Clamorose conferme a tanti dubbi su Calciopoli da un investigatore

carabinieriDa stamattina il web bianconero, e non solo, è scosso da un'intervista pubblicata dal Corriere dello Sport, riportata anche da La Stampa e dal Quotidiano Nazionale, ad uno degli investigatori di Calciopoli che ha deciso di fare luce su alcuni aspetti dell'indagine che mai avevano convinto.
Non è un testimone qualunque, ma uno di quelli che hanno partecipato alle indagini e che delle stesse, come delle scelte fatte nella caserma di via in Selci, ha una conoscenza diretta.
Questa intervista, della quale va dato merito ad Edmondo Pinna del Corriere dello Sport, non ci ha colto di sorpresa, perché da luglio 2011 molte di queste cose sono già note in diverse redazioni che sono rimaste silenti e non hanno osato come Pinna. Anche la nostra aveva avuto le sue buone fonti, tanto che ne abbiamo dato informazione ai nostri lettori con l'articolo del 24 luglio "A chi vuol fare le scarpe Della Valle".
L'intervista risponde alle domande dalla quattro alla sette che avevamo posto nell'articolo.
Il carabiniere, la cui identità è nota all'intervistatore e che ha chiesto per il momento l'anonimato, conferma che Arcangioli (non firmò la seconda informativa) arrivò "ai ferri corti" con Auricchio sull'opportunità di continuare un'indagine debole che impegnava quindici uomini su sessanta in forza alla caserma.
Ora giova ricordare che Arcangioli era il diretto superiore di Auricchio e se l'allora maggiore potè continuare le indagini contro il parere superiore viene da chiedersi, e sarebbe bello veder chiariti, quali scenari e persone Auricchio ebbe dalla sua per mettere nell'angolo la volontà del suo superiore, sempre se corrisponde al vero quanto affermato dall'investigatore. Il dato certo a conferma, per ora, è che Arcangioli la seconda informativa non la firmò.
L'intervista riporta a galla anche il ruolo di Manfredi Martino, quello del "colpo di tosse", ed i suoi interrogatori da "persona informata", otto interrogatori, due condotti dagli investigatori e sei dai pm. Giova ricordare che a maggio 2006 gli investigatori avevano lavorato sull'ipotesi di un'associazione a delinquere che, per poter perpetrare le frodi sul campo, aveva bisogno dell'architrave dei sorteggi truccati, ipotesi che non era stata per nulla provata con un fatto o filmato inconfutabile, che aveva visto solo due "servizi di osservazione" dei sorteggi, e che necessitava del puntello di un pentito perché potesse essere almeno presentabile in aula. Diciamo che un anno dopo le indagini mancava ancora la prova "regina" per dimostrare che l'architrave della cupola non era poggiata sull'argilla. Ma quasi, se si è dovuta attaccare ad un colpo di tosse ricordato dopo otto interrogatori.
L'investigatore ha spiegato, finalmente, anche perché di molte telefonate si avessero i brogliacci e non si trovassero i files audio: il server spesso non funzionava e finché non lo riparavano perdevano molte intercettazioni.
Anche la nostra settima domanda di luglio trova risposta: secondo l'investigatore, uno dei "magnifici 12 della squadra Off-side", ricordiamolo, esisterebbe l'intercettazione ambientale dell'incontro tra i Della Valle e Bergamo, ne è "sicuro".
Ma è interessante anche la parte sui "baffi" e su chi "selezionava" le intercettazioni al secondo livello, così come è importante verificare quanto l'investigatore asserisce essergli stato raccontato a proposito di cenette a Napoli, da "Zi’ Teresa" (nulla a che fare con la Casoria, ndr): "Auricchio, Arcangioli, Narducci, anche altri personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli".
L'investigatore non fa il nome dell'ex pm Beatrice, che già si era smarcato dichiarando che fino al 2009, prima di passare ad altro incarico, non conosceva quelle telefonate ritrovate dalla difesa di Moggi. Sugli "altri personaggi", secondo noi ben immaginabili dai nostri attenti lettori, appuntamento alle prossime puntate, perché quello che il validissimo Pinna è riuscito ad ottenere non è ancora tutto, ne siamo convintissimi. E ci piacerebbe sapere quanti caffè presero veramente insieme Auricchio e Baldini, per esempio, perché i numeri che hanno dato nelle loro risposte in aula non combacia.
Lo abbiamo sempre sostenuto, ed oggi ne siamo più convinti che mai, che solo una "indagine sull'indagine" potrà cercare di dare le risposte a molte domande su tanti fatti poco chiari e chiariti, anche perché chi dovrebbe fare informazione cercando la verità e facendo indagine si accontenta di chiedere ad Auricchio, dopo la sentenza, se "Ha stappato lo champagne?". Buchi rosa e buchi neri oggi un po' meno neri.



CLAMOROSO
Le rivelazioni di un investigatore che ascoltava le intercettazioni «Calciopoli: tutto quello che non sapete».

di EDMONDO PINNA (Corriere dello Sport del 23-12-2011)

Parla uno degli uomini di Calciopoli. Parla, racconta, descrive pagine di un libro inedito, svelandoci le “sue” verità. L'idea è che le sue rivelazioni non siano solo un sasso nello stagno ma uno stimolo al dibattito. E su queste colonne chi vuole e vorrà rispondere troverà uguale ospitalità. Intanto, il nostro interlocutore parla (ci dice) per liberarsi da un peso, per sperare che la “sua” verità possa diventare verità storica. Un appuntamento mancato nei dintorni di Firenze, l’attesa attorno all’ora di pranzo, un hotel a fare da coreografia. Viene o non viene? No, non verrà, un contrattempo, all’ultimo momento, perché succede così anche nei film che fanno botteghino. Ma è una parentesi, che si chiude qualche giorno dopo, nel cuore di Roma, un ufficio con vista fra la cupola di San Pietro e il Tevere, mentre intorno brillano le luci di Natale. Si comincia che il sereno del cielo sta per farsi azzurro, si finisce che è notte ed il freddo è tornato pungente. Parla, uno degli uomini di Calciopoli. Non uno qualsiasi, però. Ma uno che, in quell’inchiesta, stava dall’altra parte, dalla parte di chi, quelle indagini, le ha fatte. Un investigatore. Ci qualifichiamo, i documenti sul tavolo, non per mancanza di fiducia, ma per garanzia reciproca. Chiede che il suo nome non venga svelato sul giornale. E poi racconta...


Calciopoli, definito il più grande scandalo del calcio mondiale, nasce da quale inchiesta?
«La cosa degli arbitri, l’inchiesta che stava a Napoli. Da lì poi parte un supplemento di indagini, perchè a Torino avevano archiviato e mandato gli atti. . . Da questo hanno preso spunto e da lì sono partite varie intercettazioni, all'inizio erano due telefoni controllati, telefonino e telefono di casa...»

Da due telefoni a oltre centosettantamila intercettazioni?
«Si allarga il giro con le telefonate: questo conosceva quello, quello conosceva quell'altro e si iniziano a mettere tutti i telefoni sotto controllo. In un momento uscivano venti numeri di telefono nuovi. Parlavano, parlavano... Parlavano di stupidaggini alla fine, niente di che. . . Fino a quando si è arrivati a Moggi. Anche se, quando senti il sonoro, quello scherza, quell'altro fa il fenomeno...».

Lei ascoltava le telefonate?
«Si, sentivo le intercettazioni»

Quanti eravate?
«Dodici, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, in via in Selci. Ma non pensate alle bobine di una volta. Ci sono computer, entri con la password... e ognuno seguiva una singola utenza.. Poi alla fine si faceva una riunione, io ho seguito questo, ho seguito quell'altro e si faceva resoconto».

Ci spieghi una cosa: come mai le telefonate che riguardavano l’Inter non sono entrate nell’inchiesta? Eppure il loro tenore non era diverso da quelle che abbiamo letto, dal 2006 ad oggi...
«Noi facevamo i baffetti: dopo ogni telefonata usavamo il verde se le conversazioni erano ininfluenti, l’arancione se c'era qualche cosettina. Col rosso parlavano di calcio (nel senso, cose che potevano interessare all’inchiesta, ndr). Noi facevamo un rapido riassunto, un brogliaccio. Ogni telefonata aveva il suo brogliaccio, nome cognome e di cosa parlavano, se era interessante.. C'era una cartellina con il nome».

Ha mai intercettato una telefonata dell’Inter? Le ha mai sentite? Sapeva che c’erano?
«Che ci stavano sì, ma io personalmente no. Io facevo altro. . . »

Ma Lei ha mai sentito Bergamo, ad esempio, che parlava con Facchetti. O con Moratti.
«Tu non è che fai sempre gli stessi... Se capita che non ci sei, c'è un altro che ascolta».

Una giornata a sentire le intercettazioni, a mettere i baffetti e scrivere i brogliacci. E poi?
«Tutte le sere si facevano le riunioni a fine servizio. Attorno ad un tavolo».

Ha mai avuto la sensazione di “tagli”?
«No. Che poi c'erano Auricchio (il tenente colonnello del Nucleo Investigativo dei Carabinieri, ndr) e Di Laroni (maresciallo capo dei Carabinieri) che decidevano cosa mettere o non mettere nell'informativa è un altro discorso. Ma durante le riunioni no»

Però alcune intercettazioni non sono finite nell’inchiesta, nelle indagini. Un’anomalia?
«C’erano perché ci sono le registrazioni. La cosa un po’ anomala è il server delle intercettazioni. E’ in Procura, a Roma, a Piazzale Clodio. Quando c’era qualche problema, e capitava spesso, telefonavamo a chi era in Procura: “Guarda, la postazione 15 qui non funziona, che è successo?” “Vabbé adesso controllo....”. Dopo un po’ richiamavano da Piazzale Clodio: “Ti ho ridato la linea, vedi un po’”. Andavi a controllare, magari avevi finito alla telefonata 250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le altre 30? “Me le so perse. . . ”».

Chi contattava il responsabile del server a Piazzale Clodio?
«Non ci parlavamo solo noi, c’era anche il responsabile della sala. Ci parlava Auricchio, ci parlava Di Laroni...».

E’ tecnicamente possibile non intercettare un’utenza sotto controllo per un determinato periodo di tempo?
«Tranquillamente. Tu stacchi il server e la cosa si perde».

Torniamo alle telefonate alle quali avevate messo i baffetti rossi: non sono finite nell’inchiesta.
«Evidentemente non ci dovevano andare, che devo dire.... Non lo so questo. So soltanto che quello che veniva fatto, veniva fatto per costruire. Poi io ti porto il materiale, t’ho portato il mattone ma se tu non ce lo metti, 'sto mattone..».

Vi hanno detto che l’indagine doveva essere fatta su Moggi, Bergamo, Pairetto, eccetera?
«No, no. Noi eravamo liberi».

Quindi il lavoro di scrematura veniva fatto dopo?
«Sì, nella seconda fase».

Avete mai intercettato le sim estere? Quelle del gestore svizzero, per capirci.
«Quando vai ad intercettare una scheda straniera, in questo caso Svizzera, devi chiedere l’autorizzazione. E loro che cosa hanno fatto? L’hanno chiesta ma, nello stesso tempo, hanno già attaccato il telefono. Ma a quel telefono non parlavano. In quindici giorni, questa scheda, non ha fatto niente».

Di chi era la scheda?
«Di Luciano Moggi»

Non la usava?
«Non faceva niente, telefono muto. E’ come se tu metti sotto (controllo, ndr) questo telefono (e indica il suo, ndr) e poi questo è spento per un mese. Zero. E quindi questa cosa delle schede è stata un po’ accantonata perché poi l’autorizzazione non te la dava nessuno».

Si parlava di anomalie.
«Nel corso di questa indagine sono nate delle cose che inizialmente non c’erano, mentre cose che inizialmente c’erano, non ci stanno più».

Cioè?
«Un esempio di quello che non c’era e si è materializzato nel giro di poco tempo: Martino Manfredi (ex segretario della Can A-B, ndr). Quando l’abbiamo portato in ufficio era morto, era un cadavere, tremava, aveva paura... Diceva: “io non so niente, non ‘è successo niente, ma quando mai... “. E piangeva sul fatto del posto di lavoro... “come faccio... non posso lavorare più, mi devo sposare...”. Dopo un po’ di tempo, sto Martino un giorno è andato a lavorare in Federcalcio.... quando lui ha cominciato ad essere interrogato. . . . improvvisamente è uscita la storia delle palline. Quella è la cosa che io dico: è lecito e capibile da parte sua, un po’ meno da. . . . »

Si può definire un pentito?
«Non lo so. Prima non sapeva niente, poi sapeva tutto, sapeva di questo, di quell’altro, di Pairetto, della Fazi...».

Lei ha detto: cose che inizialmente c’erano, non ci stanno più. Cioè?
«La storia dell’intercettazione ambientale a Villa La Massa, vicino Firenze»

E’ il pranzo che secondo l’accusa rappresenta l’architrave del patto per salvare la Fiorentina. Andrea e Diego Della Valle da una parte, Mazzini e Bergamo dall’altra. Bene, e cosa non c’è più?

«Di questo incontro si è saputo nell’arco di 4, 5 giorni, attraverso le intercettazioni. Il servizio era organizzato con telecamera e microfono direzionale. Se la cosa fosse stata fatta in un locale dove c’era gente e avendolo saputo un po’ prima, si potevano mettere microspie dappertutto. Invece così, in pochissimo tempo, e non a Roma ma a Firenze, era difficoltoso. Con il microfono direzionale, a cinquanta, cento metri, senti quello che uno dice. E lo filmi con la telecamera. Però sta voce non s’è mai sentita.. . . Io so che l’hanno sentita... Questa cosa è importante perché là io so che non hanno parlato di niente. Questi qui hanno parlato ma non hanno detto niente di.... Magari pensi che Della Valle abbia detto a Mazzini: “Dai, famme vince, mandami quest’arbitro”, che sarebbe stata una cosa penalmente rilevante. Invece, non hanno detto niente. Ci sono le immagini, Diego e Andrea che scendono dal furgoncino, che si sono incontrati con Bergamo. Hanno dato più rilevanza a questo che non facendo sentire l’audio».

Secondo Lei, quindi, l’audio c’è?
«Non secondo me. L’audio c’è».

Sicuro?
«Sicuro»

La difesa della Fiorentina, durante il processo, ha puntato proprio sulla presunta esistenza di quest’audio...
«La Fiorentina evidentemente qualcosa ha saputo. . . E’ come il fatto del “Libro nero” (dell’Espresso, ndr), cioè, sto libro nero da là è uscito, non è un foglio, è tutta l’informativa e qualcuno l’ha data all’Espresso. Quindi i buchi ci stanno. Della Valle qualcosa sa».

Come funziona un’intercettazione ambientale con il microfono direzionale?
«E’ una valigetta, c’è un microfono che somiglia ad una specie di pistola con una parabola. La punti verso il soggetto....Ma da quel giorno non s’è saputo più nulla di questa cosa qua...».

Ricorda altre situazioni poco chiare?
«No, a queste ho sempre pensato. E mi dico: perché uno deve passare i guai, per che cosa? E quell’altro, perché deve andare dentro? Moralmente ti pesa, dopo un po’ ti dici: mamma mia».

Tra quelli che sono stati condannati in primo grado, quali sono quelli che pagano troppo o ingiustamente?

«Io dico la verità, la maggior parte. Cioè, è una cosa fatta, forzata un po’, ci stava la telefonata, però se vai a vedere effettivamente le partite, partite veramente truccate, dove l’arbitro è stato veramente coinvolto. Non ci sono. Non c’è la partita dove si dice: adesso li abbiamo beccati. Si era parlato di questo è Lecce-Parma, di De Santis, quella di “mi sono messo in mezzo”. E’ una spacconeria, quello voleva fare il fenomeno».

Sì, ma sono state condannate tante persone. Lei, invece, parla di spacconate: qualcosa non torna...
«Secondo me, di veramente importante, che uno deve prendere cinque anni, sei anni, non ci sta niente. Poi magari pensi all’eccessivo modo spavaldo di Moggi che può dare anche fastidio, questo ci può stare, quello è il periodo in cui era prepotente, arrogante. Ma da lì ad arrivare a.... Bisognava dimostrare che c’era un’associazione. Lui, solo lui (Moggi, ndr) fa l’associazione? Così è un’altra cosa. . . E’ una questione di prestigio, di carriera».

Ma l’hanno fatta tutti, la carriera?
«Mica tanto: Auricchio e Arcangioli stanno alle scuole.... non è che so stati proprio premiati....Uno alla scuola Ufficiali, uno alla scuola Allievi. . . »

Non ricorda niente altro di particolare. Non necessariamente di anomalo. Magari anche solo di curioso.
«Mi hanno raccontato di alcune cenette: Auricchio, Arcangioli, Narducci, anche altri personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli. In qualche caso, mi sono chiesto che importanza poteva avere andare a mangiare con Narducci. Sono andati a cena a Napoli, di fronte al Vesuvio, a Castel dell’Ovo. . . da Zi’ Teresa. E non c’erano solo gli investigatori».

Ha detto che non c’era nulla di penalmente rilevante: c’è stato qualcuno che, ad un certo punto, ha avuto dubbi sul peso dell’indagine, sulla necessità di continuare ad andare avanti?
«Sì, Arcangioli. Disse: basta. E lì è nato lo scontro con Auricchio, arrivarono ai ferri corti».

Quindi voleva stoppare l’indagine perché debole?
«Sì, Arcangioli sì. Erano impegnate quindici, venti persone per questa cosa qua. E l’autista; e quello che deve andare di continuo a Napoli. Non era cosa... In una sezione di sessanta persone, ne levi quindici, le altre fanno tutto il lavoro».

Qualche pentito c’è stato?
«No».

In via in Selci (è la sede del Nucleo Investigativo dei Carabinieri), dove si sono svolti gli interrogatori, sarebbero successe due cose: una che Moggi si mise a piangere e l’altra che l’ex arbitro Paparesta accusò un malore: verità o leggenda?
«Non è vero».