Dossier doping: il processo d'appello e l'assoluzione

Il 27 ottobre 2005 comincia il processo d’Appello, presieduto dal giudice Gustavo Witzel. Il 14 dicembre arrivano le sorprese: la sentenza di primo grado viene ribaltata. Agricola e la Juventus sono innocenti, completamente:

La somministrazione di epo, data per certa dal perito D'Onofrio nelle fasi finali del processo di primo grado? Il fatto non sussiste, secondo quanto certificato ieri. La frode sportiva e l'abuso di farmaci? Il fatto non costituisce reato, «perché la legge 401 del 1989 non può essere applicata in quanto non è dimostrata l'alterazione delle prestazioni con la somministrazione dei medicinali», ha poi spiegato Anna Chiusano, legale di Giraudo. «Viene meno, dunque, tutto il castello accusatorio». Crollato come un castello di carte buttato giù da una folata di vento. Resta, innocua, un'ammenda di duemila euro che Giraudo dovrà pagare per violazione della legge 626, quella sulla sicurezza dell'ambiente lavorativo: i medicinali trovati presso la sede d'allenamento della Juventus non erano infatti conservati in un magazzino a norma. Guariniello e i quattro magistrati che sostenevano l'accusa accusavano il colpo: nessuna dichiarazione, dritti nell'ufficio ai piani superiori del PalaGiustizia a pensare magari al ricorso in Cassazione, ultimo grado di giudizio.
«Non lo temiamo – ha subito detto Agricola, condannato in primo grado a un anno e dieci mesi -. Questa sentenza cancella tutto quanto detto e fatto in sette anni e due mesi lunghissimi: un'esperienza che è stata distruttrice sulla mia persona dal punto di vista fisico e morale. Mi riprenderò. Prima di dire o fare certe cose, però, bisognerebbe pensarci non una ma mille volte. Tredici mesi fa, in occasione della sentenza di primo grado, dissi che avrei voluto verificare se l'esperimento giudiziario che veniva fatto sulle mie spalle avrebbe mantenuto la propria forza anche nei gradi successivi:
quell'esperimento è miseramente fallito, ma l'assoluzione appena arrivata mi ripaga solo parzialmente di quello che ho patito»” (Alessandro Parisi, Il Giornale, 15 dicembre 2005)

Agricola e Giraudo esultano e si abbracciano in aula. La gioia dei due juventini viene pesantemente stigmatizzata da Zeman, che la definisce «l’immagine della loro sconfitta morale». Ma, probabilmente il boemo non ha ben compreso cosa significhino sette anni di continue calunnie e non si rende conto che esultare dopo essere stato diffamato in tutti i modi è la reazione più normale che ci si possa attendere. Il popolo juventino attende invece di vedere la modalità e l’intensità dell’esultanza zemaniana dopo la vittoria di un campionato o di una qualsiasi altra competizione. Zeman, caduta l’accusa principale, cerca di far di tutta l’erba un fascio puntando il dito una volta di più contro Giraudo, reo di assommare su di sé tutti i mali del calcio: «un dirigente dannoso. Da quando sono arrivati i grandi manager come lui, il calcio ha smesso di essere uno sport ed è diventato un business». È opportuno ricordare che questo pernicioso trend manageriale del mondo del pallone non è iniziato con Giraudo ma molto prima, con il Milan della seconda metà degli anni Ottanta. Se poi si vuole a tutti i costi parlare degli svantaggi e dei problemi che l’avvento di questa categoria di dirigenti ha causato, allora è meglio rifarsi a scenari più propriamente finanziari, dove non è stata la Juventus a primeggiare per nefandezze e irregolarità. È lo stesso Giraudo a rispondere piccatamente al tecnico boemo con parole che pesano come macigni:
Questa è una sentenza durissima, per chi la saprà leggere. Tappa la bocca a tanti, in particolare a quei soloni che scrivevano, dopo aver sentito un ragionamento di Guariniello, come se si trattasse di una sentenza passata in Giudicato. La tanto sbandierata farmacia è una cosa ridicola e comica. Tutti voi abbiate la compiacenza di aprire il vostro armadietto dei medicinali e di contare quanti farmaci vi sono: ne troverete alcune decine. Quando sono stato interrogato ho dimostrato come dal ’92 le rose della Juventus siano cresciute (fra prima squadra e giovani siamo circa 500) e la spesa medica pro capite sia diminuita. La Juventus aveva gli stessi farmaci che utilizzavano le altre squadre, nella stessa misura. E li dichiaravamo, come tutti gli altri.[…]
Poi l’ultima stilettata a Zeman: “Non mi interessano le sue esternazioni su vari aspetti della vita. È un allenatore, per me anche modesto, e mi auguro che non abbia fatto parte di un’associazione nata per dar vita a questo processo. C’è una sentenza, l’importante è che la legga bene visto che ora ha tanto tempo per farlo. Adesso mi aspetto che anche le altre vicende finite nell’occhio del ciclone, come passaporti falsi e fidejussioni, siano valutate approfonditamente come ha fato il Tribunale di Torino nel nostro caso. ( ANSA del 14 dicembre 2005. Il futuro però smentisce Giraudo: fino ad ora nessuno ha indagato su passaporti e fideiussioni).
È doveroso sottolineare che Guariniello, in quanto di stanza a Torino, non avrebbe potuto per ragioni di competenza indagare eventualmente su altre squadre. In tutta Italia, quindi, si è mossa solo una procura, che sfortunatamente è quella sotto la cui giurisdizione ricade la Juventus.

Concetti che non fanno una grinza e che rispediscono al mittente anni di accuse e di insinuazioni.
In sintesi, l’abuso di farmaci non costituisce reato e la somministrazione di Epo non sussiste, ovvero, nessuno alla Juventus ha mai fatto uso di eritropoietina.
L’avvocato Anna Chiusano, figlia dell’allora presidente bianconero Vittorio, parafrasa Boskov e dichiara «reato è quando la legge lo prevede» e, francamente, non si può darle torto. Su questa stessa linea si inserisce il commento di Giorgio Candola nell’edizione post-sentenza de Il Giornale:

Una Waterloo (per Guariniello, nda), e senza neppure la consolazione di sparire a Sant’Elena. […] Restano due anni di gogna mediatica per la Juventus, per il suo medico sociale e per il suo amministratore delegato. Cosa ne facciamo? Gettiamo tutto dietro le spalle? Oppure ci prepariamo a contare l’importo del risarcimento danni? E chi, in questo caso dovrebbe essere colui che risarcisce uno dei più grandi club calcistici del mondo di un simile crollo d’immagine? Troppe domande, anzi le solite domande di fronte a una sentenza di appello che è il negativo d’una foto mandata in giro per due anni.
Lo chiamavano “teorema di Guariniello”, giornali e tv lo hanno sbandierato come una verità assoluta, ci hanno ricamato sopra. Era fasullo. Suonava fesso come una campana incrinata. Qualche avvisaglia dell’affanno dell’accusa si poteva intuire nel corso del dibattimento. Insolito vedere il Pm anticipare le proprie linee guida a Le Monde. Insolito assistere alla sua offensiva sul Coni per chiedere, in corso d’opera, la revisione delle regole antidoping (aizzare i media e cambiare le regole in corsa sono due pratiche che rivedremo sovente contro la Juventus, nda).

Con lo stesso tono e, se possibile, con maggior forza insiste l’editoriale “Giustizia e verità” di Giancarlo Padovan, su Tuttosport del 15 dicembre:

La sentenza con cui la terza sezione della Corte d'Appello di Torino ha assolto in secondo grado l'amministratore delegato, Antonio Giraudo e il medico del club, Riccardo Agricola, riabilita la Juventus, ripristina la verità, riafferma i princìpi della giurisprudenza. La riabilitazione bianconera coglie uno snodo fondamentale nello smantellamento dell'ipotesi di uso di Eritropoietina, la famigerata Epo: non c'era e non veniva somministrata, dunque alla Juve non veniva praticato doping, né sistematico, né occasionale. Sul piano morale e sportivo è questo il successo più vistoso da ascrivere alla difesa e il riconoscimento più ampio reso dai giudici agli imputati: insussistenza del fatto, inesistenza del reato. Era quanto, dalle colonne di questo giornale, senza ambiguità o reticenze, avevamo chiesto fin dal 27 novembre 2004, il giorno successivo al primo verdetto: «Siamo di fronte ad una sentenza - scrivemmo allora -, restiamo in attesa della verità. Il verdetto di assoluzione nei confronti di Antonio Giraudo costituisce un comprensibile motivo di soddisfazione per la Juventus, ma la condanna del dottor Riccardo Agricola costringe il club a puntare tutto sul processo d'appello. (...) È vero, tecnicamente, con Giraudo è stato scagionato il club. Tuttavia di questo club il dottor Agricola era, è e, a quanto è stato detto, resterà il responsabile sanitario. Quindi se Giraudo nel processo incarnava la Juve, Agricola appartiene ad una struttura vitale all'interno della società. Per parte del club ottenere giustizia significa adesso incassare anche l'assoluzione del suo medico. In caso contrario sarà confermata la tesi di Guariniello». Stavolta la Juve non ha vinto, ma stravinto. Guariniello non è stato battuto, ma azzerato, l'impianto accusatorio disintegrato, della sua linea non è rimasto nulla. Il pubblico ministero non è il solo a uscire metaforicamente malconcio dall'esito del secondo processo. Lo schiaffo nei confronti del giudice monocratico è altrettanto sferzante: per la terza sezione della Corte d'Appello, non è applicabile al doping una legge - quella sulla frode sportiva - creata per altro scopo (calcioscommesse e affini), né si può parlare di doping in assenza di una lista di sostanze e senza indicazione dei metodi. Un autentico abbaglio giuridico, dunque, in attesa delle motivazioni (tempo novanta giorni) destinate a rendere ancora più buio il quadro per l'accusa. Sentenza inequivocabile perché pronunciata da una corte, quella presieduta da Gustavo Witzel, che ha fama di durezza e severità almeno quanto è considerata rigorosa, perfino rigida. Guariniello ricorrerà per Cassazione con pochissime speranze, mentre Riccardo Agricola si avvia ad ottenere il proscioglimento anche davanti alla Disciplinare calcistica e l'archiviazione del fascicolo aperto dalla Federazione medici sportivi. Agricola è in credito di sette anni e due mesi con la Giustizia. Da ieri la Giustizia ha cominciato a risarcirlo con la verità.

D’Onofrio, il grande sconfitto, reagisce con distacco alla lettura del dispositivo assolutorio ma non fa mancare, ai giornalisti, una sua notazione personale:

Questa sentenza chiude un fronte, con un altro esito le indagini avrebbero potuto espandersi. Così è chiaro che il calcio è intoccabile. […] Rispetto la sentenza. I giudici avranno ritenuto non sufficienti gli indizi a carico. Quello che è certo è che da oggi in poi nessuno più indagherà su cosa accade nelle infermerie delle squadre di calcio ( ANSA del 14 dicembre 2005).

Stupisce questa improvvisa sete di pulizia e di giustizia: quello che conta non è la Juve ma la salute, il bene del calcio. Verità incontrovertibili, per la carità, ma ancora non si comprende perché la strada che porta a questi utopistici obiettivi, debba passare per forza sopra il cadavere di una società colpevole solo di non aver avuto giocatori positivi ai test.
La sentenza afferma che la perizia di D’Onofrio è di valore probatorio «molto modesto», dando quindi ragione alle argomentazioni difensive di Giraudo e Agricola. Inoltre, «lo stesso professor D’Onofrio ha ridimensionato la valenza dei dati osservati, adeguandosi almeno in parte alle spiegazioni e alle opinioni giunte sul versante delle difese». Significativo il commento di Agricola riguardo alla validità probatoria della perizia ematica: «[D’Onofrio] non è stato super partes, abbiamo documenti in cui ribadiva che dai parametri del sangue non si possono trarre certezze sull’uso di Epo, eppure negli stessi giorni si accaniva sulla Juventus, inventando un metodo di valutazione inesistente presso la comunità scientifica». Il medico poi punta il dito anche contro i consulenti che hanno partecipato al processo, accusandoli di pregiudizio: «Mi hanno stupito i comportamenti contrastanti e incomprensibili di alcuni esperti che, in sede di commissioni scientifiche, dicevano una cosa e nell’aula di tribunale ne affermavano una completamente opposta. Ci sono consulenti, ad esempio, che hanno sottoscritto il protocollo Io non rischio la salute del Coni e poi lo hanno rinnegato in aula. Perché? Altri, invece, hanno scritto libri sui farmaci dopanti: nessuno di questi è stato utilizzato da noi. Come mai gli stessi scienziati in tribunale hanno detto che i nostri farmaci avrebbero dovuto essere considerati doping? Non so se questi due esempi bastino per parlare di pregiudizio».
Per completare il quadro delle reazioni e delle considerazioni dopo la sentenza, chiudiamo con un’interessante considerazione giraudiana:

Una Corte conosciuta per la sua severità ci ha dato completamente ragione.

Sarebbe lecito, in virtù di questa affermazione, conoscere da chi fosse composta e di che pasta fosse fatta quella Corte. Oliviero Beha e Andrea Di Caro, nel loro “Indagine sul calcio” si limitano a citare una volta il nome del presidente, Gustavo Witzel, il che stona con il panegirico di due intere pagine (480-81) indirizzato a tessere le lodi del giudice di primo grado, quel Casalbore di cui ci si premura di elencare carriera e successi ottenuti. Come dire, la prima è una Corte come si deve, la seconda non si sa. Per la severità e la correttezza di Witzel (che in aula ha più volte bacchettato Agricola) chiedere a chi ha lavorato con lui o a chi è dell’ambiente.