Una serata da vera Inter

mourinhoLo ammetto, stasera avevo deciso di non seguire Barcellona-Inter. Dovevo fare allenamento e, anche se la tentazione di marcare visita era forte, ad un certo punto mi sono detto: vado! Arrivo al campo, mi trovo 6 persone e una bella sorpresa: non si vedeva da una porta all'altra di un campo a 7. Giusto un filino di nebbia... Allora risalgo in macchina, ritorno a casa, suscito le ire della mia compagna che già pregustava una bella serata a base di "Desperate Housewives" ("la nuova serie! Inizia stasera! Che bello poterla vedere senza Claudio che scassa le balle col calcio!"), chiarisco le cose e mi siedo mentre va in scena l'inno della Champions League.
E' la serata della Grande Inter, è la serata dei proclami, quella delle gazzette e delle tv a reti unificate nello spingere l'Armata Nerazzurra. I tifosi già pregustavano la vendetta contro l'odiato ex Ibrahimovic, andato a Barcellona con l'obiettivo di vincere una Coppa che a Milano era abituato a guardare in tv da marzo in poi. "Eliminiamo il Barcellona! Così quel nasone traditore avrà quello che si merita": questo è il leit motiv dei pensieri a tinte nerazzurre, dai tifosi (quelli del bar e quelli dei giornali) ai tesserati. Che per conto loro non si erano risparmiati nulla: "Sono loro che devono temere noi, adesso"; "A Barcellona per una prova di forza" (José Mourinho); "E ora a Barcellona per vincere!" (Massimo Moratti, dopo Kiev); "A Barcellona per fare la storia. E magari con un mio gol" (Diego Milito, fino ad un quarto d'ora prima di entrare al "Camp Nou"). Lo stesso Milito aveva rincarato la dose: "Contro le squadre di mio fratello Gaby ho sempre segnato e vinto". Forse proprio perché lo marcava lui? Per la cronaca, Gaby Milito è fermo ai box per infortunio da tempo immemorabile, e si è sostanzialmente rivelato un investimento sfortunato, concretizzatosi nell'estate del 2007 quando i catalani vinsero la concorrenza della "Nuova Juventus ridanciana" assicurandosi il centrale argentino. Che rischio evitato dalla Juve Patteggiona, direte, eh? Mica tanto, i dirigenti ridentini, perso Milito, si gettarono a corpo morto su Andrade... Divagazioni a parte, resta questa partita, preparata con un'enfasi pazzesca e supportata dalle dichiarazioni roboanti di cui sopra. Senza Ibrahimovic e Messi (e Yaya Touré, mica un Muntari qualsiasi...), i "campioni del triplete" (che nel frattempo avevano iniziato la nuova stagione con altri due successi) sembravano perfetti nei panni delle vittime sacrificali della corazzata guidata magistralmente dal fascinoso José. Passato il primo tempo, il groppo in gola che doveva avere tutto il popolo interista non riusciamo nemmeno ad immaginarlo. Anzi, se incontrate un interista domani, chiedeteglielo: "Cos'hai provato alla fine del primo tempo?" Proviamo a sintetizzarvela noi la risposta che formulerebbe un interista obiettivo, se ne esiste uno, in cinque parole: "Ci siamo cagati in mano". Sembrava un incontro tra una squadra di bambini isterici ed un gruppo di uomini con le palle cubiche.
E a proposito di palle e valori assoluti, la "tiritera" che si sente da anni da parte dei commentatori che vanno in onda sulle nostre tv, secondo le quali Maicòn è il miglior esterno destro del mondo, non appare un tantino esagerata se rapportata alla gara di Dani Alves e alla figuraccia che il signor "Fuck you" (o "Vai tu", se Oriali preferisce) ha sistematicamente rimediato al cospetto del canterano Pedro? Che ha un nome da barista messicano, ma segna e lotta con la grinta di un fuoriclasse consumato. Nulla a che vedere con il signorino "discriminato" inserito a fine partita insieme all'altro desaparecido Quaresma (3 presenze in stagione: perché proprio stasera?) e distintosi per aver subìto un paio di dribbling ubriacanti dallo stesso Pedro con quel nome da barista. E siccome è "antipattico" dire che l'Inter è squadra cattiva, i nerazzurri ringrazino Busacca (o Busecca, che significa trippa alla milanese) che risparmia a Thiago Motta, Lucio, Samuel e Chivu sanzioni più pesanti di quelle raccolte. La ripresa vede il Barça giocare al gatto col topo, l'atmosfera funerea avvertita durante il primo tempo in casa Bergomi-Caressa resta cupa, ma ha un mezzo sussulto quando Eto'o e Alves si strattonano e il camerunese cade folgorato a terra con lo Zio che esala un timido: "Ci poteva stare, Fabio". Ma alla fine, se il migliore dell'Inter anche nella ripresa è Julio Cesar, mentre Ibrahimovic, Messi e Touré la partita l'hanno vista tutta comodamente seduti in panchina, forse l'unico oracolo affidabile della viglilia era stato il solito Guardiola, il quale serenamente si era espresso con un sicuro quanto pacato: "Mancheranno Ibra e Messi? Non importa, vinceremo lo stesso". La differenza tra un fenomeno del "prima" e un fenomeno del "dopo", specialità esclusiva del bel Mourinho. Il quale, davanti ai microfoni nel post partita, si complimenta col Barcellona riconoscendone i meriti e dichiarando quanto "la differenza di squadra e di uomini fra noi e loro è tanta". Il contrario di quello che il vate portoghese aveva dichiarato dopo la partita d'andata e, come lui Milito, fino ad un quarto d'ora prima di entrare al Camp Nou stasera.
Resta da capire di chi sia la colpa di quest'ennesima figuraccia di una squadra così idolatrata in casa propria. Mourinho cerchi di scoprirlo prima che lo scopra Moratti... Ma siccome la cultura del piagnisteo è talmente radicata in lui e nell'ambiente che frequenta, ecco il prode Specialone esternare il proprio "rammarico per il rigore non concesso su Eto'o, che poteva portare noi sul 2-1 con un po' di partita davanti e chissà...", concetto ripetuto almeno cinque volte nel resto dell'intervista. Alibi su alibi, come sempre. E avanti con i calcoli, con "l'Inter che passa anche se pareggia 0-0 col Rubin Kazan per il gol segnato in trasferta, ma solo se la Dinamo Kiev non batte il Barcellona". Il Barcellona, già, quella che l'Inter stasera doveva eliminare per opportunità e vendetta, ma che ora rimette le cose a posto e ristabilisce la gerarchia del girone. Caro Mourinho, cara Inter, da quello che si è visto in questa stagione a livello europeo, Kiev è l'eccezione, il resto la regola. Pensateci bene, prima di gonfiare il petto: senza quei 5 minuti di follia ucraina nel finale contro la Dinamo, manco l'Europa League avevate nel mirino. E ora vi si aspetta a Torino (peccato, eh, Mourinho?), quattro giorni prima di ricevere il Rubin a San Siro. Per il momento, un sentito "vai tu"!