Coppa Uefa 90: i rancori viola contro Juve e Figc

figcLe cronache editoriali del settembre scorso hanno annunciato la pubblicazione del libro “Azzurri... No grazie” del professor Rudy Caparrini. Trattasi di un’esegesi delle cause che hanno scatenato, nei tifosi viola, l’acredine verso la nazionale di calcio italiana e la F.I.G.C.. Federazione rea, non solo, di non aver tutelato in più di un’occasione la squadra viola, ma di averla anzi addirittura affossata tramite una serie di decisioni prese o volutamente mancate.

Procediamo con ordine.

Era la stagione calcistica 1989/90, quella che avrebbe condotto alle “notti magiche” dei Mondiali italiani; molti degli stadi designati a ospitare gli incontri furono sottoposti a pesanti maquillages di ammodernamento, tanto da costringere alcune squadre a disputare la stagione o parte di essa in “trasferta”. Fra queste, ovviamente, la Fiorentina dei Pontello che, sfrattata dall’Artemio Franchi, trovò asilo presso il Renato Curi di Perugia.
Il campionato dei viola non fu particolarmente esaltante, in quanto li vide costretti a lottare per non retrocedere. In Europa, seppur con qualche sofferenza di troppo, giunsero a disputare la finale contro gli odiati nemici torinesi: la Juventus della perestrojka, quella che, allenata da Dino Zoff, andò oltre i propri limiti, conquistando in quella stagione la Coppa Italia e la coppa Uefa.
Furono proprio le finali di quest’ultima a essere oggetto di contestazioni assortite: la prima per una serie di errori arbitrali che istigarono la promessa di “un massacro” in vista del ritorno da parte di Volpecina, la seconda per la sede designata ossia il Partenio di Avellino, considerato un feudo bianconero.

Sorvoleremo sulle accuse di parzialità rivolte al signor Soriano Aladren, arbitro spagnolo della finale di andata, limitandoci a far notare come il livore antijuventino abbia da sempre catalogato gli “esigui” eurosuccessi bianconeri come la cartina tornasole del presunto “controllo” dei direttori di gara italiani.


Ci soffermeremo, invece, sulla finale di ritorno e la scelta della relativa sede, che ingenerò nel popolo viola l’odio - che permane tuttora - verso la FIGC e la nazionale italiana. Per comprendere come si giunse a questa situazione, occorre rifarsi alla semifinale di ritorno dei gigliati contro il Werder Brema, quando due esponenti della tifoseria viola, non esattamente irreprensibile durante tutta la stagione, aggredirono il portiere Reck, reo di aver provocatoriamente staccato due sciarpe della Fiorentina annodate nella rete della porta. Da qui, la sanzione della squalifica del terreno amico per una giornata da parte della Uefa, nonostante gli appelli dei legali. Inevitabile la girandola dei nomi per determinare la nuova sede: sussisteva, infatti, la necessità di contemperare due esigenze specifiche: quelle della distanza - il regolamento Uefa prevede che la sede dell’incontro debba individuarsi a una distanza di circa 300 km “dallo stadio casalingo” - e l’omologazione dello stadio per ospitare partite internazionali.
Si proposero Verona, Napoli, Roma - peraltro quest’ultima con deroga al regolamento - e addirittura Montecarlo ovviamente tutte scartate: Verona per un kilometraggio leggermente inferiore a quello richiesto, Napoli perché era ancora alle prese con gli ultimi ritocchi prima del Mondiale.

Il giorno 8 maggio la società viola comunicò ufficialmente la scelta del Partenio di Avellino in quanto ritenuta di più agevole raggiungimento rispetto alle restanti papabili quali Bari e Lecce.

Di cosa si macchiò, quindi, la FIGC? Semplicemente di non aver difeso la Fiorentina davanti all'Uefa e aver acconsentito a far disputare la gara in un noto feudo bianconero: l’infondatezza di certe affermazioni si scopre palese di fronte al roboante 0 a 0 che ne scaturì quale risultato finale, ma risulta, addirittura, sconcertante di fronte ad una più attenta riflessione:
- una presa di posizione a favore dei viola avrebbe dovuto sostanziarsi in una richiesta di disapplicazione delle regole, “avallando”, implicitamente, le azioni di quei “soliti” e “sparuti” facinorosi, peraltro recidivi, che nessuno riesce mai a isolare: nemmeno gli stessi tifosi.
- individuare una sede antijuventina quando, sul suolo italico, si addensano circa 13 milioni di tifosi è semplicemente pretestuoso e irrazionale, ancora più assurdo se si considera i limiti imposti dai regolamenti Uefa nella scelta della stadio alternativo.

I fatti parlano chiaro: in quel torneo la Fiorentina dimostrò una sterilità offensiva allarmante: prima della doppia finale 6 goal in 10 partite, equamente ripartiti fra “casa” e “fuori casa” con 4 vittorie, una sconfitta e 5 pareggi. Ben altro il ruolino bianconero con 8 vittorie, una sconfitta e solo un pareggio, per la bellezza di 17 goal segnati. Un abisso, proprio come quello che intercorre fra la realtà e le accuse di chi non accetta i risultati sul campo.