Conte stravince e vola basso: da vera Juve

conteHo vissuto la vigilia di questo match come non mi capitava da diversi anni.
Sì, perché la Juve del recente passato, seppur seguita sempre con passione e interesse dal sottoscritto, non mi aveva mai trasmesso quella sensazione di “rinnovata juventinità” che è riuscita a trasferirmi quel signore che da giugno siede sulla panchina bianconera.
Un signore che ha fatto capire ad un gruppo qualitativamente non eccelso che le armi fondamentali da buttare in campo non sono solo le doti tecniche, ma quelle cose che fanno coppia nelle parti basse.
Ecco perché in settimana leggevo i soliti scribacchini, ascoltavo i soliti mezzibusti e avevo l’impressione di assistere ad un déjà vu. Mi sovvenivano pensieri di tanti anni fa, quando i cosiddetti Meravigliosi erano i paladini del Bello, del Giusto e dell’Esemplare, mentre noi eravamo quelli brutti, sporchi e cattivi.
Quelli che vincevano solo usando grinta e agonismo e - per le ancelle mediatiche rossonere e non solo - grazie a qualche favoritismo arbitrale di troppo.
In realtà sentivo che la Juventus avrebbe fatto una grande partita come accadeva quasi sempre in quegli anni, proprio perché mi fido di quel pazzo scatenato che corre, urla e suda a bordo campo come e forse più di quanto faceva ai tempi in cui giocava con il numero 8 bianconero addosso.
All’inizio della sua nuova avventura juventina Conte aveva promesso che il pallino del gioco sarebbe stato nelle mani della sua squadra e che la voglia di riconquistarlo, semmai l’avesse perso, sarebbe stata feroce.
Si era presentato con l’etichetta di integralista del 4-2-4 e dopo cinque partite ha già dimostrato di saper adattare i moduli alle caratteristiche dei giocatori. Partite come quelle di stasera, con un Milan praticamente al completo (escluso Pato e quel che resta di Gattuso, se parliamo di roba seria) annichilito su ogni piano - fisico, tecnico, tattico e soprattutto temperamentale - stanno a significare solo una cosa: il gruppo crede in quello che l’allenatore propone.
E’ stato da Juve vera quell’aggredire, quel non cedere mai campo all’avversario, quel non rinunciare mai a crederci nonostante la porta di Abbiati sembrasse stregata. Deve averlo capito prima di tutti Mirko Vucinic, una sorta di Berbatov montenegrino: pieno di talento ma spesso - troppo spesso - con la testa altrove.
Vucinic è uomo che si sveglia nelle grandi occasioni, lo ricordo in giallorosso giocare grandi gare contro avversari titolati del nostro campionato o contro qualche squadrone blasonato in Champions League.
Da unica punta di ruolo - in realtà sempre supportato da uno fra Marchisio e Vidal - si è reso pericoloso e ha smistato palloni con la stessa qualità che contraddistingue il Signore degli scudetti, l’ex più temuto della serata: Zlatan Ibrahimovic.
I rossoneri non hanno mai tirato in porta, se si eccettua un cross sbagliato del temutissimo Kevin Prince Boateng, rintuzzato da una splendida risposta di un concentrato e sempre meno sorridente Buffon. Il “Boa” doveva essere il “carnefice” tattico di Pirlo, ma ha finito la partita anzitempo per un doppio giallo sacrosanto, mentre la presunta “vittima” ha fatto la sua bella figura come tutti i suoi compagni di squadra. La mossa di Chiellini a sinistra continua a non farmi impazzire e la considero sempre provvisoria, ma stasera Giorgione ha interpretato bene il match perché queste sono le sue partite, fisiche e grintose, e in esse l’azzurro offre il meglio di sé indipendentemente dal ruolo.
Il riesumato Bonucci, richiamato una sola volta da Conte per una leggerezza neppure troppo grave, insieme a Barzagli ha egregiamente gestito l’azione come vuole l’allenatore, cioè con la palla giocata partendo dalla difesa senza ricorrere a lanci lunghi, rischiando qualcosa ma traendone un vantaggio enorme in fase di manovra, nell'eludere il primo pressing avversario.
Inesauribile Lichtsteiner, che a qualche errore in fase di cross sopperisce con un dinamismo che, perdonatemi il paragone blasfemo che non c’entra nulla quanto a ruolo e capacità tecniche, mi ricorda tanto Nedved.
Confermato che Pepe resta il più affidabile fra gli esterni, che Krasic rimane un corpo estraneo - primo tempo giocato e dominato in 10 contro 11- e che Giaccherini combina molto più di lui in meno di un tempo giocato, Milos resta a questo punto la grande scommessa del tecnico, che nelle dichiarazioni del post partita anche a proposito del serbo mostra una volta di più la propria chiarezza di idee : “Siamo una squadra fatta di buoni giocatori, alcuni di questi possono diventare dei campioni”.
Credo che però con questa frase si riferisse soprattutto a Vidal e Marchisio, inizialmente ritenuti incompatibili e invece messi insieme per la seconda partita consecutiva.
I due sono stati determinanti, pronti a chiudere in copertura e immediatamente disponibili a farsi trovare in zona gol; preferibilmente con soluzioni da fuori persino troppo esagerate il cileno, con inserimenti puntuali e pericolosi il ragazzo cresciuto nel vivaio bianconero.
Che i due gol di Marchisio arrivino alla fine e in modo abbastanza fortuito è un segnale ancora più significativo, sono il giusto premio per una squadra che ha voluto e meritato la vittoria creando tanto e rischiando niente, surclassando l’avversario presuntuoso - e sopravvalutato - per novanta minuti.
Come faceva la Juve di un tempo, la Juve del Conte calciatore, che predicava umiltà e vinceva.
Giusto volare basso e non illudersi, la strada è lunga ma il percorso è quello giusto. Un percorso che sta riprendendo i binari di un passato glorioso.

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