La squadra più forte d'estate

Javier Zanetti"Più la sua vita è infame, più l'uomo ce l'ha a cuore; essa diventa allora una protesta, ogni suo istante una vendetta." Honore' de Balzac

Il campionato dei piagnoni - Il 1997 segna anche, nelle fantasie dei giornalisti, il ritorno della grande Inter. Nove anni dalla vittoria dell'ultimo campionato con lo juventino Trap sono decisamente troppi e dopo tre anni di insuccessi il patron Moratti è deciso a tutto per portare la squadra al vertice.
Nonostante notevoli investimenti anche l'ultima stagione si è conclusa in modo amaro: terzo posto (allora piazzamento Uefa) senza mai lottare per il titolo e finale di Coppa Uefa persa in modo tragicomico ai rigori con lo Schalke 04, con conseguente abbandono dell'allenatore Hodgson, dopo una memorabile circense scenata a bordo campo con il giovane Javier Zanetti che perde le staffe dopo una sostituzione e gli si avventa contro, trattenuto a forza dai componenti della panchina.
L'inglese lascia con un settimo e un terzo posto, l'umiliazione tremenda dell'eliminazione europea ad opera del Lugano e la cessione di Roberto Carlos da lui avallata in favore dell'utilizzo di Pistone. Poi prontamente ceduto durante l'estate. Sarà questa una costante della presidenza Moratti: una forte carenza in fase progettuale che porta ad un continuo andirivieni di calciatori. Il giornalista Franco Rossi parlerà con ironia di squadra trotzkista, in rivoluzione permanente.
La stampa lo dipinge come un presidente passionale, forse un po' inesperto e ingenuo nella fase gestionale, soggetto ad innamoramenti brevi e continui, ma tutto sommato il volto buono e signorile di un calcio sempre più cinico, disinteressato filantropo e mecenate dell'ars pedatoria. Il giusto contraltare nell'ambiente milanese del rivale Berlusconi, seppur dal punto di vista gestionale l'avvento del petroliere nel calcio italiano risulterà similmente a quello del passato (e futuro) Presidente del Consiglio in un'impennata clamorosa dei prezzi di mercato e degli oneri della gestione finanziaria.
E nell'applicazione all'etica dello sport di un concetto chiaro e che non si presta ad interpretazioni: "chi ha più soldi vince". La legittimità di questo assioma in ambito calcistico era fortemente in discussione ai tempi del Milan pigliatutto, il cui strapotere economico unito alla sapiente gestione tecnica di Capello aveva portato a un incontrastato dominio rossonero a cavallo tra '80 e '90. Il volto politicamente corretto di Moratti ha il pregio di risolvere la contraddizione: l'Inter è la squadra che spende di più, ma nondimeno è la più simpatica, gode di ottima stampa e rappresenta una risorsa per il bene collettivo del calcio italiano. La politica oculata di bilancio dei dirigenti juventini, che aveva conciliato negli anni precedenti grandi successi sportivi e gestione finanziaria sana, appare ora non più come un esempio virtuoso, ma come cinico affarismo. Le cessioni in rapida sequenza di Roberto Baggio, Paulo Sousa, Gianluca Vialli e Fabrizio Ravanelli, idoli della tifoseria juventina, si contrappongono ora alla visione romantica del calcio impersonata da Moratti, il presidente-tifoso che dei bilanci se ne frega.
Misteri della fede calcistica.
In realtà il presidente naif, quello dai grandi valori morali, dipinto come inadatto alla logica spietata del business, si dimostra piuttosto spregiudicato nel condurre gli affari della sua squadra del cuore e inaugura la stagione 1997/98 con un'estate impegnativa sotto tutti i punti di vista.
La conduzione tecnica della squadra è affidata a Gigi Simoni, ex allenatore del Napoli. Scelta avvenuta non in estate, ma in primavera se non in inverno, con il risultato di sfiduciare il proprio tecnico e di interferire scorrettamente con la società partenopea a stagione ancora pienamente in corso. Anche qui si può parlare di una costante, che si ripeterà pari pari qualche anno dopo, con Zaccheroni preso in giro, mentre esisteva già un accordo con l'allenatore della Lazio Mancini.
Poco importa perché anche Gigi Simoni è considerato nell'ambiente un signore, nonostante dopo essersi accordato con l'Inter forse non ripaghi con professionalità l'ambiente napoletano, inanellando 12 partite senza vittorie prima dell'esonero con il Napoli in zona retrocessione.
E' in realtà un allenatore vecchia maniera, epigono di Trapattoni, specializzato in promozioni dal campionato cadetto. E, nonostante i proclami da amante del calcio offensivo del presidente Moratti, viene allestita una squadra vecchia maniera.
Vengono acquistati ben 4 difensori, a sommarsi ai 5 già presenti in rosa, più un decimo nel mercato di riparazione. Sono Colonnese e Milanese, favoriti di Simoni al Napoli, Mezzano dal Torino, Sartor dal Vicenza e il nigeriano Taribo West dall'Auxerre, quest'ultimo al centro di una querelle internazionale per una storia di firma doppia: avrebbe infatti siglato un precontratto con gli spagnoli del Siviglia prima di approdare in nerazzurro. La Uefa ad ogni modo non ritiene il caso di far partire un'indagine.
Gli italiani in questa lista sono 4: presto Moratti esaurirà questo genere di fiducia nei giocatori nostrani, e tra i giornalisti di area interista la sua scelta esterofila alimenterà la vulgata di un presunto dominio di Moggi sul mercato dei calciatori italiani. In realtà si può apprezzare come gli operatori di mercato nerazzurri non fossero propriamente dei talent-scout: tutti questi giocatori, come del resto i già presenti in rosa Fresi e Galante e i futuri Cirillo, Ferrari e compagnia bella, saranno infatti destinati a carriere mediocri, tra provincia e panchina, non rivelandosi certo scelte lungimiranti. Simoni porta con sè anche il difensore brasiliano Andrè Cruz che subito finisce scambiato con i cugini milanisti, per ottenere l'aletta leccese Moriero, in un caso più unico che raro di giocatori scambiati immediatamente dopo il loro acquisto. Non ci potevano pensare prima? Altro esempio di lungimiranza e capacità progettuale.
Il centrocampo viene rinforzato con altri innesti: il francese Cauet, il brasiliano Zè Elias e l'argentino Simeone. Fatta eccezione per quest'ultimo, si tratta di giocatori di scarso spessore che dopo le stagioni in nerazzurro navigheranno in campionati minori, da Cipro alla Bulgaria alla B italiana. Ma che, nonostante un rendimento quantomeno alterno, godono di grandissima considerazione all'interno dell'ambiente nerazzurro, particolarmente propenso all'idolatria nei momenti felici per poi abbattere una feroce rabbia sugli eroi di giornata nei momenti di magra.
Il centrocampo è quindi farcito di interditori, e gli uomini di qualità tecniche presenti non sembrano essere funzionali al gioco della squadra: in fase calante l'olandese Winter, mentre il franco-armeno Djorkaeff, che gli interisti bontà loro preferiscono a Zidane, è troppo "mangiapalloni" e rallenta il gioco, che si esprime quasi unicamente attraverso contropiedi che sfruttano le eccezionali doti nel dribbling del grande acquisto stagionale di Moratti: il "Fenomeno" Ronaldo.
Che di diritto guida l'attacco nerazzurro, affiancato dal cileno (con passaporto spagnolo) Zamorano, che, tanto per chiarire il rispetto delle gerarchie in casa Inter, si rifiuta di cedergli la maglia numero 9, soprassedendo al suo orgoglio soltanto un anno dopo, per vestire una bizzarra maglia "1+8", tutt'ora indimenticata pagina dello stupidario calcistico. Bomber di razza nei suoi anni al Real Madrid, l'andino non aveva certo impressionato per feeling con il goal nel suo primo anno di campionato: 7 centri in tutto.
Tuttavia anche lui godeva di grande stima da parte della stampa, che ne apprezzava la generosità e l'abilità in elevazione. Se Del Piero e Inzaghi sono ritenuti una coppia leggerina, probabilmente inadatta a garantire un numero importante di goal, i due sudamericani invece vengono considerati complementari.
Fatto sta che se Del Piero e Ronaldo finiscono col rivaleggiare per la classifica cannonieri, Inzaghi ne mette dentro ben 18 e Zamorano 2. E qualcosa vorrà pur dire.
Roy Hodgson amava dire che "con lui si gioca in 12": probabilmente nessuno dei due Zamorano faceva più l'attaccante da un pezzo.
A completare la rosa offensiva ci sono Nwankwo Kanu, reduce da un'operazione al cuore, che proietta Moratti alla candidatura per la beatificazione (senza che poi finisca nel girone degli ignavi quando lascia il povero Brunelli al suo destino, rifiutandogli le cure) e il giovanissimo uruguayano dai tratti orientali, Alvaro Recoba, punta dal sinistro al fulmicotone ma con un desolante passaporto da extracomunitario. Gli italiani Maurizio Ganz e il futuro ds Marco Branca vengono invece scaricati a gennaio, insieme alla "bandiera" Nicola Berti, dopo essere stati scarsamente impiegati.
Insomma, all in all, non proprio uno "squadrone che tremare il mondo fa", ma pur sempre nobilitato da un Fenomeno vero. Anzi due. Andiamo a vedere.

I 2 capitoli precedenti:

Antefatto del revival
La squadra più forte del mondo