E ora non fermiamoci qui

marottaStavo per scrivere tutt’altro.
Stavo per scrivere dell’ennesimo pareggio casalingo, dell’ennesima occasione buttata, dell’ennesima partita vinta ai punti, che nel calcio alla fine significa solo convivere con una marea di rimpianti.
Stavo per scrivere ad Andrea Agnelli di non preoccuparsi, che non dovrà cambiare idea in merito alle possibilità di scudetto della sua squadra.
Stavo per arrabbiarmi dopo aver visto i soliti difetti, le solite carenze di un gruppo che quando va in vantaggio si fa rimontare, e che quando subisce spreca l’impossibile per recuperare.
Col risultato di rimanere sempre con l’amaro in bocca, una sensazione nota a questa Juve post 2006, una squadra che in questi quattro anni ad ogni esame importante verso il cosiddetto salto di qualità si è sempre arenata.
Ci hanno pensato l’instancabile Milos Krasic e Fernando Muslera, al minuto 48:58 del secondo tempo, a due secondi dalla conclusione del recupero concesso dal pessimo Tagliavento (e altrettanto pessimi sono stati i suoi assistenti), a trasformare questa partita da pietra tombale dei sogni bianconeri a segnale importante che la squadra di Del Neri ha inviato alla concorrenza, ma prima di tutto a se stessa.
La vittoria di stasera non deve rimanere un episodio isolato, ma già da domenica sul campo del Chievo sarà necessario confermarsi, per mantenere entusiasmo e ritrovarsi a gennaio con la possibilità di giocarsi le proprie carte.
Un gol di Chiellini in apertura, alla prima occasione utile, dava la possibilità di giocare una partita dal copione prediletto, con ampie praterie a disposizione per sfruttare le doti degli scattisti bianconeri, ma come accaduto in altre occasioni il vantaggio è stato gestito malissimo e il pareggio laziale è sopraggiunto quasi subito.
Da quel momento la solita gara, le solite opportunità fallite per un soffio, per sfortuna (?), frenesia e carenze tecniche, ma a conti fatti la classifica sarebbe stata impietosa e avrebbe sancito la perdita di punti, posizioni in classifica e, soprattutto, morale.
Le prime incertezze di Storari (a proposito: condivido il concetto espresso da Presidente e allenatore sulla questione portiere, ma non lo avrei mai esternato); le difficoltà di Grosso cui, per qualche strano mistero, spesso e volentieri si appoggia la costruzione della manovra; l’evanescenza di Iaquinta e la serata non brillantissima di Quagliarella (anche se a differenza del compagno di reparto un paio di opportunità se le era create) inviavano segnali inequivocabili in tribuna.
Perché è inutile girarci intorno, se a destra il danesino continua a stupire, è chiaro come a sinistra qualcosa serva e ancora più serva “materiale” davanti, ovvero una prima punta in grado di risolvere qualche partita “rognosa”.
Non si pretende un altro Ibrahimovic: non esiste.
La Juve ha la vittoria nel DNA, ha detto Andrea Agnelli.
Ha perfettamente ragione, ma per anni qualcuno ha danneggiato i geni della Juventus tentando di trasformarla da “vincente” a “sorridente” e il processo inverso è sì sulla buona strada, ma necessita di qualche intervento.
Serve come il pane una punta centrale potente e scaltra, a differenza dei due punteros attualmente in rosa.
Al resto penserà il gruppo, che in dodici giornate è riuscito a scalare la classifica passando dalle parti meno nobili al secondo posto senza avere un centravanti che faccia gol.
Immaginate cosa avrebbe potuto fare con un bomber vero.

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