Verona-Juve ’89: il giorno della morte di Scirea

Era il 3 settembre 1989 quando Juventus e Verona si affrontarono in un match valido per la seconda giornata del campionato ’89-90. Sembrava una domenica di fine estate destinata ad essere ricordata per una bellissima vittoria su un campo ostico come quello del “Bentegodi”. Una vittoria netta, per 4-1, come mai prima di quel giorno era accaduto nemmeno quando la Juve si era presentata in quel di Verona con gente ben più blasonata di Bonetti, Galia, Tricella, Bonetti anche se, ad onor del vero, anche l’Hellas dei primi anni’80, che avrebbe poi raggiunto uno storico scudetto nel 1985, era di un’altra pasta.

Fu una vittoria che permise alla Juve di sognare la possibilità di sedersi al tavolo delle squadre in grado di giocarsi lo scudetto: la squadra allenata da Zoff, seppur cinica, compatta e battagliera, era infatti costretta a vedersela con squadre più attrezzate come il Napoli di Maradona, il Milan degli olandesi, l’Inter dei tedeschi e la Sampdoria di Vialli e Mancini.
Dopo 11 minuti la partita era già indirizzata verso una vittoria bianconera grazie alla doppietta di Totò Schillaci, l'ultima scoperta di Boniperti, che lo aveva prelevato in serie B dal Messina, prima di lasciare la presidenza dopo quasi 20 anni. Il Verona però non si arrese tanto facilmente, andando due volte vicino al gol che avrebbe potuto accorciare le distanze prima con Iorio, il cui traversone era stato però allontanato da De Agostini e poi ancora con Iorio bravo a riprendere un’ uscita di Tacconi non trattenuta e a tirare a botta sicura verso la porta salvata da Alejnikov. Al 25’ arrivò però il colpo di grazia per il Verona, con l’espulsione di Gaudenzi per doppia ammonizione. A quel punto se i ragazzi di Zoff avessero messo in rete tutte le occasioni create sarebbe stato necessario un pallottoliere per contare i gol: Schillaci, Barros, Galia e Marocchi sfiorarono il gol del 3-0 che sarebbe poi arrivato nel secondo tempo con Fortunato. Il gol della bandiera per il Verona venne realizzato da Iorio al 77’.

Si potrebbe parlare del siparietto Boniperti-Schillaci, con quest’ultimo abile in zona mista, come lo era stato in campo con i difensori veronesi, a dribblare paragoni scomodi con un grande attaccante siciliano del passato; Pietro Anastasi.
Si potrebbe parlare di come l’orchestra di Zoff stesse mostrando quei margini di miglioramento che nel corso dell’anno sarebbero stati continui ed avrebbero permesso a Madama di portare a casa Coppa Uefa e Coppa Italia: Alejnikov e Fortunato sembravano trovarsi bene a centrocampo così come in difesa Galia e De Agostini davano l’impressione di non aver timore nei loro attacchi offensivi, sapendo bene che dietro di loro Bonetti e Tricella sapevano reggere l’urto degli attaccanti avversari.

Purtroppo però quel 3 settembre 1989 è un giorno noto a tutti per uno dei fatti più tristi dell’intera storia bianconera, secondo solo al 29 maggio di 4 anni prima: mentre la squadra rientrava in pullman da Verona e si dirigeva verso lo stadio Comunale dove tutti i giocatori avrebbero ripreso le loro macchine per tornare a casa, come sempre avveniva dopo ogni trasferta, Sandro Ciotti dava alla 'Domenica Sportiva' il triste annuncio della morte di Gaetano Scirea. “Gai”, allora allenatore in seconda, era aveva trovato la morte in un incidente stradale in Polonia, dove era andato a visionare per conto di Zoff i successivi avversari di Coppa Uefa, il Gornik.

Inutile ricordare il curriculum sportivo del Capitano di mille battaglie, o di quanto fosse apprezzato da compagni ed avversari per le sue doti morali,  visto che ad oltre 20 anni dalla sua morte  di aneddoti e testimonianze particolari su Scirea ne abbiamo collezionati a centinaia.  Quello che forse in pochi ricordano è il modo con cui si è sempre messo al servizio della Juve: dopo 14 anni di trionfi, nella primavera del 1988 aveva intuito di aver imboccato la cosiddetta parabola discendente della carriera di un calciatore, decidendo così di ritirarsi: senza dichiarazioni clamorose, senza rancore, con un rituale semplice come il suo carattere gli imponeva. E dopo soli due mesi si sarebbe messo a disposizione per la ricostruzione della Juve post-Marchesi.