Calciopoli, un'indagine "debole"

intercettazioniNell'indagine "Off Side", battezzata dai media col nome di Calciopoli, l'anomalia più evidente è data dal fatto che, sia per il processo GEA di Roma che per quello di Napoli, le indagini siano state affidate agli stessi investigatori. Ciò ha comportato che mentre veniva fatta l'inchiesta sulla GEA, contemporaneamente, veniva svolta l'inchiesta su Calciopoli.
Sembra che tra i soggetti sottoposti ad intercettazione per l'inchiesta di Napoli figurino molti esponenti della GEA fra cui Alessandro Moggi e Zavaglia (come riportato nelle ultime 200 pagine dell'informativa di aprile 2005), che erano contemporaneamente intercettati, dagli stessi investigatori, per l'inchiesta di Roma. Questo tipo di scelta induce, talvolta, a creare confusione e dubbi. Sarebbe stato sicuramente meglio avere due indagini completamente distinte e separate.
Che qualcosa nell'indagine non sia andata nel migliore dei modi sembra non essere solo un'ipotesi. Il Corriere della Sera del 10 settembre 2006 aveva scritto: "Le loro informative alla Procura di Napoli che si basavano sulle oltre diecimila telefonate intercettate durante l'anno calcistico 2004-2005 sono state ritenute figlie di una ricostruzione parziale, molto spesso lontana dalla realtà."

Su Panorama del 1 giugno 2006, in un articolo dal titolo "Calciopoli mancano le prove", Giacomo Amadori scriveva:
"Per gli inquirenti, le rivelazioni di Manfredi non valgono moltissimo e la mancanza di collaborazione di indagati e testimoni durante gli interrogatori sta ponendo un problema: come dare più peso alle informative dei carabinieri con riscontri testimoniali e prove documentali. Le 1.600 pagine di accuse stilate in quasi un anno di lavoro dai carabinieri hanno tuttavia già prodotto un risultato innegabile: una pressione mediatica che ha portato alle dimissioni di tutti i vertici del mondo del calcio (nota del Team: poi rientreranno quasi tutti!). Eppure, gli investigatori sono costretti a riconoscere che i risultati dell'indagine non sono inattaccabili.
Troppe parole, ma soprattutto troppi aggettivi hanno reso vulnerabile la pietra angolare dell'inchiesta. Titoli a effetto come «Il controllo del Palazzo», «L'asservimento della macchina amministrativa» o «I tentacoli nell'apparato della sicurezza» hanno tolto la doverosa asciuttezza alla ricostruzione. Solo nel primo dossier l'estensore del documento, il maggiore dei carabinieri Attilio Auricchio, usa 16 volte l'aggettivo «allarmante» e dieci volte «inquietante». Termini che ritornano anche nella seconda informativa. E quando si parla dell'associazione di procuratori Gea World sfuggono termini come «cupola» e «affiliati». Una scelta linguistica che tradisce un impeto accusatorio inconsueto.
Quanto al contenuto, il primo dossier prepara l'accusa di frode sportiva e associazione per delinquere, ricostruisce modi e partecipanti al «sodalizio criminale». Il secondo, scritto sette mesi dopo il primo, dovrebbe elencare gli episodi di reato annunciati nel precedente. In realtà diventa un poutpourri di notizie e nel calderone finisce persino l'ex ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu che chiede un «aiutino» per la sua Torres, che con il campionato di serie A oggetto dell'informativa non ha nulla da spartire. Una delle perplessità maggiori le suscita il capitolo che si riferisce alle presunte «Collusioni con la questura di Torino e Roma». Il titolo lascia intuire una situazione di connivenza tra la polizia e il sistema moggiano. In realtà leggendo le notizie raccolte dai carabinieri si scopre che il direttore generale della Juve, in cambio di biglietti e magliette, otteneva piccoli favori da tre-quattro agenti o ispettori (su un totale di oltre 7 mila poliziotti che operano nelle due questure). Per i magistrati è un po' poco per mostrare tanta nettezza nelle conclusioni investigative.
Ma il vero paradosso è la terza informativa, quella che monitora le telefonate di Leonardo Meani, collaboratore del Milan con il ruolo di addetto all'arbitro. Al contrario delle prime due non è un'«informativa di reato a carico» di qualcuno e non contiene le due telefonate per cui Meani è stato indagato.
È quasi un allegato che dovrebbe dimostrare «l'esclusività del potere» moggiano «al quale non corrisponde un contraltare». Insomma la dimostrazione dell'inutilità di Meani. Poi, però, il documento cambia direzione e prende di mira l'amministratore delegato del Milan Adriano Galliani per i rapporti con Meani. Fra le righe spunta la presunta prova di colpevolezza del dirigente rossonero: «Approfitta della telefonata per chiedere a Meani se abbia parlato con i designatori».
Non molto per quello che dovrebbe essere uno dei «burattinai» del calcio italiano. Poi il rapporto sottolinea la preparazione di un incontro riservato tra Galliani e l'arbitro Pierluigi Collina dimenticando di scrivere che quel rendez-vous non c'è mai stato e che i due non si contattano neppure per telefono. Inoltre, sembra che il famoso «dossier» dell'arbitro Gianluca Paparesta non sia altro che una newsletter per la promozione di un carburante ecologico, il biodiesel.
Le divergenze di opinione tra investigatori e pm sono confermate anche nell'elenco dei 41 indagati stilato dalla procura di Napoli: tiene conto solo parzialmente dei 58 nomi a carico dei quali è stata preparata l'«informativa di reato». I pm hanno eliminato dalla lista degli «avvisati» 26 persone che i carabinieri avevano messo nel mirino: dall'avvocato Luigi Chiappero, legale storico della Juventus, al giornalista Tony Damascelli. Dunque le informative che hanno fatto detonare lo scandalo potrebbero essere il punto debole dell'inchiesta sul calcio."

Amadori mette in rilievo debolezza e alcune stranezze delle informative ma ce n'è una ancora più grande che sembra essere sfuggita a tutti i media. Noi non conosciamo gli atti processuali e non sappiamo se in questi è contenuta la risposta ai nostri dubbi: ce lo dirà il processo, o almeno lo speriamo. Da lettori possiamo formulare ipotesi e avanzare dubbi derivanti dalla lettura di quelle informative e dagli articoli della stampa. Distratti dal gettito di intercettazioni "fuggite" alla segretezza dell'indagine, e dal clamore generato da quelle informative, probabilmente, molti hanno fatto poca attenzione ad un particolare che acquisterà maggior rilievo ad aprile 2007, quando vengono resi pubblici i famosi "specchietti delle sim svizzere". Ma le "utenze riservate", se sono il filo conduttore della seconda informativa del novembre 2005, fanno la loro comparsa già nella prima informativa di aprile 2005. Alle pagine 20, 228, 286 e 298 della prima informativa, nonchè a pagina 93 della seconda di novembre 2005 è riportato, copiato ed incollato, il seguente passo:

"In particolare, dalle indagini è emerso l’utilizzo di speciali e sicuri canali di comunicazione da parte dei membri più strategici impegnati nello specifico contesto dei sorteggi arbitrali, ovvero la disponibilità da parte dei designatori BERGAMO e PAIRETTO e di MOGGI di utenze cellulari che, oltre a non essere nominativamente a loro riconducibili, risultano addirittura utenze di gestori stranieri e nella fattispecie della SWITZERLAND MOBILE SUNRISE.
Tali utenze, infatti, risultano utilizzate assolutamente a ragion veduta, ovvero solo tra loro e quando l’argomento trattato lo richiede (distintamente MOGGI con i due designatori arbitrali).
Accertamenti mirati, anche tramite gli uffici collegati svizzeri, hanno consentito di verificare che sull’utenza internazionale 0041-76 (gestore SVIZZERLAND MOBILE SURISE) individuata essere nella disponibilità di Luciano MOGGI, nel periodo compreso tra l’1.11.2004 e il 7.02.2005 vi era traffico telefonico verso il territorio italiano, avendo attivato ponti italiani dei gestori TIM e VODAFONE, in entrata ed in uscita soltanto da altre due utenze dello stesso gestore straniero: 00417 e 00417
Anche su quest’ultime due utenze si è rilevato un traffico italiano e, quasi esclusivamente, per contatti reciproci e verso l’utenza in uso a MOGGI, il quale come emerso e documentato in più occasioni ha fornito ai due designatori - proprio in quel periodo - i codici occorrenti per ricaricare utenze cellulari, che con ogni probabilità sono serviti per caricare le suddette utenze, atteso il traffico intercorso.
Le tre utenze svizzere, inoltre, risultano essere intestate tutte alla stessa persona: DE CILLIS Arturo, nato a Carovigno (BR) il 30.08.1924, residente a Cernobbio (CO) via Matteotti nr. 8, il cui figlio Cristino, nato a Carovigno il 26.06.1965 e residente a Cernobbio (CO), risulta titolare di una struttura alberghiera in Cernobbio, denominata “Giardino” sita in Cernobbio, via Regina n. 73. L’espletamento di specifica attività informativa ha consentito, altresì, di appurare che la citata struttura alberghiera è spesso utilizzata per l’alloggiamento riservato di esponenti del mondo calcistico (la stessa Cernobbio è crocevia di convegni e di attività anche di calciomercato)."

Quindi ad aprile 2005 gli investigatori già conoscevano tre numeri di sim svizzere.
Leggendo l'informativa si può pensare che non abbiano avuto tempo o modo di intercettare quelle sim, appena conosciuti i numeri. Però da "accertamenti mirati, anche tramite gli uffici collegati svizzeri" gli investigatori ricavano la conoscenza dell'intestatario di quei numeri.
Anche senza essere lettori di libri gialli, o amanti dei film polizieschi, la cosa più logica da aspettarsi è che gli investigatori procedano ad ascoltare l'intestatario delle schede straniere, Arturo De Cillis. Se fosse stato interrogato avrebbe potuto negare la proprietà delle schede? E come? Come credergli, dato che la scheda era intestata a lui? Avrebbe potuto nascondere di avere un figlio, Teodosio, con un negozio di telefonia a Chiasso? Perchè non si è seguita, come sembra, questa pista per pervenire all'intercettazione delle relative conversazioni?
Altra stranezza: ancora nell'informativa del novembre 2005 gli investigatori riportano il nome di Cristino De Cillis e mai quello del fratello Teodosio. Se fate una ricerca su Google ed inserite come chiave di ricerca "De Cillis Cernobbio" vedrete che compaiono, in testa alla pagina, almeno 5 link al ristorante di Cristino De Cillis di Cernobbio: è quello che i carabinieri hanno citato nelle informative. A leggere le informative, gli investigatori si fermano a Cernobbio, "crocevia di attività anche di calciomercato", quindi, anche "compatibile" con le ipotesi investigative.
Arturo e Cristino non sono il De Cillis "giusto". Sembra strano che una "squadra speciale" di ben 12 uomini non indaghi sul nucleo familiare di Arturo De Cillis, non scopra che ha anche un altro figlio, Teodosio, residente a San Fermo della Battaglia (Como), con un negozio di telefonia a Chiasso, pochi chilometri da Cernobbio.
Non sappiamo se agli atti c'è un verbale d'interrogatorio del De Cillis risalente ai primi mesi del 2005 (ricordiamo che le informative sono solo un sommario riassunto degli atti allegati). L'ipotesi che non abbiano interrogato nessuno dei De Cillis, oltre che da quanto scritto nelle informative, è generata da quello che accade dopo, ad aprile 2007, quando tutta la stampa riferisce che a maggio 2006 Teodosio De Cills si presenta spontaneamente a rilasciare una deposizione e consegna agli inquirenti l'elenco dei numeri, intestati ai suoi familiari, che erano stati acquistati per conto di Moggi. Solo da quel momento, 26 maggio 2006, l'indagine sulle schede straniere sembra trovare il filo per arrivare a quegli schemi di attribuzione delle sim svizzere che oggi rappresenterebbe il puntello cercato per irrobustire l'ipotesi d'accusa.

Quindi, secondo quanto detto dalla stampa, si conosce solo a maggio 2006 quello che era possibile sapere già da febbraio 2005. Ecco come alcuni mezzi di stampa hanno presentato la deposizione spontanea di De Cills:

29 giugno 2006 - Gazzetta dello Sport - di Vernazza Sebastiano
Decine di schede telefoniche «straniere», alcune intestate a un (ignaro?) papà di 75 anni. [...] per sfuggire alle intercettazioni Luciano Moggi foraggiava i suoi compari d'orecchio con speciali sim. Le comprava in Svizzera, a Chiasso, un passo oltre il confine, nel negozio di Teodosio De Cillis, 46 anni nato a Carovigno (Brindisi) e residente a San Fermo della Battaglia (Como).
«Le schede che sono state acquistate da me le ho vendute a persone di fiducia di Luciano Moggi», spiega De Cillis, il 26 maggio 2006, ai carabinieri di via In Selci a Roma. «Colui che diverse volte ha fatto questo genere di acquisti per conto del dirigente della Juventus è tale Giancarlo Bertolini (un osservatore della Juve, ndr), il quale, nella prima occasione in cui è venuto da me, credo nel mese di giugno del 2004, mi chiese di acquistare 3/4 carte sim del gestore Sunrise (svizzero, ndr) e se le stesse potevano essere "non intestate"». Così De Cillis attribuì quelle schede al padre, Arturo De Cillis, nato nel 1929.

15 aprile 2007 - Gazzetta dello Sport - di Pelucchi Roberto
"Ma che Moggi si rifornisse di schede «sicure» a Chiasso, i carabinieri lo hanno verificato già da tempo, registrando il 26 maggio 2006 a Roma la deposizione di colui che gliele vendeva, Teodosio De Cillis."

27 aprile 2007 - Gazzetta dello Sport - di Pelucchi Roberto
".... Arturo De Cillis è il padre di Teodosio, titolare di un negozio di telefonia a Chiasso. Il suo nome esce sui giornali e lui decide di presentarsi dai carabinieri di Como per rendere una dichiarazione spontanea."

19 aprile 2007 - www.ilgiornale.it
"Dai tabulati di quel numero saltano fuori le chiamate ad altre due sim svizzere. Gli inquirenti le attribuiscono a Bergamo e Pairetto, ma sono intestate a un certo Arturo De Cillis. Suo figlio Teodosio è titolare di un negozio di telefonia a Chiasso, in Svizzera. Quando i giornali a maggio scorso (ndr. 2006) parlano di quei «telefoni elvetici» di Moggi, si presenta dai carabinieri a Como e racconta di aver venduto a collaboratori del ds bianconero altre schede svizzere intestate a suoi familiari e altre, anonime, del gestore Ring Mobile del Liechtenstein."

maggio 2007 - La Nazione
"Gli inquirenti le attribuiscono a Bergamo e Pairetto, ma sono intestate a un rivenditore di Chiasso, Arturo De Cillis, padre di Teodosio, il negoziante di telefonia. E’ lui che, spaventato, si presenta dai carabinieri, e racconta il meccanismo delle intestazioni di comodo (anche al padre ndr) e del ruolo chiave di Bertolini, il «corriere» di Moggi che, interrogato, confermerà tutto."

I giornali danno diverse versioni sul luogo della deposizione (chi scrive a Roma e chi a Como) ma concordano sulla data e sulla motivazione che ha spinto il De Cillis a deporre. Solo La Stampa offre una versione diversa affermando che De Cillis "inizialmente" aveva negato (ma quando? nel 2005 o ad inizio interrogatorio nel maggio 2006?) ed indica nel 7 giugno 2006 la data della deposizione (per tutti gli altri è il 26 maggio):
19 aprile 2007 - www.lastampa.it
"Teodosio De Cillis, detto Teo, è il commerciante che le ha vendute a Moggi. Inizialmente aveva negato tutto. Ma il 7 giugno 2006, all’esplosione dello scandalo, davanti ai carabinieri, ammette: «Le schede sono state acquistate presso il mio negozio, le ho vendute personalmente a persone di fiducia di Luciano Moggi, tale Bertolini Giancarlo"

Un'ultima annotazione: c'era una ipotizzata associazione a delinquere in azione, tanto che i pm scrivono ancora nella chiusura indagini che ci sono "altre persone in corso di identificazione" , c'era ancora da scoprire (a causa della stranezza investigativa su ipotizzata) e, possibilmente, intercettare il giro delle schede svizzere che vengono acquistate fino ad aprile 2006, eppure, alla sempre ben informata stampa, non risulta esserci indagine o intercettazioni sulla stagione calcistica 2005/6, come del resto dichiarato dal procuratore aggiunto di Napoli, Roberti, il 18 maggio 2006: "Dalle indagini di Napoli non ci sono elementi per potere allo stato investigare sul campionato 2005-2006". Cosa era cambiato? Nel mondo del calcio, ipotizzato in mano alla "cupola", solo i designatori sostituiti da Mattei. Ci sembra poco per giustificare la sospensione dell'indagine investigativa che poi riprenderà, con nuove intercettazioni, alla fine del 2006.

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