Charity Lazio

BerettaDevono aver capito male. In buona fede, sicuramente, ma deve esserci stato un fraintendimento. A forza di sentirsi dire che il calcio italiano dovrebbe prendere a riferimento modelli organizzativi d’eccellenza come quello inglese, gli illuminati manager che governano la Lega Calcio di Serie A devono aver pensato: ok, proviamoci. Partiamo dalla Supercoppa.

In Inghilterra, l’evento che mette in competizione i vincitori della Premier League contro quelli della F.A. Cup si chiama attualmente  “Community Shield”, mentre in passato ha assunto anche la denominazione di “Charity Shield”, letteralmente “scudo della carità”. Il nome è dovuto al fatto che il ricavato della partita che inaugura la stagione del football viene devoluto in beneficenza. E’ una delle tante tradizioni ultracentenarie del calcio d’oltremanica, una nobile tradizione.

I signori che governano la Lega di Serie A, e più precisamente quelli che siedono nell’organo esecutivo chiamato Consiglio di Lega, hanno quindi deciso nei giorni scorsi di mutuare quella nobile usanza anglosassone e adeguarla alla situazione specifica del calcio italiano. Piccola premessa: la struttura attuale della governance della Lega Calcio è scaturita dalle elezioni svoltesi lo scorso gennaio, che hanno visto il trionfo dell’asse politico Lotito-Galliani con sullo sfondo gli interessi economici dei club legati alla società che gestisce i diritti televisivi della serie A e tanto altro, la Infront Italy. Ebbene: con l’ultima delibera del Consiglio di Lega si è stabilito che alla società presieduta da uno dei principali dominus della confindustria del pallone, Claudio Lotito, spetterà un minimo garantito di 1,8 milioni derivante dal ricavato della prossima edizione della Supercoppa, in programma il 18 agosto tra Juventus e Lazio. Dopodiché bisognerà soddisfare le spettanze della Lega Calcio quale ente organizzatore e infine, se saranno rimasti ulteriori spiccioli, questi andranno alla Juventus fino a raggiungere il massimo di 1,8 milioni. La eventuale parte eccedente, verrebbe ulteriormente suddivisa in parti uguali tra le due società. Mettiamola in maniera più brutale: la Juventus disputi la Supercoppa nello stadio della Lazio, porti i suoi giocatori, il suo nome, il suo appeal e quindi contribuisca al buon esito commerciale dell’evento, e poi si accontenti di quello che avanzerà (se avanzerà) dopo che saranno soddisfatte le brame economiche della Lazio e della Lega Calcio. Non male, no? Insomma: accogliamo finalmente il tanto declamato modello inglese e rendiamo benefica, “Charity”, anche la nostra Supercoppa. Devolviamo gran parte del ricavato alla nobile onlus S.S. Lazio e ribattezziamo questa nuova formula alla maniera anglosassone: non Charity Shield, ma Charity Lazio.

Con somma arroganza e bieco egoismo, però, la Juventus non ci vuole stare. Pretende che il ricavato venga suddiviso come sempre accaduto fino all’anno scorso, ossia 10% alla Lega e il restante 90% diviso equamente tra le due squadre. Non accettano, in quel di Torino, la motivazione fornita dagli illuminati di Via Rosellini, ossia che la Lazio abbia il diritto di incassare la cifra minima che sarebbe stata garantita qualora la Supercoppa si fosse disputata a Pechino. Non accetta, la Juventus, di fasi carico della responsabilità del mancato svolgimento del match in terra cinese e rimborsare quindi la Lazio dell’ingiusto danno subito. Da Torino accampano giustificati motivi documentati addirittura nel mese di marzo? Rivendicano l’assenza di alcun obbligo a disputare proprio quest’anno la partita all’ombra della muraglia? Negano che dalla vittoria della Coppa Italia discenda, per la Lazio, qualsiasi altro diritto che non sia semplicemente quello di disputare la Supercoppa? Inezie, cavillismi. Anzi, per dirla con le parole di un soggetto super partes in questa vicenda, mancanza di spirito democratico. Perché sia chiaro: Lotito e i suoi alleati politici che siedono nel Consiglio di Lega e hanno votato all’unanimità la delibera che istituisce il Charity Lazio non ne fanno certamente una bieca questione di soldi. E’ un fatto di principio, di regole democratiche e, last but not the least, di carità.