Scudetti che abbiamo vinto...

Agnelli e ElkannLa Juventus ha vinto il 5 maggio il suo 31° scudetto. Senza la dicitura “sul campo”, il 31° e basta. Del resto è anche pleonastico aggiungere specificazioni, dal momento che gli scudetti si vincono lì, non altrove. Salvo eccezioni, ovviamente: c’è chi lo ha “vinto” in segreteria (Mourinho docet), ma se guardiamo le cose dal verso giusto e non capovolte è quella l’anomalia, l’eccezione, non altre. E’ lì che andrebbe messo l’asterisco, non su quelli della Juventus. Come ha ricordato in un momento di inattesa lucidità Mario Sconcerti, la logica dice che la Juve ne ha vinti 31 con due tolti, qualcun altro 17 con uno aggiunto.

Però siamo in Italia, e intorno alla contabilità tricolore si è sviluppato il solito stucchevole balletto di cifre tra giornali, tv e istituzioni, avvinghiati in un gioco di interessi reciproci, ruffianerie, ammiccamenti ipocriti. Ma soprattutto nel continuo e disperato tentativo di dare credibilità al castello scalcinato che venne costruito nel 2006 col contributo decisivo proprio di tutti i mezzi di informazione, schierati in maniera militarizzata e acritica a difesa della verità imposta dall’alto.

C’è che la specificazione “sul campo” è sparita da ogni celebrazione ufficiale e non comparirà nemmeno sulle magliette della prossima stagione. E il wishful thinking è subito partito all’impazzata nel considerare questo come un arretramento sul terreno delle rivendicazioni e un segno di pace verso le istituzioni, unito all’assenza delle tre stelle sulla maglietta. Come se la stessa scritta “30 sul campo” non fosse stata concordata con la Lega lo scorso anno e se la rinuncia alle stelle non fosse anch’essa una decisione vecchia di dodici mesi, presa addirittura in conflitto con la Nike che aveva già stampato le magliette bi-stellate sulle quali per tutta la stagione sono state applicate delle toppe che nascondessero il simbolo della decina di tricolori. La scritta “30 sul campo” aveva un impatto l’anno scorso, quando per la prima volta si doveva giustificare l’assenza delle stelle che la Juventus stessa, tramite Umberto Agnelli, aveva ideato e introdotto nel 1958. Scelta di compromesso, ma con un suo significato simbolico importante: era l’emblema del dissenso rispetto al conteggio ufficiale della Figc, pur rimanendo all’interno delle regole imposte. Ora che quella scelta è stata compiuta e metabolizzata, non ha alcun senso continuare a ricordare ogni anno sulla maglia il conteggio differente rispetto all’albo d’oro ufficiale. Basta il 31 esposto un po’ ovunque (buon ultimo l’ingresso dello Juventus Stadium), una cifra che la Juventus continua per bocca di ogni suo esponente a ricordare e a non rinnegare, altro che pacificazioni o passi indietro. Specificare ancora “sul campo” sarebbe un po’ come dire che ho comprato in vita mia 31 macchine, in concessionaria (e dove, sennò?). Se poi quando sarà vinto il 32° scudetto verranno apposte le tre stelle sulla maglietta, senza che il 28 e il 29 siano tornati a casa, vorrà dire che non ci avrò capito nulla e che tutta questa storia di simboli e scritte sarà stata solo una lunga pagliacciata.

C’è però una nota realmente stonata in questa disputa contabile. Non si può far finta di non sapere che il Presidente di Editrice La Stampa S.p.A., società controllata dalla Fiat, è lo stesso della medesima Fiat e lo stesso di Exor S.p.A., e si chiama John Elkann. Vedere fare bella mostra sul quotidiano “di famiglia”, nelle pagine sportive, un tricolore col numero 29 provoca nell’immediato la stessa sensazione del rumore delle unghie sulla lavagna. Una sensazione che riporta ai mesi di Calciopoli, all’inside job, al comportamento collusivo della proprietà, alle sue responsabilità storiche nello sfregio inferto alla Storia della Juventus. Qual è, sette anni dopo, il gioco di Elkann e di Exor? Perché ad un Agnelli che rivendica con orgoglio tutto il passato della società non è mai stato dato il supporto dell’unico mezzo di comunicazione controllato direttamente? L’immagine, tristissima, che evoca questo scenario è quella di un genitore che si scusa, nel salotto buono, per le intemperanze del figlio un po’ scapestrato. Perdonatatelo, è fatto così: lo lasciamo sfogare, lo lasciamo dire, ma poi come la pensiamo realmente lo sapete bene. Come un cane cui hanno lasciato pochi metri di guinzaglio: quanto basta per farlo gironzolare in presunta libertà, ma senza far danni. D’altronde, quattro anni fa il rampollo dallo sguardo non proprio sveglio era stato perentorio: “Scudetti che abbiamo vinto noi sappiamo quelli che abbiamo vinto, e quello è quella cosa importante”. Evidentemente sappiamo cose diverse. La mia Juve è quella di Andrea Agnelli, di Antonio Conte, di Pavel Nedved. Quella di Elkann e di Exor sarà sempre una cosa diversa.


Twitter: @EpyAle