Juve: esordio faticoso, ma positivo

iaquintaIl tempo del rodaggio è finito, inizia una nuova stagione e, come antipasto, Ferrara manda in tribuna Del Piero per via dei noti problemi alla schiena che hanno limitato il precampionato del numero 10 bianconero.
In altri momenti si sarebbe fatto un pieno di dietrologia, oggi ci si limita ad un semplice dato statistico, che in un certo senso è epocale: mai Del Piero aveva saltato il primo appuntamento in campionato dal suo arrivo a Torino 17 stagioni fa.
Se aggiungiamo le assenze di Sissoko e Felipe Melo (squalificato, riprenderà il suo posto domenica), Ferrara si vede costretto a schierare una formazione in discreta emergenza.
Amauri (il migliore in estate e anche nel primo tempo di stasera) e Iaquinta sono le scelte di Ciro per l’attacco, un Camoranesi non ancora al 100% a causa del pestone alla caviglia rimediato in Nazionale viene fatto accomodare in panchina in favore di Tiago, mentre Salihamidzic vince il ballottaggio con Molinaro per il ruolo di esterno sinistro difensivo, confermando le impressioni ricavate dalle amichevoli estive, nelle quali il bosniaco aveva interpretato il ruolo meglio dei terzini sinistri di ruolo in rosa. E a giudicare dalla ripresa di De Ceglie, insufficiente come al solito, Ciro ci ha preso anche in questo caso.
Peccato che la jella abbia ancora un occhio di riguardo per questa squadra e che Brazzo finisca con una caviglia gonfia a fine primo tempo, in seguito ad un banale quanto sfortunato appoggio sul terreno tutt’altro che impeccabile dell’“Olimpico”.
La Juve gioca una partita dai due volti contro un avversario che nella seconda parte della scorsa stagione viaggiò a ritmi da zona UEFA e che durante l’estate non ha cambiato praticamente nulla.
Il primo tempo è convincente per ritmo, solidità e occupazione degli spazi, la manovra si giova della maggior qualità garantita da un Diego al centro del gioco: il brasiliano è abile nel duettare sia con Tiago che con Marchisio, col risultato di rendere la manovra più fluida e rapida rispetto al passato.
Nella ripresa invece i bianconeri vanno in evidente sofferenza fisica, condizione che permette ai clivensi di farsi pericolosi in più occasioni, senza però impegnare in tutta la partita Buffon in un solo intervento degno di questo nome.
L’inizio è positivo e, se le squadre giocano corte e in spazi stretti, Diego viene ricevuto da un personalissimo comitato di benvenuto che lo maltratta grossolanamente per ben tre volte in 10 minuti: un modo elegante per dire al brasiliano: “Salve, questo è il campionato italiano!”
Diego incassa e addirittura risponde facendosi rispettare, il caratterino è ben noto, anche se il bello di questo giocatore è la resistenza fisica ai contrasti (complicato togliergli palla) e, se aggiungiamo la capacità di saper sempre cosa fare del pallone, abbiamo davanti il ritratto di un giocatore che può diventare importante per il futuro della Juventus.
Il piede è quello che si conosce, lo stesso che, dopo un fallo commesso al limite dell’area su Iaquinta, mette in area una palla che finisce sul destro di Chiellini (di poco a lato), ed è lo stesso piede che calcia una punizione dalla trequarti che proprio Vincenzone trasforma in gol con una splendida torsione di testa, con Sorrentino incolpevole sulla parabola del calabrese.
Sono passati 11 minuti, ma dopo qualche secondo Pellissier si presenta davanti alla porta di Buffon in seguito ad un maldestro intervento dell’impresentabile Grygera (addirittura imbarazzante in fase offensiva), ma non trova il tempo di battuta.
La Juve gioca a due tocchi, gli uomini per farlo ci sono, in particolare più dell’atteso Diego sorprende Tiago, propositivo e dinamico e sempre nel vivo dell’azione.
Il portoghese regala qualità (e qualcosina si era intravisto anche in passato), ma grinta, cuore e polmoni come quelli spesi stasera a Torino non li aveva mai mostrati.
Questa Juve offre l’impressione di poter pungere in contropiede e, da una sventagliata precisa di un Marchisio in costante crescita, nasce un’iniziativa personale di Amauri che si libera dell’avversario diretto e dal fondo serve Iaquinta, lesto ad incontrare di testa il pallone, purtroppo indirizzato su Sorrentino, che risponde mostrando ottimi riflessi.
Una parola positiva la merita anche Poulsen che all’inizio, seppur contrastato, porta palla per 60 metri per poi servire un compagno: quasi volesse scrollarsi di dosso una stagione intera: il pubblico sembra capirlo, tanto che ne sottolinea con applausi (i primi in assoluto per lui) l’iniziativa.
Il danese tutto sommato gioca una partita intelligente e grintosa con tanto di ammonizione per eccesso di foga, l’importante è non chiedergli di impostare e di gestire la palla, ma utilizzarlo come uomo di rottura, nello stile del Poulsen che conoscevamo prima della cura Ranieri, che aveva reso lo scandinavo pavido e spaesato.
Nella ripresa, a parte una scivolata cui ha fatto seguito uno scontro con Pinzi dalla dinamica sospetta ma per nulla scandalosa, una volta presa visione del replay, Poulsen si guadagna la pagnotta ponendosi davanti alla difesa nel miglior momento del Chievo.
I veronesi hanno in Pellissier il solito uomo pericoloso, che in un paio di occasioni mette in difficoltà Chiellini superandolo di slancio, mentre con Cannavaro le cose cambiano.
Il capitano della Nazionale torna a Torino dopo 3 anni ed alcuni mesi di ingiurie da parte di una frangia di tifosi juventini contrari al suo ritorno: il bilancio della prima partita comprende una serie di chiusure precise e impeccabili e una sicurezza trasmessa a tutta la difesa, a partire da quegli interventi spesso trascurati dagli innamorati dell’intervento plateale a tutti i costi.
Chiaro che l’intervento più evidente (quello a “muro” su Pellissier a metà ripresa in stile Germania 2006) faccia scoppiare un boato e richiami applausi anche da parte di chi sentenziava: “Noi i traditori non li vogliamo”; ma vedendo il 36enne napoletano stasera e osservando la concorrenza in tutto il weekend, l’impressione è che l’operazione che ne ha sancito il ritorno non sia stata un cattivo affare.
Ora si va a Roma, contro una squadra già in affanno e un ambiente che sarà già in subbuglio.
Nonostante tutto, non è detto che sia un male.

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