Gatto Juve, topo Milan e asini parlanti

AmauriTante aspettative, un tam tam mediatico assordante, neanche si trattasse della finale di Champions League. Invece, ci si giocava semplicemente il diritto di essere investiti del poco onorevole (per la tradizione di entrambe) ruolo di anti-Inter. Le due squadre si presentavano all’appuntamento nelle medesime condizioni, assenze juventine croniche a parte: Camoranesi non recupera come neppure Kakà, e la squalifica di Gattuso (comunque infortunato) pareggia quella di Legrottaglie. Partenza tra i fischi assordanti per l’ex-Zambrotta e il Milan tiene palla con la solita proprietà che a volte sfocia in supponenza e con la Juve all’apparenza titubante ma, in realtà, sorniona e letale, che alla prima occasione con Sissoko fa subito capire l’antifona.
La partita è tutta qui, Milan a fraseggiare per la gioia di Caressa e Bergomi (“Che partita sta facendo il Milan, Fabio, fanno girare la palla in maniera splendida”, una delle tante frasi deliranti dell’ex difensore interista) e Juve a colpire in modo spietato e a mettere costantemente in difficoltà il Diavolo, per la moderata soddisfazione dei propri tifosi. Le deliranti digressioni della coppia di telecronisti della tv di Murdoch verranno spesso richiamate, e se in futuro saranno foriere di soddisfazioni come quelle di stasera, non possono che essere di buon auspicio per il prosieguo della stagione juventina. Perché la Juve offre l’impressione di poter rompere la fragile diga milanista ad ogni affondo e gli unici a non accorgersene sembrano essere proprio C&B.
Quando gli uomini di Ranieri accelerano, si assiste ad alcuni minuti a senso unico, con almeno tre occasioni create (due per Amauri, una per Mellberg) e i rossoneri restano in totale balìa del ritmo di Sissoko e compagni. Come naturale conseguenza di queste folate Del Piero (in lieve fuorigioco) si guadagna un netto rigore (checché ne dica la coppia regina di SKY, probabilmente con le lenti annebbiate) che lo stesso capitano trasforma in modo impeccabile. Assurda l’entrata di Jankulovski sul "10" juventino in occasione del penalty, in scivolata e in ritardo col campo bagnato, una roba da incoscienti.
Solo il tempo di ricominciare e Ambrosini si mangia un gol clamoroso, una zuccata di quelle che lo hanno reso celebre ma che, fortunatamente per la Juve, finisce a lato; è il momento in cui il Milan produce il massimo sforzo, fra gli amorevoli commenti dei due inseparabili cronisti. Prima della mezz’ora Nedved esce per problemi ad un tendine del gluteo (sostituito da De Ceglie) e i rossoneri pareggiano con Pato, imbeccato da Ronaldinho su un’azione viziata in partenza da un fallo di Emerson su Del Piero. Il pareggio milanista scatena l’entusiasmo dei due signori divenuti celebri per quel famoso “andiamo a Berlino!”: pareggio strameritato!”, urla Bergomi con inaudita enfasi.
Ma come in precedenza, alla Juve basta premere solo un po' per tornare in vantaggio e spegnere l’euforia dei signori che farneticano al microfono: angolo di Del Piero e perentorio colpo di testa di Chiellini. I rossoneri, alfieri del bel gioco secondo ordini presidenzial-divini, nel pieno rispetto delle Sacre Tavole esibiscono un gioco fatto di entrate da codice penale: Zambrotta, Emerson, Ambrosini e Kaladze i più attivi in tal senso, mentre da chi viene etichettato come muscolare e senza fantasia arrivano dolori per il Milan: interdizione di un Marchisio a livelli stratosferici, palla a De Ceglie e cross per un solissimo quanto devastante Amauri che schiaccia di testa e fa 3-1. Gli uomini di Ranieri avrebbero anche la possibilità di aumentare lo scarto, con due percussioni di Del Piero e Marchisio, ma la differenza di fisico, grinta, e motivazioni è addirittura imbarazzante.
Persino in fluidità di gioco e chiarezza di idee la Juve sembra una spanna superiore ai ragazzi di Ancelotti e la ripresa lo conferma, con i bianconeri che paiono sul punto di dilagare quando un tiraccio beffardo di Ambrosini trova la sfortunata deviazione di Chiellini e riporta sotto il Milan. Puntualmente rimonta l’entusiasmo del signor Bergomi, che sentenzia: “Fabio, la Juve è in difficoltà, non riesce più ad uscire”. Grazie “Zio”, a nome di tutti i tifosi juventini, i quali, piuttosto che indire sondaggi per bandire il "dinamico duo" dalle telecronache juventine dovrebbe pretenderli come talismano. Perché due minuti dopo l’ennesimo vaticinio dell’uomo più “sopraccigliato d’Italia”, sul lancio di uno straordinario Marchisio, De Ceglie (pure lui autore di una gara di grande livello) supera di slancio Zambrotta al quale non resta che stendere l’aostano: secondo giallo sacrosanto e ritorno a Torino quanto mai amaro per uno degli ex più odiati.
Sugli sviluppi, un netto fallo di mano di Seedorf non sanzionato ha almeno l’effetto di fugare ogni minimo dubbio sulla legittimità del successo bianconero, e qui anche i due “amici” commentatori si arrendono all’evidenza. Ma, visto che “la Juve è in difficoltà” (concetto ribadito anche a gara ormai conclusa, per ribadire quanto determinante fosse stata l’espulsione di Zambrotta…) ecco che Sissoko e Amauri duettano liberi come l’aria con la difesa di Ancelotti ad osservare immobile il brasiliano che conclude a rete per il 4-2. Partita finita. Peccato che Del Piero colga il cosiddetto “palo nel deserto” ,dopo una meravigliosa “veronica” su Ambrosini. La serata assumerebbe i contorni di un trionfo assoluto se Marchionni, Marchisio, ancora Amauri e Iaquinta, allo scadere, avessero concretizzato le ulteriori opportunità avute. In sostanza, una partita dalla facile lettura per tutti sin dalle prime battute, per tutti o quasi, perché a “Controcampo” si assiste al solito panegirico di Sacchi sul bel calcio, ma anche l’Arrigo deve arrendersi a malincuore alla superiorità juventina, non prima di averne criticato l’atteggiamento “tipico del calcio italiano” a proposito della Juve che “arretra dopo aver ottenuto il vantaggio”. Anche noi abbiamo un proverbio da regalare a qualcuno: “raglio d’asino non sale al cielo”. Chi vuol capire, capisca.

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