Povero calcio italiano! Chi seguirà Agnelli?

È difficile analizzare la situazione del calcio italiano meglio di quanto ha fatto Andrea Agnelli nel discorso presentato in occasione dell’Assemblea degli azionisti del 24 ottobre.
Raccogliendo i dati nazionali relativi alla storia recente dello sport che noi tutti amiamo, e confrontandoli con le altre realtà europee, ci si può rendere conto di alcuni parametri, che anche presi ognuno singolarmente confermano le impressioni di un calcio italiano sempre più in declino. Prima di commentare, infatti, è necessario leggere i numeri, freddi, implacabili, a volte non sufficienti a spiegare l’insieme delle cose, ma indispensabili se si vuole mettere in campo un’analisi attenta, precisa, attuale.
Troppe volte in questi mesi abbiamo sentito parlare di “governance”, di fair-play finanziario, di extracomunitari, di tournée all’estero, di leggi sugli stadi, di introiti da diritti televisivi, di fatturati. Ma come sta realmente il calcio italiano non ce lo spiegano i giornalisti (sarebbe il loro mestiere! Ah…la cronaca…): impegnati a seguire i discorsi del neoeletto Presidente della FIGC Carlo Tavecchio? O le gesta del prode Massimo Moratti, suo alleato ai tempi di Calciopoli, che lascia (così pare) la sua Inter ed il pallone nostrano, dopo anni trascorsi a spendacciare, con quell’importante acuto del 2010, beffardamente senza alcuna ripercussione positiva sui dati emersi dal sistema calcio negli anni a venire?  E non ce lo spiegano nemmeno le istituzioni, né la Lega Calcio, e nemmeno i Presidenti di società con le pezze al deretano, che tanto interesse avrebbero a conoscere come stanno i fatti.
No, ce lo spiega il Presidente della Società leader del calcio italiano, per introiti e fatturato, per trofei e palmares, anche recente. Nella sua situazione si potrebbe italianamente vivacchiare, senza dover ottenere nulla di più: in Italia si primeggia, in Europa un po’ meno, ma le garanzie non le avresti nemmeno ad investire di più…e ad andarti bene, poi si finisce così. Inoltre: perché permettere di respirare a tutto il sistema del calcio italiano? Col “rischio” che altre società si muniscano di stadio di proprietà o di bilanci in regola?
Lascerei ogni commento ai lettori. Parole e grafici di Andrea Agnelli.

Basta guardare con un minimo di distacco e senza partigianeria la situazione del calcio italiano per riconoscerne il progressivo declino. Qualcuno nell’establishment ha avuto il coraggio di sostenere che, siccome l’Italia nel suo complesso ha perso terreno in ogni comparto, allora la crescita della nostra industry, seppur inferiore a quella di altri Paesi, dovrebbe tranquillizzarci. Non è così poiché si tratta di una crescita legata esclusivamente all'evoluzione del mercato televisivo.
Meno di vent’anni fa Inghilterra, Spagna e Germania guardavano all’Italia come ad un esempio: oggi ci hanno sopravanzato in qualsiasi parametro di riferimento: 1) livello di ricavi 2) in termini di sostenibilità del business 3) risultati sportivi 4) valori assoluti e relativi di riempimento degli stadi 5) ranking UEFA. Oggi fatichiamo a difendere la quarta posizione dal Portogallo
”.





Il livello di fatturato che vi presentiamo riconferma la Juventus nelle prime dieci società calcistiche al mondo, ed il ranking Uefa è migliorato. Ma i nostri principali competitor, Real Madrid, Bayern Monaco, Manchester United, Barcelona, ci hanno distanziato nettamente. Nessuna società italiana, è stata in grado di crescere al loro ritmo: segno di un evidente limite strutturale che affligge il nostro calcio”.



Solamente dieci anni fa dalla gestione “match day” la serie A generava gli stessi ricavi della Bundesliga, poco meno di quelli della Liga spagnola e circa un terzo di quelli della Premier League. Eravamo già allora una tartaruga oggi siamo un gambero. La Bundesliga e la Liga generano oggi il doppio e i ricavi da stadio del nostro calcio sono scesi sotto la soglia dei 200 milioni di euro, di cui il 20%, un quinto, prodotti dallo Juventus Stadium. Quest’ultimo rimane invece l’unico esempio di struttura all’avanguardia, ma rappresenta soltanto un ventesimo del prodotto complessivo. Troppo poco”.



Sul fronte interno gli appassionati devono tornare a popolare gli stadi. La Juventus, grazie allo Stadium, ha raggiunto una percentuale di saturazione del 95% per cento (fa notizia quando NON è tutto esaurito), il resto della serie A viaggia costantemente sotto al 50% con un declino progressivo”.



E poi l’estero. La sfida di un mercato ormai davvero globale. Negli ultimi dieci anni il calcio italiano è scomparso dagli schermi televisivi dei maggiori mercati occidentali e non ha saputo conquistarne di nuovi. Nello stesso periodo Spagna ed Inghilterra si dedicavano alla costruzione di brand davvero globali con evidenti riflessi sui ricavi commerciali delle singole società. Solamente per darvi un esempio: il Liverpool ha attualmente un main sponsor, Standard Chartered (25M all’anno) che non opera in Europa. Si tratta di un’istituzione finanziaria attiva esclusivamente in Asia, Africa e in Medio Oriente. Mi pare un esempio molto significativo per descrivere il forte traino che il marchio English Premier League ha saputo generare per le “sue” squadre nell’ultima decade, dopo un lungo lavoro iniziato all’inizio degli anni ’90.
In Juventus stiamo cercando di recuperare il terreno perduto e dal primo luglio 2015, grazie al nuovo accordo con Adidas e al rinnovo dell’accordo con Jeep, riposizioneremo la nostra maglia a valori nettamente superiori a quelli attuali ed in linea con i grandi europei di seconda fascia.(…) Ma ancora una volta la Juventus potrà crescere solo frazionalmente se il prodotto collettivo serie A non farà altrettanto
”.



Io sono convinto che nel calcio italiano le forze conservatrici, che al momento paiono prevalere a tutela di piccoli e grandi interessi particolari e rendite personali, non riusciranno a soffocare quanti sostengono il cambiamento.
In un libro di Simon Kuper, apparso molti anni fa dal titolo “Football Against the Enemy”, l’autore scriveva: ‘Quando il tifoso inglese passa a miglior vita, va in Italia, dove trova i migliori giocatori del mondo, partite trasmesse per intero in televisione e un gran numero di giornali sportivi. E trova pure bel tempo!’. Questa era la Serie A per gli inglesi vent’anni fa. Non lo dico con nostalgia.