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elkann blancPartiamo subito dagli immancabili record: era dal 1986/87 che il Napoli non faceva bottino pieno nel doppio confronto contro la Juventus. Quello era il Napoli di Maradona lanciato verso il primo storico scudetto della sua storia, il Napoli che scrisse la parola fine all’era (e alla carriera) di Platini, alla sua ultima stagione, targata Rino Marchesi. Per ritrovare un precedente altrettanto nefasto (e per fortuna, l’ultimo) bisogna risalire alla stagione 1957/58. Non male…
Non è un record, ma sicuramente va rimarcato che questa Juve ha proprietà taumaturgiche nei confronti di atleti contestati dal proprio ambiente o demoralizzati da stagioni così così: dopo Cassano, rigenerato e in gol anche ieri (ma ieri, a differenza di domenica, il suo gol è risultato inutile), tocca a Quagliarella, a secco dal 7 gennaio e beccato dal pubblico della sua città. Se poi aggiungiamo Lavezzi, un altro che va in letargo per mesi ma si sveglia sempre contro la Juve, il profilo “generoso” di questa Juve è bello chiaro.

Quanto alla partita, nel primo tempo il ritorno al vecchio caro 4-4-2 e una buona dose di cattiveria agonistica fanno sembrare la Juventus concentrata come non si vedeva da tempo. Il Napoli aveva in mano il pallino ma, a parte un paio di conclusioni da fuori, pericoli per la porta di Manninger non se ne vedevano e se i bianconeri passavano subito con il rientrante Chiellini, poco più tardi non concretizzavano la più bella azione della partita con Zebina, che sul più bello scivolava maldestramente invece di mettere in mezzo da pochi passi. Trattasi del primo esemplare del vastissimo campionario di orrori che il gallerista parigino (che chiede rispetto ai tifosi ma non fa nulla per guadagnarselo) ha offerto nella ripresa più scandalosa della sua già non esaltante carriera.
Zebina è stato decisivo, in compartecipazione con l’imbarazzante Manninger, autore di due mancate uscite decisive sui primi due gol napoletani. Ma sono il diverso ritmo, l’opposto atteggiamento e lo spirito manifestato dalle due squadre al rientro in campo dopo l’intervallo a girare la partita. Non può essere solo un problema di condizione, anche se quella è carente e salta all’occhio se confrontata con qualunque avversario questa Juve vada ad affrontare. E’ però prevalente il solito problema di fragilità mentale, di mancanza di attributi e di assenza di qualcuno cui affidarsi per gestire le situazioni di grave affanno. Non esiste un leader carismatico cui rivolgersi, non esiste più nulla.
Non esiste Melo, al solito inguardabile e terrorizzante persino per i compagni; non esiste Diego, fortunatamente in panchina e irritante al suo ingresso: per entrambi, è più che ufficiale, si tratta di 50 milioni buttati. E i responsabili di questo scempio, lo ripeteremo fino allo sfinimento, DEVONO PAGARE. A partire da quel signore francese che a fine partita si presenta ai microfoni per ribadire che: “La società è forte, per il quarto posto è ancora lunga e per riconquistare i tifosi bisogna vincere la prossima partita, e se anche dovessimo non arrivare quarti la situazione del club permette di non modificare le strategie future…”.
Le solite balle, ovviamente, perchè per ricostruire questa Juventus non basterebbero i soldi di Florentino Perez, figuriamoci in mano a Blanc… Non c’è più nemmeno la vecchia guardia, a parte un nervoso Camoranesi che ha provato ad esprimersi a sprazzi e che almeno ha dato un poco di qualità, come ha tentato per alcuni momenti di fare l’ultimo arrivato Candreva.

C’è un episodio emblematico del momento storico juventino: dopo il rigore fallito da Hamsik (che lasciava miracolosamente la Juve in vantaggio) si è verificato un ribaltamento di fronte che ha lanciato in qualche modo Del Piero verso la porta di De Sanctis, ma il recupero a doppia velocità effettuato dai difensori partenopei ha messo tristezza, e ancora di più ne ha messa lo stesso capitano qualche minuto dopo, quando, in un’azione di contropiede sviluppata dal solito Marchisio (uno dei pochi a salvarsi, sempre), invece di provare a calciare in quel modo che lo rese famoso ormai una quindicina di anni fa, ha provato un dribbling verso l’esterno e una successiva conclusione di sinistro, che entra di diritto fra i più comodi e dolci alleggerimenti che i difensori azzurri hanno effettuato verso il loro portiere in tutto il campionato.
Allenatore disarmato (tornerà Ferrara?), facce distrutte, occhi dai quali traspare solo incredulità e disorientamento, questa è la Juve di oggi: una realtà al di là dei sogni di ogni antijuventino. Perché uscire dal San Paolo fra gli “Olé” del pubblico napoletano non è ormai una novità: quest’anno ci abbiamo fatto l’abitudine, ma sentire nel dopo partita De Laurentiis lanciarsi in un’accorata e compassionevole difesa della Juventus e dei suoi tesserati è una novità senza precedenti.
Questa Juve fa tenerezza, è diventata il Winnie The Pooh della Serie A, il simpatico orsacchiotto che piace tanto ai bambini e suscita simpatie fra i grandi. Avrei scommesso di tutto, meno che avrei assistito a una roba del genere.
Chissà se John Elkann tra un interesse prioritario e l’altro avrà degnato di uno sguardo il suo “asset” più fastidioso.

Love Juventus, Hate Elkann.

 

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