Juve: occhi di tigre o c'è dell'altro?

Il pareggio arrivato allo scadere al Bentegodi ha fatto infuriare il popolo bianconero, dal tifoso di strada al Presidente Agnelli, dai panchinari ai titolari, fino ad arrivare all'allenatore. Passata la rabbia dei primi giorni, è tempo di fare un'analisi serena del momento che sta vivendo la Juve di Conte. "Quale momento?" mi si dirà. "60 punti su 69 disponibili, mica si possono vincere tutte le partite!". Beh, da un lato è vero. Se guardiamo agli anni passati, la prima Juve contiana, benché con due partite in meno, alla 23esima giornata era a quota 45, due lunghezze dietro al Milan; l'anno scorso invece registrava un +7, stabilendosi a quota 52 con 3 punti sul Napoli. Quindi, il miglioramento quest'anno è netto. Ma anche la Roma è passata dai 35 punti dell'anno scorso ai 51 (con una partita in meno) di quest'anno. E poi, si sa, il gobbo è esigente: avessimo anche fatto 69 su 69 e ci fossimo qualificati agli ottavi di Champions, starebbe lì a elencare i difetti delle riserve, la necessità di fare mercato, le paure per la svendita di Pogba...

Ma qual è ora il cruccio che affligge le menti degli juventini? La difesa sui calci piazzati. Già, perché nelle ultime partite sembra essere tornato il problema che affliggeva i bianconeri a inizio campionato. E le tesi che vanno per la maggiore sono due: c'è la schiera dei "mullahisti", gli instancabili sostenitori di Conte, che vedono in lui un vero e proprio leader, infallibile e autoritario, e che quindi ritengono che le colpe ricadano sui giocatori, disattenti in fase difensiva, svogliati e senza "gli occhi di tigre"; dall'altra parte ci sono invece quelli che, scottati dalla delusione di non aver imposto il proprio gioco in Champions per due anni di fila, cominciano a dubitare dell'allenatore, e a relegarlo nel limbo dei "buoni allenatori e nulla più", credendo inoltre che il tecnico sia in preda a qualche delirio di onnipotenza. Ma come si sono create queste due fazioni? Torniamo rapidamente indietro al primo anno di Conte.

Gli juventini erano reduci da due annate bruttissime, due settimi posti e, beffa delle beffe, l'esclusione dalle coppe europee. Il trio Cobolli Gigli-Blanc-Secco (effettivamente si dovrebbe parlare di quartetto...) aveva portato la politica dello "smile", che in pochi anni aveva tolto mordente ai giocatori, che si trascinavano in campo come zombies, privi ormai di qualsivoglia motivazione. L'appartenenza ai colori bianconeri, che prima rivestiva di un senso di responsabilità chiunque indossasse la maglia, aveva ora perso di significato, anche a causa delle improbabili campagne acquisti che di volta in volta portavano in bianconero un numero di fenomeni parastatali che avrebbe potuto dare a "Mai Dire Gol" materiale per un'intera stagione. Il merito di Conte nei primi mesi fu proprio quello: adoperarsi sin da subito per restituire il dna gobbo alla squadra e ai giocatori, infondendo in loro la "fame" di vittorie e la costante ricerca della perfezione. Tutti ricordiamo la grande prestazione con la quale la Juventus schiacciò in casa il Milan campione d'Italia. I media fecero passare quella partita come il trionfo della fisicità juventina: "La Juve corre e basta", "Conte ha ridato fame ed entusiasmo all'ambiente, è tutto lì", "L'organico del Milan è superiore, devono solo entrare in forma". Ma il lavoro tattico allora? Quella partita fu anche un capolavoro del tecnico salentino, che utilizzò Vidal come trequartista alto, a portare pressing a tutto campo sui portatori di palla rossoneri, e Vucinic come punta unica, pronto a scaricare il pallone al primo inserimento di un centrocampista. Ma questo aspetto non fu per nulla evidenziato dai giornalisti, e molti tifosi juventini finirono quasi per credere alla favola del "Conte sergente di ferro", un uomo che con le sue urla infonde lo spirito guerriero nei suoi calciatori.

Dall'altro lato della barricata invece ci sono i "disillusi": quelli che, vista la prima Juve di Conte, sognavano un quinquennio di trionfi (o, data la storia bianconera, di arrivare almeno a 3 finali di Champions); una squadra che avrebbe fatto rivivere le emozioni del primo Lippi e che avrebbe instillato il terrore come ai bei vecchi tempi. Ma dopo l'uscita col Bayern dell'anno scorso e la deludente eliminazione di quest'anno, causata anche da qualche partita sottotono contro compagini ampiamente alla nostra portata, il fronte si è allargato: si è cominciato a porre in dubbio la bravura del tecnico, accusandolo di essersi trasformato in difensivista, e di accontentarsi dell'orto di casa per paura di scottarsi appena varcate le Alpi.

Quale versione si deve quindi scegliere? Quella del "Conte furioso" o del "Conte difensivista?". Come spesso accade in questi casi, la verità sta nel mezzo, e sono i fatti a dircelo. Vi sono tre Juventus da inizio campionato e, sorpresa delle sorprese, le ha tutte allenate il tecnico salentino:
-quella che nelle prime 8 giornate subisce 10 goal;
-quella che per 10 giornate (fino a Juventus-Roma) subisce un solo goal;
-quella che nelle ultime 5 giornate subisce 7 goal, tutti molto simili per non dire uguali.
Per spiegare tutto ciò basta una semplice riflessione: è fisiologicamente impossibile mantenere il ritmo alto per 90 minuti, figuriamoci per un intero campionato. Il primo anno di Conte non era solo il 4-3-3 a dare gioco: era l'assenza di coppe, l'incoscienza che faceva correre come pazzi e ribaltare un 3-1 al San Paolo. Un'incoscienza che non rivedremo mai più. Perché? Perché non puoi correre per 90 minuti. Ci siamo forse dimenticati che due anni fa ci lamentavamo proprio di questo? "Questa Juve sta tornando forte, col dna gobbo, ma ancora pecca di maturità: se non corrono a mille non riescono ad amministrare la partita". Questo Conte lo capì bene a metà stagione, quando optò per il 3-5-2, modulo che consentiva una maggiore stabilità difensiva con un dispendio minore di energie, e che permetteva quindi una gestione più accorta delle partite.

Sbagliano quindi anche gli "ezbollah" contiani a ritenere che i problemi risiedano (quasi) tutti negli "occhi di tigre". Però in errore lo sono anche i "disillusi", i quali forse troppo hanno mitizzato la squadra 2011-2012, che magari sarà pure stata spettacolare, però, in quanto a gol e punti fatti, rimane ampiamente dietro le Juventus venute dopo. In conclusione, all'indomani del pareggio-sconfitta di Verona cosa possiamo aspettarci? Le parole di Conte sono state chiare: "Dobbiamo TUTTI farci un bagno di umiltà". Con ciò includendo, ovviamente, anche se stesso. Insomma, dopo aver anticipato la panchina per qualche titolare troppo "lezioso", si è imputato giustamente anche la colpa per qualche cambio scellerato durante la partita. Alla faccia di entrambe le fazioni. Il giorno di riposo cancellato non va quindi visto come una punizione verso i giocatori, o, meglio, non solo: il tecnico ha ravvisato che si sono palesati grossi problemi in fase difensiva su calci piazzati, e la soluzione è una, e una sola: lavorare su questo aspetto, probabilmente un po' trascurato nelle ultime settimane, per venirne a capo il prima possibile. Perché il campionato è ben lungi dall'essere finito, e a Verona è suonata la sveglia, per tutti.

 

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