Complimenti? Anche no.

Vi devo confessare una certa bipolarità di carattere che mi si è manifestata di recente, sarà che forse sono vere quelle robe della doppia personalità di quelli dei Gemelli. Via il dente, via il dolore; ci sono momenti nei quali mi capita di pensare che bisogna fare dei gran complimenti a questa Roma, per almeno un paio di ragioni: perché ha oggettivamente fatto un grandissimo campionato, forse irripetibile (passo subito all'altra personalità: e quando gli ricapita più...), con una media punti che le sarebbe valsa la vittoria in quasi tutti i tornei precedenti e poi perché, egoisticamente, grazie a un'avversaria così che ha premuto alle spalle fino all'ultimo, la Juventus si avvia a consegnarsi alle pagine immortali della Storia con il più clamoroso (scelgo questo aggettivo, ma va bene pure il contiano "super straordinario") dei suoi 32 titoli italiani. Fosse il calcio in Italia una cosa normale e non una rappresentazione tribale che sovente azzera le sinapsi e occlude le arterie, sarebbe finita qui e io non avrei mai scoperto la mia bipolarità. Complimenti alla Roma, complimenti ancora maggiori alla Juve, grazie ad entrambe per aver animato un torneo altrimenti dai contenuti deprimenti. E ci si rivede l'anno prossimo per l'eventuale rivincita.
 
E invece no. Si dà il caso che in Italia il calcio sia quello che è e il sopravvento lo prenda sempre più spesso la mia seconda personalità, quella che pensa che alla Roma, a questa Roma qua, non bisogna fare nessun complimento. Perché non è il tennis, non è Federer contro Nadal che sul campo di Wimbledon si prendono a pallate per 5 ore ma poi a partita finita si abbracciano e si scambiano complimenti sinceri, chiunque abbia vinto. Sarà la frustrazione nel constatare che nemmeno una stagione forse irripetibile è bastata per incrementare del 33% la loro collezione di scudetti, sarà per la loro atavica tendenza al vittimismo e al piagnisteo che diventa paranoia demenziale quando a contendere il successo finale è la Juventus. Sta di fatto che sin dalle prime giornate, ancora prima che la striscia arrivasse a 10 vittorie iniziali consecutive, la loro solita prematura autoesaltazione li ha portati alla convinzione che questo Campionato non poteva che essere loro e qualsiasi altro esito sarebbe stato frutto di una macchinazione ai loro danni. Il cliché non è certo dei più originali, soprattutto da quelle parti, ma tant'è. Sono bravissimi nella rappresentazione fumettistica che vede loro nei panni dei cavalieri buoni e senza macchia e gli altri in quelli delle forze oscure del Male che tramano da sempre nelle segrete stanze del Palazzo per ostacolarli con ogni mezzo illecito conosciuto. Ok, talvolta è anche divertente osservarli, soprattutto se dall'alto come spesso capita. Ed è anche di conforto pensare che fin quando resteranno in questa maniera sarà per noi la migliore polizza sulle vittorie.
 
E però la sistematica delegittimazione del cammino della Juventus, che è iniziata da subito (nonostante dalle parti di Trigoria stessero inanellando vittorie a ripetizione) con gli "aiutini" tottiani e ha avuto l'apice nei deliri dell'ultimo mese, non è tollerabile. Non si possono fare i complimenti a chi sistematicamente stravolge la realtà trovando spesso sponda nel racconto mediatico. Hanno goduto di decisioni arbitrali favorevoli quanto gli altri, ma puntualmente o erano errori "capibili", o venivano del tutto occultati (es. in Cagliari-Roma un mani in area di Castan sullo 0-1 ha aspettato invano un moviolista che lo raccontasse) oppure immediatamente derubricati come ininfluenti. Hanno voluto far passare una decisione ineccepibile della giustizia sportiva (che anzi avrebbe potuto punire più severamente Destro, valutando, oltre al gesto violento, la simulazione) come un cambio delle regole in corsa per sfavorirli, cosa puntualmente smentita dai precedenti ma ovviamente raccontata da pochissimi. In qualsiasi contesto calcistico civile l'essersi ostinati a difendere contro ogni evidenza il giocatore invece che censurarlo avrebbe causato un forte danno di immagine, da noi quasi volavano i complimenti. Da ultimo la ridicola polemica circa il presunto disimpegno delle avversarie della Juventus, anche questa paradigmatica del loro sistematico capovolgimento di ogni brandello di realtà pro domo propria: se il Livorno risparmia i diffidati contro la Roma prima della partita col Sassuolo tutto ok, anzi se lo erano scordato tutti (me compreso) tranne Di Francesco che era parte in causa, se lo fa contro la Juve falsa il campionato. Se la Roma a Chievo passeggia segnando due goal gentilmente concessi dai difensori gialloblu suonano le fanfare per la schiacciasassi di Garcia, se la Juve vince a Udine è invece perché i friulani si sono scansati. Ma finché queste patetiche idiozie rimangono nell'etere romano, di pertinenza dei picchiatori radiofonici locali, è il meno. Il guaio è che nell'ultimo mese i deliri delle famigerate radio romane sono diventati la posizione ufficiale della A.S. Roma, e questo non si può accettare. Fa bene Conte a non fargliene passare una, a rispedire al mittente le comiche giustificazioni in nome di una presunta cultura sportiva. Cultura de che? Cultura del sospetto, della delegittimazione sistematica dell'avversario, del non accettare che anche se tu sei stato forte e valoroso può esserci stato un altro ancora più bravo di te.
 
Certo, a volte li capisco. Oltre alle loro qualità vittimistiche che si portano da sempre nel dna, hanno anche trovato in questa stagione un racconto giornalistico tra tv e giornali che ha fatto a gara a dipingere una Roma traboccante di superlativi: bellissima, bravissima, fortissima, in un continuo fomentare le velleità giallorosse. Di contro, una squadra che dallo scontro diretto del 5 gennaio continua a mantenere una distanza di sicurezza di otto punti e si avvia a sbriciolare record su record sembrava sempre stesse lì quasi per caso, presenza di contorno del meraviglioso campionato giallorosso. Valga a titolo esemplificativo il tweet di qualche giorno fa del direttore di un settimanale sportivo nel quale, per magnificare il campionato del'armata di Garcia reduce dall'aver spezzato le reni al Milan, si sosteneva che quest'anno bisognerebbe assegnare due scudetti. Non è dato sapere quanti bisognerebbe assegnarne in Premier League o nella Liga, dove tra prima e seconda ci sono due e tre punti di differenza a pochi metri dal traguardo, non OTTO, e le terze vicinissime a tre e quattro punti, non 24. E dove la seconda in classifica non ha disputato una stagione al riparo dagli impegni europei.
Era tanta la voglia di Roma, quest'anno. Così tanta, così sguaiata che, unita all'atteggiamento tenuto per tutto l'anno dall'ambiente giallorosso, fa sì che proprio no: per i complimenti a questi qua ripassare un'altra volta.