Fine delle illusioni. La Juve è questa

FerraraTristezza, tremenda tristezza. Credevamo di aver ritrovato la Juve, stasera l’abbiamo persa. Aspettavamo tutti una risposta: bene, l’abbiamo avuta. Il campionato della Juve, almeno per quel che riguarda le ambizioni di scudetto, finisce sostanzialmente qui. Va bene, mancano 29 giornate, ma non esiste perdere una partita del genere in questo modo. La sconfitta, fragorosa, pesantissima, e soprattutto meritata, ha un padre, Ciro Ferrara. Il Napoli dopo 21 anni rivince a Torino: i record negativi battuti da Ranieri l’anno scorso trovano continuità nella nuova gestione. Amaramente, constatiamo che nella fase iniziale le due stagioni si assomigliano in modo quasi speculare: partenze brillanti, entusiasmo alle stelle, e poi le sconfitte contro Palermo e Napoli (ad anni alterni entrambe hanno vinto sia a Torino che a casa loro) a disilludere il popolo bianconero. E l’Italia ride. Ride di una squadra che ha fatto il pieno di complimenti ed è partita sulle ali dell’entusiasmo mancando dopo pochi secondi con Giovinco un gol tipo quelli segnati da Inzaghi e Pato a metà settimana. Ma ci si accorge subito che il Napoli di Mazzarri, tosto, compatto, cattivo e voglioso, per nulla intimorito dalla “Juventus stellare” vista in azione mercoledì contro la Samp, non c’entra nulla con la pavida squadra di Del Neri. Perché, nella fase centrale del primo tempo, gli azzurri collezionano almeno 5 palle gol. La prima è per Maggio, che non ripete le ultime felici esibizioni e calcia male su assist di Lavezzi; tocca poi a “El tanke” Denis, due volte di testa su angolo (con i corazzieri juventini sempre in ritardo) e in un’occasione per sua sfortuna scivola su un contropiede da manuale; infine Gargano, riceve palla da calcio d’angolo e dal limite dell’area penetra nei sedici metri indisturbato, calciando addosso ad un avversario immolatosi in stile kamikaze. Sorvolando sul tiraccio di Aronica, sul quale l’inoperoso Buffon di mercoledì capisce che l’aria è tornata quella di sempre (Gigi ci arriva con la punta delle dita, salvando il risultato), dall’altra parte annotiamo molto possesso palla, una certa vivacità in Giovinco e il solito Diego che si dà un gran da fare, prende la canonica razione di botte ma, oltre ai calci piazzati, non combina molto altro. Su mister 25 milioni, che Dunga manco degna di attenzioni da tempo, va bene avere pazienza e non affrettare i giudizi, ma una partita che sia una la decide oppure no?

Un’occasione per Felipe Melo, che calcia di sinistro da pochi metri e sfiora la porta. Poi il nulla. L’uscita di Camoranesi per una gomitata (involontaria ma brutta) rifilatagli da Contini è un sinistro segnale di quello che succederà: senza la qualità dell’oriundo viene ripresentato l’impresentabile Tiago, al rientro dopo un mese e subito piazzato sulla destra. Primo capolavoro al contrario di Ferrara, e nonostante il casuale gol del neo-capocannoniere stagionale Trezeguet (quello che era sul mercato...), complice un non impeccabile De Sanctis, la Juventus non riesce ad uccidere la partita nonostante il Napoli accusi l’unico momento di sbandamento di tutta la gara. Anche perché a destra i bianconeri restano senza spinta, perché Tiago, fragile e molle come al solito, sulla fascia non va mai (non ne ha le caratteristiche, ma non serviva arrivare a stasera per capirlo) e la catena con Grygera non può funzionare, tanto che si rivelerà deleteria nella tragicomica ripresa, quando Datolo risulterà determinante con i suoi inserimenti dalle parti del ceko.

Il secondo tempo è l’emblema della serataccia di Ferrara, ed è ancora più grave se consideriamo che in apertura, grazie all’onnipresente (e maldestro) Contini, Giovinco concretizza l’opportunità di portare la Juve sul 2-0. Disperato il difensore del Napoli, sconvolto Mazzarri, ma sarà una disperazione momentanea, perché alla fine qualcuno provvederà a restituire il favore. Ma in quel momento, all’ottavo minuto della ripresa, i presupposti per scrivere le parole “game over” sul match c’erano tutti. Almeno in presenza di una grande squadra non ci sarebbero stati dubbi, ma la Juve, sgomberiamo gli equivoci una volta per tutte, non è una grande squadra e Ferrara non è un grande allenatore

Perché il rilassamento degli uomini in campo è grave e non racconta nulla di nuovo sulle loro sciagurate abitudini di questa stagione e, subìto il gol di Hamsik (lasciato solo soletto lo slovacco) dopo appena cinque minuti dal 2-0, invece di gestire la partita si va tutti a cercare il gol del 3-1 ma, come spesso accade, arriva il 2-2. Succede che al terzo tentativo da calcio d’angolo Denis riesca finalmente ad essere decisivo costringendo Buffon ad una corta respinta, sulla quale gli uomini in maglia azzurra vanno in tre (contro uno), e il marcatore (Datolo) ha addirittura il tempo di pensare a come colpire e indirizzare la palla. Pazzesco. Qui avviene la magìa definitiva: Ciro Ferrara dà ragione ai suoi detrattori e toglie Poulsen (in crescita e decisamente tra i migliori in campo, rendetevi conto...) per inserire la seconda punta, il convalescente Amauri. Mossa che tradisce la voglia di vincere, ma Ferrara ci deve consentire una domanda: da quando l’atteggiamento offensivo di una squadra dipende dal numero di punte di ruolo? Sembra una sostituzione in stile Mourinho, che quando non vince mette 5 punte e quanto deve difendersi arriva ad inserire fino a 6 difensori. Togliere Poulsen, che, ribadisco, gioca una signora partita, e spostare Sua Mollezza Tiago (distintosi in precedenza per un’occasione da gol conclusa in stile “crescenza Galbani”) al fianco di un Felipe Melo meno dannoso di altre volte - solo un paio di giocate con l’interruttore del cervello su “OFF”-, ma come al solito in ritardo nei recuperi, significa concedere a Mazzarri l’occasione della vita. Il tecnico toscano, che ha totalizzato 10 punti in 4 partite, rendimento opposto rispetto alla squadra di Donadoni (e poi dicono che gli allenatori non contano...) non crede ai propri occhi e capisce che gli tocca vincere la partita, a maggior ragione quando Ferrara richiama in panchina il pur stanco ma sempre imprevedibile Giovinco per lo scandaloso De Ceglie, uno che con questa maglia ci è cresciuto, ma che ora sarebbe il caso di far accomodare altrove. E allora ricominciamo con i lanci lunghi, e il Napoli va a nozze, con i contropiede napoletani che prendono d’infilata la burrosa difesa juventina protetta da un bradipo nero e da un formaggino portoghese, il quale restituisce il regalo di Contini con un intervento goffo che di fatto decide la gara, servendo in modo meraviglioso Hamsik, che da quella distanza non può proprio esimersi dal fulminare Buffon. Pazzesco? No, peggio ancora. Più che la Juventus questo sembra il Real Madrid dell’ultimo quinquennio (anno capelliano a parte), una specie di Real Cesena insomma. Attenuanti ci sarebbero, le assenze pesanti, non ultima quella di Sissoko, e la sfortuna di perdere Camoranesi in quel modo, ma una squadra che vuole coltivare ambizioni importanti non può permettersi, stando sul 2-0 con poco più di mezz’ora da giocare, di farsi trafiggere per 3 volte in 25 minuti. E quando certe rogne te le vai a cercare, anche gli eventi ti giocano contro; l’espulsione di Amauri è eccessiva e figlia del testosterone in eccesso che i napoletani scaricano nella mini-rissa finale. Un altro segnale che la squadra che ha voluto di più la vittoria l’ha ottenuta. Ora, fra tre giorni si può decidere l’intera stagione, perché non vincere a Tel Aviv significherebbe perdere molte chances di qualificarsi agli ottavi di Champions League e andare a Bergamo col rischio di venire sommersi dai rimpianti. Nel vedere Conte seduto sulla panchina sbagliata.

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