Tensione e timori. Ma finalmente tre punti

E' stata una faticaccia perché l'importanza del risultato è parsa evidente sin dai primi minuti.
Tanta pazienza, ma anche un po' di timore, come se le gambe fossero pronte ma qualcosa impedisse loro di muoversi ai giusti ritmi.
L'imperativo era vincere, ma attenzione a non prendere gol, atteggiamento che ha frenato una squadra che è sembrata contratta, incapace di sciogliersi e liberare l'estro dei propri campioni.
Dopo 6 partite senza vittorie europee non escludo che un po' di paura sia subentrata nelle menti dei ragazzi, che stasera si giocavano una fetta importante di stagione, perché senza questi tre punti il viaggio verso Istanbul - per quello che ora diventerà il vero spartiacque della nostra stagione europea - sarebbe stato pieno di incertezze.
Il Copenhagen è venuto a Torino sulle ali dell'entusiasmo che una brillante - e certamente insperata - classifica gli ha regalato: 4 punti contro Juve e Galatasaray e una figura dignitosa (almeno per i primi 45 minuti) contro il Madrid.
Nulla da perdere, mente libera e volontà di giocarsi tutto.
Non fa molto la squadra di Solbakken, però è organizzata, concede poco, copre le linee di passaggio in modo intelligente e non rinuncia a portare giocatori in avanti.
Quando è in possesso di palla, l'undici danese cerca di non buttarla via, e il ritmo basso portato dalla Juve ne asseconda il gioco.
La squadra di Conte vive di folate, ma la tensione è palpabile: potrebbe sfondare solo se decidesse di farlo.
Ma non si decide.
L'aiuto arriva dal bager di Bengtsson, che porta Vidal sul dischetto per la terza volta in questo torneo, e per la terza volta il cileno fa contenti i suoi tifosi.
Ma la partita non cambia, la Juventus non affonda e nella ripresa i danesi prendono coraggio creando un "mischione" pericolosissimo che è solo il preludio al gol di Mellberg, anch'esso arrivato dopo una serie di pasticci e carambole strane.
I fantasmi delle delusioni europee riappaiono, anche perché a Madrid il Galatasaray sta pareggiando contro le merengues (ridotte in dieci) senza Ronaldo.
Ci pensa Llorente, ancora una volta decisivo, a guadagnarsi un altro rigore sacrosanto che Vidal trasforma per la quarta volta in cinque partite.
E siccome il cileno non è un giocatore banale, passa da una prestazione non trascendentale alla tripletta esattamente due minuti dopo.
Forse in quel momento è passata la paura, il Copenhagen ha provato a reagire ma alla fine dei novanta minuti Buffon ha dovuto compiere una sola parata, già sul 3-1.
Questa Juve "formato Europa" sembra diversa da quella dello scorso anno, la quale viveva l'avventura continentale con la leggerezza di chi vuole rompere le scatole: oggi il peso della responsabilità è maggiore, e la squadra sembra accusare le aspettative che pretendono almeno di ripercorrere il sentiero tracciato l'anno scorso.
Complicarsi la vita è stato facile, gettando quattro punti fra l'andata in Danimarca e la sciocchezza compiuta nel finale con il Galatasaray: sarebbe bastato non pasticciare una delle due suddette partite per godersi il viaggio ad Istanbul alla stregua di una vacanza.
E invece ci tocca affrontare la trasferta sul Bosforo con l'apprensione di chi, seppur conscio della netta superiorità nei confronti della squadra di Mancini, teme che la maledizione di questa stramaledetta Coppa possa scrivere un'altra pagina nefasta.
Perché la sfiga in questa competizione, per noi gobbi, non è dietro l'angolo: ce l'abbiamo proprio addosso.
Riusciremo un giorno a liberarcene?