L’accanimento mediatico e la tutela del marchio Juventus

MediaUna delle questioni che in questi giorni si è posta all’attenzione dei nostri lettori è sicuramente quella della violenza e dell’accanimento con cui i media e i loro giornalisti si scagliano contro la Juventus quando si verificano errori arbitrali ad essa favorevoli. Non è mia intenzione trascendere in logiche da bar dello sport ma è evidente che errori come quello di Catania o come quello di Tagliavento con l’Inter accadono regolarmente su tutti i campi di calcio professionistico, in Italia e all’estero, e quasi sempre determinano solo l’intervista all’allenatore danneggiato che ovviamente recrimina, e un trafiletto nella pagina del giornale del giorno dopo. Tali episodi dopo 48 ore diventano preistoria e vengono giustamente affidati all’oblio della storia del calcio e alla memoria di qualche allenatore scarso che li userà come giustificazione per i propri insuccessi.

Non può sfuggire al lettore indipendente la circostanza che quando in queste “sviste” è coinvolta la Juventus tutto assume un tono più drammatico, cupo, che rimanda a ipotetici complotti attuali o passati. Sui giornali i titoli sono feroci e aizzanti. In TV gli opinionisti, soprattutto i più beceri e antijuventini, perdono ogni freno inibitorio e si scatenano nell’apologia del furto rivisitando tutti i presunti favori della storia bianconera. Ma soprattutto, e questo è il peggio, molti tesserati famosi e meno famosi si accodano, rilasciando dichiarazioni molto spesso meritevoli di sanzione disciplinare, vedi i recentissimi casi di Moratti o di Pulvirenti, ma sistematicamente ignorate dalla giustizia sportiva.

Al di la del fastidio di sopportare certe schifezze, che molto spesso sono la cartina tornasole di una ottima competitività sportiva della nostra squadra, e di questo non posso fare altro che godere, è molto più importante sottolineare invece quali possano essere gli effetti collaterali di tale strategia mediatica e quali siano i danni, soprattutto prospettici, che questo clima da caccia alle streghe può causare alla società, ai suoi dirigenti e, in ultima analisi, ai suoi azionisti, grandi e piccoli.

Una falsità, anche piccola, se ripetuta più volte, si fissa nell’immaginario collettivo in maniera indelebile e certamente ascoltare o leggere in continuazione la tesi che la Juve ruba a prescindere genera verso tale concetto un'assuefazione che, soprattutto nella mente dei soggetti più influenzabili, in particolare i bambini, può causare un sentimento di repulsione, di “non appartenenza”, che mina alle fondamenta il naturale processo di formazione della propria coscienza da tifoso, insinuando irreversibilmente la convinzione che tifare Juventus sia una scelta di illegalità. Addirittura ci sono stati casi in cui la frase “la Juve ruba” è stata utilizzata come una specie di hashtag mediatico da parte di alcuni conduttori e giornalisti solo per assurgere al desco della celebrità e del “politically correct”.

Questo clima dunque, se nel breve scatena soprattutto i dibattiti televisivi, a mio parere nel lungo termine, ed è quello che sta accadendo per la Juventus, è in grado di modificare gli equilibri commerciali e i bacini di utenza, con potenziale danno di centinaia di milioni di euro per la società che lo subisce. E’ una tematica questa molto interessante e trova fondamento nella questione sempre ben dibattuta, anche nell’ambito del legislatore Comunitario, della tutela del marchio e dei danni di immagine, con riferimento quindi a quegli asset immateriali di un'azienda, la cui valorizzazione e il cui sfruttamento sono direttamente correlati alla reputazione di cui gode l’azienda stessa presso i potenziali clienti attuali e futuri.

In quest’ottica assume un significato più pregnante l’opera sistematica di discredito che alcuni media, in particolare quelli direttamente o indirettamente riconducibili a gruppi di potere vicine ai competitors della Juventus, hanno perpetrato nel corso degli ultimi decenni, con lo scopo appunto di modificare i bacini di utenza, da sempre numericamente favorevoli alla società bianconera. Trattasi della creazione del cosiddetto “sentimento popolare” citato addirittura nelle sentenze del 2006.

Si pone quindi la questione di come difendersi da questo tipo di azione che, come abbiamo visto, non attiene più al semplice dibattito sportivo ma diventa una questione di strategia aziendale e di tutela degli interessi propri e degli azionisti investitori. Gli amministratori delle società sono direttamente responsabili di questo aspetto e devono mettere in campo tutte le azioni utili ad annullare o ad attenuare gli effetti di questo tipo di attacchi al patrimonio aziendale, sia quello tangibile che, come nel nostro caso, quello intangibile. E vi posso assicurare che le cifre in ballo non sono piccole. In linea teorica, se ti dimostri passivo e recalcitrante a difenderti, gli stessi sponsors potrebbero dolersene e chiedertene conto, visto che abbinano il loro nome a un’entità che viene costantemente definita disonesta e dedita al malaffare, senza alcun fondamento di tipo giuridico.

E’ significativo a mio parere, per fare un esempio, quanto accaduto recentemente proprio in casa FIAT. La casa automobilistica torinese che, giova ricordarlo, ha lo stesso azionista di maggioranza della Juventus, ha avviato una pesante azione legale nei confronti del giornalista Corrado Formigli, perché nel corso di una delle sue trasmissioni aveva presentato una pubblicità comparativa in cui si denigravano le caratteristiche della Alfa Romeo MI.TO. Il procedimento è ancora in corso, ma in primo grado il giornalista è stato condannato ad un risarcimento di 7 mln di euro proprio per danni di immagine. Al di là di come poi finirà questo processo è importante però sottolineare come, ai piani alti di FIAT, cioè in EXOR, sia ben chiaro quali possano essere i danni di un'azione mediatica diffamatoria e di quali possano essere le azioni deterrenti per proteggere i propri interessi.

Le strade della querela per diffamazione e della causa civile per danni, sebbene possano sembrare odiose ed arroganti, devono considerarsi quasi obbligatorie nel caso della Juventus, non come strumento di ripicca, bensì come imprescindibile presidio per la protezione del patrimonio aziendale. Colpirne uno per educarne cento è la strategia che andrebbe usata con i giornalisti che scrivono evidenti falsità oppure ospitano nei loro articoli contenuti diffamatori. Denunce cui bisogna però dare ampio risalto attraverso comunicati stampa, proprio per ottenere quell’effetto di deterrenza desiderato. Cercando di approfittare anche della sempre più bassa propensione, da parte degli editori, a fornire la copertura legale ai propri giornalisti.

Simile trattamento andrebbe attuato nei confronti dei tesserati, ma in questo caso si incorrerebbe nella violazione della clausola compromissoria. Dichiarazioni come quelle di Moratti dopo Juve-Inter e gli errori di Tagliavento (“in quei pochi minuti c’e tutta la storia delle due società” quindi per la Juve una storia di vantaggi e per l’Inter una storia di svantaggi) dovrebbero essere stigmatizzate e punite, in quanto lesive dell’immagine di altra società interna al sistema, dalla giustizia sportiva. Nulla avverrà ovviamente, con il risultato che la condotta diffamatoria rimarrà molto probabilmente impunita. Anche in questo caso la violazione della clausola compromissoria e una denuncia per diffamazione ci starebbe tutta. E lo stesso Palazzi dovrebbe spiegare, a mio avviso, l’indifferenza verso certi comportamenti, quando ha recentemente deferito Antonio Conte proprio per dichiarazioni giudicate lesive della reputazione altrui e rilasciate nel corso di una conferenza stampa. Come al solito figli e figliastri.

In definitiva un atteggiamento più “feroce” a tutela del patrimonio di immagine della Juventus sarebbe opportuno e raccomandabile, in particolare con i giornalisti. I quali, sempre secondo la mia opinione, dovrebbero essere allontanati dalle strutture della società se non si dimostrano eticamente impeccabili. Il Codice Etico interno alla società va esteso anche a coloro che la frequentano e chi non vi si adegua può accomodarsi altrove. Basti pensare cosa avviene con i piccoli azionisti durante l’Assemblea dei Soci. Se non si attengono ai tempi, viene loro chiuso il microfono ed impedito di parlare. Lo stesso va fatto con i giornalisti che non si attengono alla verità oppure artificiosamente la stravolgono. Fuori dalla sala stampa, basta accrediti allo Stadio, basta accesso alla bouvette per sbafare a spese nostre. Se proprio ci tengono ad entrare, che paghino il biglietto e facciano la fila ai tornelli.