Meglio tardi che mai

MourinhoNe avevamo parlato, scritto e ampiamente documentato, non vogliamo essere presuntosi ma ogni tanto è anche giusto dare a Cesare quel che è di Cesare.
E ora improvvisamente se ne sono cominciati ad accorgere in molti, scrivendo anche in maniera pepata e senza peli sulla lingua.
Naturalmente stiamo parlando di Josè Mourinho, o "the special one" se preferite.
Dopo l'ultima giornata di campionato, terminata con il posticipo serale tra Milan e Inter, non sono passate inosservate le ulteriori frasi e parole dell'allenatore parcheggiato sulla panchina dell'Inter.
Più che altro non sono passati inosservati coloro che si sono genuflessi al tornado mediatico di questo nuovo calcio pulito.
Il chiaro messaggio sull'esterofilia dilagante nel nostro Paese e sui suoi cultori armati di penna e inchiostro lo avevamo ampiamente anticipato, cercando di far notare, in un misto di immagini e commenti, in due articoli pubblicati su questo sito, e tra salse "portoghesi" sconfinate nella bulimia e "panini speciali" avevamo cercato di rendere chiaro lo stato di servilismo messo a disposizione di Mourinho da parte dell'intera stampa sportiva italiana e degli addetti ai lavori, ex calciatori compresi.
Tant'è che Aldo Grasso, per il "Corriere della Sera", ha deciso di dare dello sbruffone antipatico all'allenatore portoghese, sostenendo che con Adriano, Ibrahimovic e Cruz (più tutti gli altri, la cui somma totale, in termini di ingaggio, servirebbe a ridurre il debito nazionale) anche Gianni De Biase sarebbe un allenatore da primato, dimenticandosi, al pari del proprio "capo", che fare il profeta del calcio con un tale arsenale è un po' come la pubblicità del "ti piace vincere facile?".
Ma il giornalista del Corriere non si è fermato qui, anzi, ha toccato quell'argomento a noi tanto caro: "Ma i giornalisti dove erano, dove sono? E cosa avrà voluto dire Carlo Paris sostenendo che Mourinho è uno che «parla fuori dal coro»?"
Dopo un mese di campionato e cinque giornate giocate è saltata all'occhio, inevitabilmente, la mancanza di interlocutori che non si facessero prendere per il naso da "the special one".
Aldo Grasso, dopo aver citato Carlo Paris, si è spostato sui vari Gianluca Vialli e Billy Costacurta, rei di fare domande al limite dell'incompresione, sia per il pubblico (pagante) che per loro stessi, al punto che per Josè liquidarli è stato come togliere Mancini e Quaresma e mandare in campo Cruz e Adriano.
La redazione de "Il Foglio" non si è voluta far mancare nulla, anzi possiamo dire che è andata giù ancora più pesantemente, paragonando Mourinho ad un mix tra Sarkozy e Celentano e definendolo come un sasso che si è gettato nel nostro melmoso calcio.
Ancora chiari i riferimenti a quel suo modo di zittire chiunque, da Fulvio Collovati (l'unico ad aver cercato di criticarlo salvo poi essere immediatamente ripreso) ai pensionati del bar RaiSport, a quegli incompetenti che sono (così definiti dal "Foglio"), per poi evidenziare l'ecumenismo sindacale del rispetto, quello che nei confronti dei suoi colleghi non sa nemmeno di avere.
Ma l'aspetto più grave è stata l'intolleranza avuta domenica sera nei confronti dell'arbitro Morganti durante l'espulsione di Materazzi.
Questo aspetto non è stato sottolineato da quasi nessuno, nè in televisione nè tanto meno sulla carta stampata.
Quel "quasi" si riferisce all'unica circostanza in cui Alberto Brandi per le reti Mediaset gli ha posto la domanda: "Mourinho con chi stava discutendo animatamente, con l'arbitro o con Stankovic?"
Probabilmente chiunque, facendo anche nomi roboanti come Capello e/o Lippi, avesse tenuto un comportamento simile avrebbe finito anzitempo la conduzione della partita, giustamente.
Ma Josè no, lui, a Morganti, ha fatto semplicemente presente di continuare a lavorare con un'amichevole pacca sulla spalla, perchè lui non poteva perdere tempo con un arbitro che non stava fornendo la sua migliore prestazione (dichiarazione rilasciata nel post gara), salvo poi continuare così:"Dell'arbitro non parlo, perché voglio essere in panchina la prossima partita".
In questo nostro calcio ne abbiamo viste un po' di tutti i colori: presidenti vulcanici, giocatori eccentrici, direttori generali che non le mandavano a dire.
Tutti però hanno avuto a che fare con giornalisti con la "G" maiuscola, seri professionisti arrivati dalla gavetta, dalla cultura del rispetto, da quel modo un po naif di fare un mestire imparato attraverso un rigoroso silenzio, con un alto grado di quella competenza, sia calcistica che dialettale, ben al di sopra di quella odierna.
Non c'era tutto lo spettacolo e l'esasperazione all'immagine che c'è oggi, c'era la voglia di fare cronaca, di raccontare i fatti, e se c'era qualcuno che era tutto fuorchè un'allenatore, nessuno avrebbe avuto il timore di farglielo presente.