonista nei molti prematch dello stadium della cerimonia del regalo dei palloni alla curva tra primo e secondo anello, come fiero giustiziere della lupa, con un gesto al limite tra la pazzia e la chirurgica precisione.
Già dalle prime battute si era capito che i discorsi di tecnica e tattica sarebbero tristemente naufragati in un match subito elettrico, con quella tensione figlia della pressione dei media e, dobbiamo dirlo chiaramente, dell'incapacità dell'arbitro designato per la partita a tenere in mano l'andamento della stessa, stroncando sul nascere proteste, interventi al limite del codice penale, situazioni chiare rese intricate dalla sua inadeguatezza. Questo è valso sia da una parte che dall'altra, ma l'esame di coscienza per i designatori è necessario.
Come detto all'inizio, Roma ben messa in campo, con un Keita in mezzo sontuoso nel dirigere il traffico dei suoi, davanti le due frecce Gervinho e Iturbe tenute larghe per aprire le maglie della nostra difesa e Totti pronto a inserirsi tra le linee in fase di possesso, e a seguire Pirlo per quanto possibile in fase di contenimento. I nostri, partiti a 3 dietro come da consuetudine, sono subito passati a 4 prima per volontà e poi, dall'infortunio di un ottimo Caceres, per necessità, con Lichtsteiner tenuto più basso per concedere il raddoppio in aiuto a Ogbonna, ottimo in anticipo ma molto in sofferenza con il brevilineo ivoriano.
In mezzo, la sorpresa Pirlo, con la corretta gestione di Allegri dei suoi scudieri: ovvero l'esclusione di un Vidal mercoledì in grosso deficit fisico e la scelta di Marchisio e Pogba, anche se invertiti rispetto alle posizioni solite, per mantenere il dinamico Claudio in appoggio anche lui a destra, in quello individuato come il lato forte giallorosso.
Partita caratterizzata dal risultato altalenante e dalla sensazione, ad ogni avanzata, che si potesse ribaltare qualunque pronostico. Sinceramente, per il nostro campionato, una rarità tra prime della classe, che negli scontri diretti tendono, soprattutto a inizio anno, a sonnecchiare in attesa dell'episodio a favore.
Due squadre diametralmente opposte come gestione di palla e capacità di verticalizzare, noi molto palleggiatori, fisicamente più forti e portati al pressing alto, loro più guizzanti e "verticali", con il loro secondo goal da manuale dell'aggressione della difesa in linea come velocità e tempismo sul passaggio.
Entrambe le squadre si sono trovate in svantaggio, ma hanno dimostrato di saper reggere la pressione con personalità e di non scomporsi, rispondendo colpo su colpo. In questo quadro un peccato l'abbandonarsi a proteste e alla ricerca della rissa da parte di alcuni elementi prima del fischio finale.
Allegri, messo in croce per una gestione non ottimale della partita con l'Atletico, stavolta ha letto benissimo lo sviluppo, al netto dell'ingresso forzato di Ogbonna, con gli aggiustamenti tattici e l'inserimento di Morata che, fino all'espulsione, ha dato grosso contributo di movimento, scambio e profondità.
Cosa rimane di questa partita? La conferma di essere una grande squadra, con qualche margine di miglioramento, che potrebbe fare la differenza soprattutto in campo europeo. La commozione di aver percepito 40.000 cuori battere all'unisono per i nostri colori, al di là delle polemiche di quest'anno e di quelle che aleggiano sempre nonostante le vittorie ottenute. La voglia di vivere di nuovo simili serate, perché quando capisci che i protagonisti sul campo hanno dato il massimo e oltre, allora non c'è vittoria o sconfitta, ma solo fiera juventinità.