Reggina - Juventus Reloaded

moggi6 novembre 2004 Reggina-Juventus 2-1, una partita ormai famosa come una finale di Coppa del Mondo.
La raccontano davanti al Tribunale di Napoli i due assistenti di quella gara, il salernitano Aniello Di Mauro e il mantovano Cristiano Copelli.
Partiamo da quello che non viene detto, anzi da quello che non viene nemmeno chiesto. Il sequestro di persona, la chiusura negli spogliatoi, la prova principe a livello mediatico della mafiosità di Moggi. Anche il Pm ha abbandonato: non si preoccupa di acquisire riscontri dai due ufficiali di gara, presenti nello spogliatoio. Questione chiusa.
Di Mauro racconta la sua versione di una questione controversa: l'annullamento della rete del pareggio di Kapo al 95'.
Paparesta aveva convalidato il goal e il Di Mauro, a suo dire accortosi del fuorigioco, aveva cercato di segnalare l'irregolarità, attraverso il segnale elettronico di cui è dotata la bandierina, all'arbitro barese.
Convinto che il segnale non fosse stato recepito per malfunzionamento del meccanismo, Di Mauro rimase fermo nella sua posizione, anziché recarsi a centrocampo, come previsto dal regolamento nel caso di goal regolare. Abbassò però la bandierina, anziché mantenerla alta come previsto dalle disposizioni AIA in caso di segnalazione di fuorigioco.
Si originò pertanto il dubbio che il Di Mauro avesse segnalato un fallo di mano inesistente, che i giocatori della Reggina segnalavano veementemente. Il guardalinee tiene a sottolineare di avere da subito segnalato la motivazione effettiva all'arbitro, a Camoranesi, che glielo chiedeva, e successivamente a Tancredi e Capello.
Il fatto però che non avesse tenuto in alto la bandierina e che l'avesse agitata (sostiene il Di Mauro nel tentativo di innescare il meccanismo di segnalazione), aveva innescato più di un dubbio tra gli spettatori. Dubbi motivati dal comportamento formalmente errato.
Questo gli imputano Moggi e Giraudo negli spogliatoi, che gli raccontano di aver rivisto rivisto l'azione in tv; e con loro ha una discussione piuttosto concitata. Il Di Mauro sostiene la sua tesi senza problemi e non rileva alcuna minaccia dei dirigenti juventini che, come atto di protervia massimo, si consentono di ricordargli un precedente episodio in cui l'assistente aveva danneggiato la Juventus.
Rileva la presenza dell'osservatore Ingargiola, imputato, alla scena accaduta; l'ingresso negli spogliatoi di Lillo Foti, presidente della Reggina, per complimentarsi con lui; il fatto che Moggi e Giraudo se ne vadano sbattendo la porta, senza alcun riferimento a serrature che fanno clic.
Infine, attribuisce al Paparesta, il solo che ne aveva la potestà, la scelta di non mettere a referto l'animata discussione avuta con i dirigenti della Juve.
Il Pm gli fa quindi ascoltare una telefonata, assai poco conosciuta, ma importante per comprendere la situazione.
Il giovedì successivo alla partita Di Mauro chiama Bergamo per chiarire il proprio comportamento, avendo saputo da Mazzei che il designatore livornese è particolarmente arrabbiato con lui. Nella telefonata il Di Mauro, molto composto e preciso nell'esprimersi in aula, si mette a piangere, infila una serie micidiale di teste su cui giurare, tra cui non mancano - naturale - i figli, abbandonandosi a dichiarazioni d'affetto incondizionato nei confronti di Bergamo, mescolate a contestuali terribili attacchi di sconforto.
Messa così, sembra che un errore contro la Juve sia imperdonabile.
Invece ascoltiamo Bergamo rassicurare il guardalinee, spiegandogli che è un errore formale che verrà giudicato come tale (lo sarà, 1 solo turno di stop, procedura rituale come ammette senza problemi Di Mauro), che "si sbaglia tutti... e sono arrabbiato zero", addirittura mette in chiaro che la Juventus è come il Canicattì in questo caso, non è assolutamente questo il discorso.
Gli consiglia l'atteggiamento da tenere a Coverciano quando l'errore, come rituale, sarà mostrato a scopo didattico.
Il Di Mauro piange perchè teme di non essere creduto, tende a salvaguardare la sua dignità e il diavolo sa cosa. Ma non accenna minimamente alla Juventus e al timore di punizioni dalla diabolica fonte.
Le rimostranze mossagli dal Bergamo, ammette poi davanti all'avvocato Trofino, non sono affatto pretestuose, ma motivate.

La testimonianza del Copelli, autore invece del grave errore del primo tempo, quando non sanzionò un evidentissimo fallo di mano di Balestri nella propria area, è sostanzialmente in linea con quella del collega. Il pubblico ministero gli chiede se gli sia mai capitato un episodio simile. Il guardalinee lombardo riferisce essere pratica comune quella di venire a lamentarsi negli spogliatoi quando i dirigenti ritengono che la propria squadra abbia subito un torto, semmai distinguendosi l'intervento di Moggi e Giraudo per un eccesso di concitazione, ma non per minacce o intimidazioni.
Dopo quella partita non arbitrerà più la Juve per il resto della stagione, rileva l'accusa, ricevendo l'assenso del teste. Allo stesso modo però, rileverà Prioreschi, l'annullamento di un goal a Gilardino nella stagione successiva, lo vedrà escluso per il resto della stagione dai match del Milan.
L'interrogatorio si concentra quindi sui suoi rapporti con Leonardo Meani, ex collega di bandierina, ma, al tempo dei fatti, collaboratore del Milan. Rapporti di amicizia, tiene a precisare, così come gli risultano essere i rapporti dei colleghi Puglisi, Contini, Babini e dell'arbitro Saccani con il ristoratore lodigiano.
Le domande vertono quasi esclusivamente su un'intercettazione, fatta ascoltare in aula, tra i due, i quali commentano, non troppo in libertà per la verità, i fatti di rilievo del mondo arbitrale.
In breve la conversazione: un commento sul Saccani, evidentemente sentito dal Meani in precedenza, costantemente messo in seconda fascia; un commento sui progressi tecnici o etici del De Santis; il racconto di un colloquio tra Meani e Carraro che se la prendono con Moggi; Meani sostiene di essere il protagonista del rilancio dell'arbitro Messina; si parla delle abilità tecniche e politiche di Rosetti; si allude a un momento politico particolarmente dedicato interno all'AIA dove i giochi si fanno "all'interno e all'esterno".
Il Pm contesta l'assenso di Copelli alle affermazioni sugli ottimi arbitraggi di De Santis, che si sarebbe liberato da certo "servilismo". Il guardalinee sostiene di riferirsi soltanto a questioni tecniche, come peraltro desumibile dall'intercettazione quando risponde all'insinuazione del Meani che l'arbitro laziale ha fatto "un passo di qualità".
Il magistrato ritiene che il Copelli abbia anche assentito alle dichiarazioni di Meani, condivise, a suo dire, con Carraro, su "quello là che vuole comandare il calcio". Copelli riconosce l'identità tra "quello là" e il Moggi ma sostiene che il suo annuire è semplicemente un educato tentativo di dare il lungo alle esagerazioni del Meani, che talvolta parlava in libertà, senza alcun reale convincimento al riguardo.
Il rilancio di Messina, di cui si accredita artefice il Meani, gli sembra dovuto a questioni tecniche, ancora una volta. Come, in generale, il percorso di carriera di ogni arbitro: le capacità tecniche sono quelle che fanno avanzare un arbitro, questa la sua convinzione.
I rapporti con Rosetti e De Santis, i "giochi all'interno e all'esterno", sono motivati con le candidature per gli imminenti Mondiali in Germania, dove entrambi gli arbitri erano in lizza per un posto, e Copelli, avendo arbitrato spesso con entrambi, aspirava a far parte della terna, qualsiasi fosse la composizione. Interesse legittimo.
Interrogato dalla difesa, Copelli spiega che i suoi rapporti con Meani gli apparivano del tutto legittimi, anche perchè la modifica regolamentare dell'AIA che impedisce relazioni con i dirigenti è datata 2007. Sino ad allora, nella sua opinione, ad arbitri e assistenti era consentito parlare con dirigenti di squadre.
L'avvocato Trofino gli rammenta un'ulteriore telefonata con Meani, in cui chiede aiuto dopo essere finito sulla graticola per un errore in Sampdoria-Palermo. Foschi lo ha attaccato pesantemente, e, in conseguenza di ciò, il guardalinee vive una situazione privata difficile che lo spinge addirittura a chiedere il permesso agli organi federali per la querela. Si rivolge anche al Meani, che lo rassicura dicendo che parlerà con Galliani, per difendere quello che definisce "un nostro uomo".
Copelli sostiene invece che l'intervento del Meani era stato da lui richiesto, in quanto lo sapeva essere amico del Foschi, e non per innescare un intervento di Galliani.

L'intervento di Copelli, internazionale ancora in attività, conferisce insomma una certa normalità alle schermaglie Milan-Juventus sui temi arbitrali. L'impressione che si ricava dalle sue parole è quella di una normale attività di lobbying, che non si serve di minacce, né di interventi diretti sugli arbitri.
La sua deposizione su Reggina-Juventus, come quella del Di Mauro, infine riportano alla normalità dei fatti, nient'affatto eccezionali, nè immotivati. Non indicatori di mafiosità e nemmeno di prepotenza, ma di una normale e rituale incazzatura.
Insomma, è giunto il momento di consegnare la partita alla storia.
Ricordiamocela sì, ma come una delle poche partite che una Juve fortissima perse quell'anno, e per quel feroce goal di Ibrahimovic, autore di una prestazione enorme.
Quelli eran tempi.