Juventus-Milan, la Storia è qui

AncelottiTorna Juve-Milan, la classica tra le due squadre più vincenti del Bel Paese, il vero derby d’Italia, secondo la definizione che diede Gianni Brera di un altro match, Juventus-Inter, basandosi sulla consistenza delle sale trofei di bianconeri e nerazzurri, all’epoca le più “fornite”. Ma i risultati degli ultimi vent’anni hanno visto il prepotente sorpasso da parte del sodalizio di Via Turati nei confronti dei “cugini”, che, dopo i fatti di “Calciopoli”, non possono nemmeno più aggrapparsi al patetico “siamo le uniche due squadre mai retrocesse in serie B” per rivendicare il titolo di seconda squadra nazionale e riscattare almeno a parole (la specialità della casa) la loro disarmante pochezza.
Paradossalmente, anche un’evento, Calciopoli, che avrebbe dovuto conferire all’Inter un prestigio esclusivo, in realtà ha fatto si che il club di Via Durini retrocedesse storicamente a terza forza calcistica d’Italia. Digressioni nerazzurre a parte, siamo a parlare della partita probabilmente più emozionante e significativa della storia della Serie A. La storia ci dice di come tra le due società ci sia sempre stato rispetto, addirittura cavalleria in certi casi, come negli anni Cinquanta, quando Gianni Agnelli lasciò il "pompierone" Nordahl al Milan, e lo svedese diventò il più grande bomber rossonero di ogni tempo; oppure quando Berlusconi liberò Abbiati gratis per “rimediare” all’infortunio occorso a Buffon in uno scontro con Kakà nel corso del trofeo che porta il nome del padre del presidente milanista.
Gesti di cordialità, ma in campo botte da orbi, era il leit motiv delle sfide degli ultimi 15 anni, quelle che hanno sancito l’alleanza strategica tra le due aziende, arrivate a giocarsi un trofeo (il “Luigi Berlusconi”, appunto) in esclusiva ma anche il momento in cui la Juve si risollevò da un periodo caratterizzato sostanzialmente dai rivali rossoneri.
Juve-Milan è una sfida tra le più antiche del calcio italiano, risalendo la fondazione dei due clubs alla fine dell’Ottocento, una storia che è sempre stata sinonimo di battaglie a viso aperto, con partite raramente banali e povere di emozioni; piuttosto abbiamo assistito a grandi vittorie, e di riflesso cocenti sconfitte, da entrambe le parti. Spesso per l’una vincere contro l’altra ha significato aprire un ciclo; rimanendo solo agli ultimi 40 anni, ricordiamo il memorabile 4-1 della Juve dell’ottobre del ‘71, partita che vide assoluti protagonisti i giovani Causio e Bettega, quest’ultimo autore di una doppietta, con uno dei due gol, quello di tacco a beffare “Ragno Nero” Cudicini, entrato di diritto nella galleria dei più celebri di sempre.
Non fu una sfida diretta a sancire una specie di edizione anticipata di vent’anni del famoso 5 maggio 2002, anche perché il mese era sì maggio, ma il giorno era il 20, ma quel pomeriggio del 1973, in cui il Milan crollò nella “fatal Verona” e la Juve vinse in rimonta nel finale a Roma (con la Lazio terzo incomodo sconfitto a Napoli), rimane nella mente di molti tifosi juventini come una delle più belle vittorie bianconere. Memorabile anche il successo del 1986, che invece per la Juve un ciclo lo chiuse, ma la penultima giornata di quel campionato, con i bianconeri dati per spacciati dopo la rimonta della Roma di Eriksson (che si sarebbe invece squagliata contro il già retrocesso Lecce), vide un Juve-Milan risolto da un tocco sotto misura di Laudrup (dopo pregevole azione di Briaschi) che consegnò alla squadra di Trapattoni il titolo numero ventidue.
Anche il Milan di Sacchi, quello dell’unico scudetto in quattro anni vinto con un Napoli in crollo verticale, uno scudetto ancora oggi immerso nel torbido, e della prima Coppa dei Campioni vinta grazie e soprattutto alla nebbia calata su Belgrado, ricevette la spinta per credere nelle proprie potenzialità vincendo a Torino, dopo 17 anni di digiuno e due retrocessioni, grazie agli errori di Ian Rush e ad un’incornata di Gullit. In quel preciso momento la storia si ribaltò per poco più di un lustro, con il Milan nel ruolo di club forte e la Juve nei panni dell'inseguitore palesemente inferiore. Passarono anni di umiliazioni per la Juve, parzialmente riscattati da successi parziali, tipo il 3-0 del 1990 (firmato da un doppio Rui Barros e Schillaci), o il 3-1 col quale Baggio e Moeller espugnarono San Siro nella primavera del ’93. Ma la sensazione di essere inferiori, anche se battaglieri, si verificava ad ogni scontro diretto, nel quale in un modo o nell’altro i rossoneri uscivano vincitori, a volte con improbabili episodi e improbabili marcatori.
L’unico successo concreto di quegli anni ai danni dei rossoneri venne ottenuto in Coppa Italia, con un successo a San Siro targato Roberto Galia, simbolo della Juve operaia e dignitosa di Zoff, successo strameritato soprattutto perché ottenuto contro un avversario che, intanto, aveva oltrepassato i limiti dell’arroganza. I fatti: il presidente rossonero Berlusconi, l’uomo degli elicotteri e dello “spettacolo e del bel giuoco”, arrivava a dichiarare quanto gli italiani dovessero tifare il Milan come fosse la squadra Nazionale, considerato il lustro che l’Italia riceveva dalle gloriose campagne euromondiali del suo club. Che non lesinava sforzi in termini di acquisti, arrivando a collezionare calciatori come figurine strapagate e in certi casi mai utilizzate solo per il gusto di sottrarle alla concorrenza. Il tutto con pagamenti dalla dubbia trasparenza. E l’etica, la morale, l’educazione che vengono tanto sbandierate a proposito delle maglie rossonere, soprattutto in relazione agli anni in cui allenava il pelatino di Fusignano, al secolo Arrigo Sacchi, rappresentano l’ennesima mistificazione mediatica di chi ha provato, spesso riuscendoci ad effettuare un lavaggio del cervello al pubblico televisivo.
Il Milan del moralizzatore Sacchi è quello che, in piena corsa per il Grande Slam (ovvero vincere tutte le competizioni a cui partecipava) all’ultimo minuto di un Atalanta-Milan di Coppa Italia (quella poi vinta dalla Juve) non restituì come da prassi sportiva una rimessa laterale agli orobici, ma, nella persona di Massaro lanciò la palla in mezzo all’area, e il compagno di squadra Borgonovo si avventò sulla palla per concludere. Solo che su di lui venne commesso fallo da rigore, e tra le proteste vibranti dei bergamaschi, il capitano Baresi (altro simbolo di morale, durante la carriera con quel braccio perennemente alzato ad influenzare i guardalinee sul fuorigioco, e nel dopo carriera per altri fatti che non riguardano il calcio) trasformò il penalty. E’ sempre il Milan di Sacchi quello che, nella primavera del 1991, venne eliminato dal Marsiglia con un gol dell’inglese Chris Waddle, nella famosa partita in cui, a pochi minuti dal termine, i riflettori del “Velodrome” per alcuni minuti rimasero al buio. Si precipitò in campo Galliani, il geometra brianzolo dal cuore juventino e dal portafoglio rossonero, che ordinò a tutti i suoi uomini, tecnico moralizzatore e sportivo in primis, di abbandonare la contesa, confidando in una ripetizione della gara, nella speranza di poter riacciuffare la qualificazione come due anni prima a Belgrado, quando una nebbia provvidenziale salvò il Milan da una quasi certa eliminazione, una nebbia che se non fosse sopraggiunta, avrebbe probabilmente cambiato il destino di Sacchi e del Milan stesso.
Ma il risultato di quella sceneggiata marsigliese fu una severa punizione comminata dall’UEFA: un anno fuori dalle Coppe internazionali. In quegli anni le tv berlusconiane magnificavano il Grande Milan e screditavano gli avversari, in particolar modo la Juve, considerato il rivale numero 1 (“Berlusconi ci ha sempre chiesto di battere la Juve, più che l’Inter, era la Juve l’avversario di riferimento” disse Paolo Maldini in quegli anni), e in certe trasmissioni pseudo sportive si rincara la dose di quanto già avviene al “Processo del Lunedì”, trasmissione biscardiana in stile “bar sport” in onda dai primi anni Ottanta sulla RAI, che continua ancora oggi sulla falsariga dell’originale. Per contrastare Aldo il Rosso, su Mediaset nasce “L’appello del Martedì”, condotto da Maurizio Mosca, una trasmissione demenziale che osanna il Milan e fomenta un certo tipo di corrente antijuventina, finchè una sera, ospite Roberto Bettega, succede che Bobby Gol si alzi e lasci lo studio stizzito dal continuo linciaggio cui veniva sottoposta la Juve. La trasmissione viene sospesa, Mosca non perdonerà mai Bettega (di questo, sinceramente crediamo non freghi proprio a nessuno, anzi) per “avergli rovinato la carriera” e godrà dalle reti Mediaset all’esplosione di Calciopoli e alle lacrime di Bobby Gol nell’intervallo di Juve-Palermo. Di quegli anni come dimenticarsi di Galliani che telefona in diretta a “Pressing”, l’antenato domenicale di “Controcampo” per redarguire ferocemente Aldo Serena, opinionista in contrasto con le tesi che “dovevano passare” pro- Milan, al quale venne intimato di non presentarsi alle partite del Milan in quanto persona non gradita, e pure emarginato dalle trasmissioni del Gruppo per un certo periodo.
Ma la spia di quello che avviene allora sulle tv berlusconiane è solo l’inizio di quello che avverrà quando la Juve ritorna a vincere. E anche in questo caso, la Juve riapre un ciclo proprio battendo il Milan nell’autunno del 1994, quando sconfigge 1-0 il Milan di Capello campione d’Italia e d’Europa con un gol di testa di Roberto Baggio. E’ il primo anno di Lippi, chi scrive era allo stadio e l’effetto di quella vittoria fece crescere in consapevolezza la squadra, che esplose definitivamente nel pomeriggio in cui rimontò 2 gol alla Fiorentina. In quegli anni, la Juve di Lippi giocò grandi partite contro la squadra rossonera, come il 4-1 del 1998 firmato Inzaghi e Del Piero e il 2-1 del periodo Lippi-bis, anno 2003, con una prima mezz’ora da fantascienza, con Nedved ad annichilire il metronomo milanista Pirlo e un Del Piero nelle vesti di suggeritore per Di Vaio e Thuram, i goleador di giornata.
Ma il successo più corposo, memorabile di quegli anni resta il 6-1 con il quale la Juventus distrusse il Milan del redivivo Sacchi (toh…!) a domicilio: una prestazione perfetta, un’orchestra vera e propria diretta da uno Zidane divino e con uno Jugovic spietato. Il giovane Vieri di quella sera, semplicemente mostruoso, probabilmente convinse Baresi che a 37 anni era ora di chiudere col calcio. Furono anni di grande Juve, una Juve che affiancò e sostituì il Milan in termini di rispettabilità e prestigio sia in campo nazionale che internazionale. Perché Juve e Milan hanno stabilito primati in Italia e in Europa, anche se sono viste sotto una luce diversa. La Juve ha vinto più scudetti negli ultimi 20 anni (7) e il Milan più Champions League; il Milan ha vinto lo scudetto una sola volta negli ultimi 10 anni (se consideriamo anche la stagione in corso) e a far pendere la bilancia europea dalla parte dei rossoneri è il successo ai rigori di Manchester del 2003, nell’unica finale italiana nella storia della Champions League. Alla Juve spetta invece il record assoluto di maggior numero di gare consecutive in Champions League (triennio 1995-99) e a livello di successi consecutivi in casa il primato della Juve di Lippi è rimasto tale fino alla scorsa edizione, battuto dal Manchester United di Sir Alex Ferguson, uno che quella Juve l’ha conosciuta, ammirata, sempre portata ad esempio e per molti aspetti copiata. Sarà un caso? Come sarà un caso che Milan e Juve sono le due società italiane ad aver giocato il maggior numero di finali della Coppa dalle grandi orecchie: 11 il Diavolo e 7 la Signora, negli ultimi 23 anni il Milan ne ha giocate 8 e la Juventus 5, mentre altre società che sbraitavano contro il loro strapotere non vedono una finale del massimo torneo continentale con la propria squadra da più di 35 anni (era appena arrivato il technicolor…), addirittura da 44 non vedono un loro capitano alzare la Coppa, che era ancora quella “old style”, grande quanto un vaso di fiori da cimitero. Probabilmente è anche questo eterno ruolo da spettatori riservato ad alcuni, che ha contribuito al sorgere di quel “sentimento popolare” indirizzato contro le due società, sempre pronte a far fronte comune a livello di strategie aziendali da far nascere e coltivare una feroce invidia negli avversari. Ma, mentre la Juve non aveva grosse disponibilità di mezzi mediatici e politici per potersi difendere e probabilmente alla Triade certe maldicenze non interessavano granché (a torto, col senno di poi forse l’unica colpa che si può imputare a quei magnifici dirigenti), il Milan tra giornali, televisioni, presidenze del Consiglio, presidenze di Lega e persino federali, annoverava una batteria di fuoco che in Italia risulta incontrastabile. E se è vero che la tesi di glorificare il Milan è sempre la mission del gruppo, la distruzione degli avversari più pericolosi fa parte della stessa strategia.
Ci ricordiamo di quando Juve e Milan erano in lotta per lo scudetto, nel 2004/05, il famigerato anno oggetto delle inchieste di Calciopoli, con Ibrahimovic squalificato per 3 giornate per una “cravatta” di dubbia entità all’interista Cordoba in vista della partita con il Milan (squalifica confermata nonostante ragionevoli ricorsi), grazie alle telecamere di Mediaset? In seguito, abbiamo avuto conferme allo scoppio di Calciopoli, quando Mediaset si piazzò in prima linea nell’affossare la Juve e separare nettamente le ”colpe” juventine da quelle milaniste, senza dimenticare che il primo a reclamare i “due scudetti” fu il presidente del Consiglio allora appena defenestrato. Senza tornare nuovamente sul discorso, ci limitiamo a rammentare quello che per noi è il simbolo della disparità di trattamento riservato alle due società in quella farsa andata in onda nel 2006: sappiamo quanto il parlare di Moggi con i designatori fosse una pratica lecita e anzi incoraggiata, mentre organizzare incontri con il “miglior arbitro del mondo” (Collina-Galliani) in ristoranti gestiti da dipendenti rossoneri, nei giorni di chiusura, fosse proibito.

Risultato: Moggi perseguitato, Bergamo pure, Juve in B con due scudetti in meno; Galliani sospeso (e in quei mesi faceva mercato, trattando Ronaldo, non potendolo fare, ma tant’è…) e Collina designatore a 500.000 euro di stipendio annuo. Calciopoli è tutta qui? Quasi, perché con il Milan penalizzato e senza Europa che conta, arrivò la frase sibillina di Piersilvio Berlusconi, pronunciata con la chiave del forziere contenente i diritti tv: ”Una serie A senza Milan e Juve vale molto meno del contratto in essere”. Nel frattempo, a Torino avevano lasciato la società allo sbando, per un mese, nel momento più delicato, la difesa (???) era stata affidata all’ormai leggendario avvocato Zaccone, l’uomo che rispose al giudice Ruperto sulla congua pena da affibbiare alla Juventus con QUATTRO parole: ”Una B con penalizzazione”. Il tutto mentre era iniziato il fuoco mediatico, anche e soprattutto dai media di Famiglia, mentre il Milan screditava il suo “addetto agli arbitri” come un co.co.co qualsiasi e veniva penalizzato quel tanto che bastava per rimanere in orbita Champions League, manifestazione che avrebbe vinto. Ma questa è un’altra storia.