Farmacia Juve: facciamo chiarezza/1

agricolaDomenica 21 novembre 2010 molti di voi avranno sicuramente assistito alla consueta puntata di Report, in onda tutte le domeniche su Rai3, condotto dalla brava giornalista Milena Gabanelli. Per chi non lo sapesse, Report è uno straordinario programma di inchiesta e reportage, generalmente incentrato su temi scottanti della politica, dell'economia e della società del nostro Paese. "Straordinario" perché è creato da una frizzante e capace redazione, in grado di cogliere aspetti e immagini, ma, soprattutto, di presentare dati e fatti come ormai non si fa quasi più, né sullo schermo, né sulla carta stampata: nel modo più oggettivo e completo possibile. A questo si deve aggiungere, è opinione comune, ed è acclarato, che uno dei vizi più diabolici e potenti dell'homo italicus è il tifo calcistico. E anche una redazione brillante e, solitamente, imparziale è mossa da istinti tifosi: nulla di male, soprattutto agli occhi di chi si lascia spesso andare al medesimo vizio. Questa volta, però, e ritorniamo alla trasmissione televisiva citata poc'anzi, secondo l'opinione di chi scrive, si è celato un fine e subdolo significato in uno dei servizi andati in onda: circa 10 minuti per raccontare la storia di un grande allenatore, finito nel calcio che non conta più, per colpa di poteri forti che lo hanno in qualche modo emarginato dopo le sue sacrosante rivelazioni sull'eccesso di farmaci nel mondo del pallone. Forse l'intenzione degli autori del servizio in questione era quello di trovare un simbolo di onestà e di correttezza, in un mondo pieno di personaggi fasulli, infarcito di politicanti e, soprattutto, di quattrini. Opinione in tutto e per tutto condivisibile. Tuttavia, rifacendomi alle lodi per il programma in questione, in questa occasione si è ravvisata un po' di partigianeria: sia chiaro, ben venga stare dalla parte della giustizia e della legalità, ma quando il pretesto appare buono per attaccare, più o meno velatamente una terza parte, senza possibilità di contraddittorio e, soprattutto, dopo che le relative responsabilità siano già state chiarite da un Tribunale dello Stato, riteniamo di dover, quantomeno, fare chiarezza.

Il 29 marzo 2007 si concludeva il procedimento, meglio noto come "processo doping", che vedeva imputati il responsabile medico della società Juventus FC, dott. Riccardo Agricola, e l'Amministratore Delegato della stessa società, Antonio Giraudo. Sin dal 1998, infatti, la Juventus era stata messa al centro di quelle che all'inizio erano soltanto voci, ma che poi si trasformarono, come spesso succede alla compagine bianconera, in accuse ben circostanziate che portarono la Procura di Torino ad indagare.
Andiamo con ordine, e ripercorriamo brevemente la storia di questa pagina della storia juventina e del calcio italiano. Tra il luglio e l'agosto 1998, Zdenek Zeman, allenatore conosciuto più per le sue dichiarazioni che per i suoi risultati, denunciò l'abuso di farmaci nel mondo del calcio. Utilizzando una metafora appartenente al mondo del pallone, si potrebbe dire che colpì la sfera in maniera impeccabile, il tentativo fu spettacolare, ma la mira lasciava a desiderare; eh già, perché il boemo non si limitò alle affermazioni relative alla denuncia di uso ed abuso di sostanze, già di per sé capaci di montare una tempesta: per creare un uragano, si doveva colpire direttamente la solita squadra, quella da sempre tartassata dai media per non meglio precisati "furti" avvenuti fuori e dentro i campi da calcio (e queste affermazioni hanno trovato più di una conferma negli anni immediatamente successivi): gli esempi che Zeman portò per giustificare le sue affermazioni furono i muscoli e le cosce di Vialli e Del Piero. Entrambi, all'epoca, erano giocatori della Juventus. Mentre si sollevava il polverone mediatico, il Procuratore di Torino Raffaele Guariniello iniziò le indagini, e nel gennaio 2002 cominciò il processo ordinario. Con l'arrivo in Cassazione, nel marzo 2007, dopo il secondo grado di giudizio che vide l'assoluzione per entrambi gli imputati, erano ormai stati raggiunti i termini della prescrizione per i reati di cui vennero accusati. Affermiamo ancora una volta, e togliamo ogni possibile ombra sulla questione, che per il reato di doping, nella fattispecie per l'uso di "eritropoietina (Epo) umana ricombinante o pratiche di tipo trasfusionale", anche la Cassazione si pronunciò in senso assolutorio. Non vennero mai provati, infatti, uso di Epo, né l'acquisto e la giacenza presso la farmacia bianconera di tale sostanza, né la presenza di valori ematici anomali, né singolarmente né statisticamente differenti da quelli della popolazione generale, tali da indicare uso di sostanze illecite (sui circa 480 controlli totali in 4 anni, dal '94 al '98), e nessun atleta risultò mai positivo ai test antidoping.
Secondo la Cassazione, tuttavia, gli imputati Agricola e Giraudo sarebbero stati meritevoli di un rinvio a giudizio per la somministrazione di sostanze considerate proibite dal Comitato Olimpico Internazionale, oppure fuori dalle indicazioni terapeutiche del farmaco stesso. Come riportato dalla sentenza stessa, tuttavia, alla Corte di Cassazione "non compete certo la valutazione del merito delle specifiche condotte incriminate". Parimenti, lungi da me entrare nel merito legislativo e giudiziario, non prettamente di competenza di chi scrive: questa volta, vogliamo addentrarci nell'aspetto medico-farmacologico della questione.

Prima di esaminare le sostanze incriminate, analisi puramente descrittiva dei farmaci annoverati nel cosiddetto "processo doping", è necessario tornare agli aspetti normativi che regolano i rapporti tra Stato, sport e medicina sportiva. Ricordiamo che gli imputati vennero accusati della violazione dell'art. 1 ("Frode in competizioni sportive") della legge 401 del 13 dicembre 1989 ("Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche"). All'epoca dei fatti, questo va detto, non vi erano, nel corpo legislativo italiano, leggi efficaci che si occupassero di regolamentare l'uso improprio di farmaci nello sport, o, quantomeno, nessuna norma che fosse specifica per il reato di frode correlato all'utilizzo di sostanze. In materia di doping esisteva la legge 376/71, ma, come già scritto, in questa occasione non si sta parlando di doping in senso stretto. Solo da pochi anni sono stati approvati il decreto legislativo 376 del 2000 ed il decreto ministeriale 15 ottobre 2002 (recante la tabella delle sostanze vietate). Lo Stato italiano si adeguava alle nuove e più aggiornate norme in tema di lotta al doping promosse dal CIO e dalla neonata (il 10 novembre 1999) World Anti-Doping Agency (WADA). Già nel 1971, il CIO aveva pubblicato la prima lista di sostanze proibite, che viene aggiornata periodicamente, ma solo nel febbraio 2003 sarebbe stato proposto il Codice Mondiale Antidoping, ancora oggi in vigore, seppur con le relative modifiche apportate annualmente.

Per i non addetti ai lavori, inoltre, è importante chiarire un fatto: tra le sostanze proibite, o tra i prodotti utilizzati dalla Juventus negli anni presi in esame, nessuna di queste è illegale o non in commercio in Italia, nessuna di queste è stata riscontrata nelle analisi cui venivano sottoposti gli atleti bianconeri, né nel nostro Paese, né all'estero, durante i routinari test antidoping; tutti i club professionistici sono provvisti di tali farmaci - o analoghi - che, nel complesso, sono antiinfiammatori di comune utilizzo nella pratica medico-sportiva. Questo dato lo si può desumere dalle dichiarazioni degli atleti stessi, i quali, prima di sottoporsi ai test dell'antidoping, devono dichiarare eventuali farmaci assunti. Produrre prove di somministrazione di sostanze proibite risulta complicato, a causa della reticenza dei calciatori che spesso conoscono solo parzialmente le pratiche cui vengono sottoposti, oppure per la difficoltà di provare il periodo di utilizzo di un farmaco (l'atleta era agonisticamente attivo? Era fermo per infortunio?) ed il suo dosaggio, soprattutto quando le analisi danno esito negativo. In aggiunta, ci si può chiedere: possedere farmaci vietati è doping? Il Codice Mondiale Antidoping del CIO oggi in vigore, introdotto però 5 anni dopo i fatti di nostro interesse, ne parla ai punti 2.5 e 2.6. Come ci si pone se, però, l'acquisto, la conservazione e la somministrazione di farmaci sono tenuti sotto stretto controllo medico? E se un atleta è fermo per molto tempo oppure deve curare un infortunio, come ci si comporta? Lo sportivo è considerato "in-competition" o "out-competition" (la classificazione delle sostanze proibite proposta dalla WADA tiene conto anche di questa circostanza)? Insomma, quante domande cui risulta difficile dare una risposta univoca, soprattutto quando la pratica medica quotidiana si scontra con le tematiche etiche e deontologiche!

Se proprio si deve giudicare l'operato del personale medico societario, si potrebbe obiettare l'uso cosiddetto "off-label" di alcune specialità farmaceutiche, cioè al di fuori delle loro indicazioni terapeutiche. Cosa non da poco, quando il medico sta in mezzo tra il rischio di compromettere la salute degli atleti e la frode, messa in atto per alterare le prestazioni e la performance dei giocatori stessi. Il Codice di Deontologia medica, che ogni professionista è tenuto a seguire per non incorrere in severe sanzioni che possono arrivare alla radiazione dall'Albo dei medici e conseguente divieto all'esercizio della professione, si occupa della questione farmaci/doping in due distinti articoli. L'art.12 del Codice Deontologico afferma che "La prescrizione di farmaci, per indicazioni non previste dalla scheda tecnica o non ancora autorizzate al commercio, è consentita purché la loro efficacia e tollerabilità sia scientificamente documentata. In tali casi, acquisito il consenso del paziente debitamente informato, il medico si assume la responsabilità della cura ed è tenuto a monitorarne gli effetti"; fermo restando l'art.76: "Il medico non deve consigliare, prescrivere o somministrare trattamenti farmacologici o di altra natura diretti ad alterare le prestazioni di un atleta, in particolare qualora tali interventi agiscano direttamente o indirettamente modificando il naturale equilibrio psico-fisico del soggetto".

In considerazione di tali premesse, una domanda resterà in sospeso, anche al termine della lettura dell'articolo: come si può dimostrare che un farmaco, somministrato a dosaggi non rintracciabili ai test antidoping, può alterare le prestazioni degli atleti? Per intenderci, questo è il punto che l'eventuale nuovo processo da istituire avrebbe dovuto chiarire. E allora si potrebbe congetturare che, in linea puramente teorica, non essendo stato riscontrato alcun atleta dopato, le prestazioni non erano alterate: i valori ematici e urinari delle sostanze sono considerati fuori legge quando superano una soglia superiore al normale consentito, che si sia dimostrata in grado (secondo studi di comprovata validità scientifica) di creare quella "modificazione del naturale equilibrio psico-fisico", se non addirittura la performance atletica. E quindi, secondo logica: no positività = no doping, no positività = no alterazione prestazioni e quindi no doping = no alterazione prestazioni. Ma cosa affermavano le norme in vigore negli anni tra il 1994 ed il 1998? Quale differenza esisteva nella determinazione delle diverse responsabilità secondo l'ordinamento giuridico statale e la giustizia sportiva?
Ancora una volta, non è compito dell'autore prendere le difese di una posizione, di un'opinione o di una pratica. Per etica professionale e cultura personale, si prenderanno in considerazione, nelle prossime righe, soltanto dati scientifici comprovati, con l'intento di fare informazione, senza dover orientare l'opinione di alcuno, ma riportando nozioni utili a tutti coloro che desiderano sapere qualcosa in più sull'argomento. Cos'erano quei farmaci di cui tanto si è parlato? Quali rischi correvano gli atleti? L'elenco che segue è costituito esclusivamente dai farmaci che la Cassazione cita nella sentenza, quindi dalle sole specialità farmaceutiche il cui utilizzo è stato ritenuto meritevole di ulteriore analisi giuridica (salvo sopraggiunta prescrizione).

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