A Minsk Juve brutta e senz'anima

IaquintaSappiate che sto scrivendo con un bel febbrone che, probabilmente, mi fa delirare togliendomi ogni freno, ogni inibizione. Mi accingevo, come tutti, a vedere l’esordio esterno della Nuova Juventus "since 2006". Prima però avevo fatto in tempo a visionare gli ultimi 20 minuti della squadra che tanta impressione destò a Torino, reclamizzata come “la più forte d’Europa”, prima di finire sconfitta solo da una maestosa, magica, straordinaria ed ipnotica punizione del Boniperti del 2000. Sto parlando dello Zenit, che ha messo sotto il Real Madrid (almeno in quella frazione che ho potuto vedere) ma che, guarda caso, ha lasciato che l’unica cosa che conti (cioè i tre punti) prendessero il volo per la Spagna. Al fischio finale della gara di San Pietroburgo, un brivido mi è corso lungo la schiena, e non era la febbre. Mi son detto: ma se questi hanno strapazzato la Juve a domicilio uscendo sconfitti solo grazie all’eterno capitano (al quale il Fifa World Player quest’anno non può sfuggire), cosa succederà quando il Real Madrid verrà a Torino? Si tratterà una onorevole resa sin dagli spogliatoi?
Il Real Madrid che per tanti tifosi, nei forum, nei bar e per la strada, era “la squadra a rischiare di più l’eliminazione” ha già fatto ciao con la manina e comanda ovviamente il girone lasciando i presuntuosi russi a mangiare la polvere, in compagnia deii dopolavoristi bielorussi e degli eunuchi sorridenti in bianconero.
 
Perché di eunuchi sorridenti si tratta. Mi assale una sensazione mista tra rabbia, frustrazione e voglia di compiere qualche gesto poco civile solo a pensare a cos’ho visto stasera. Una cosa senza precedenti. E, anche se non vorrei dilungarmi, devo farlo. Sono juventino da sempre, sono malato di Juve. Ma questa Nuova Juve 2006 le sta provando tutte per farsi detestare. Non ricordo figuracce simili in 30 anni da innamorato. Ho visto la grande Juve tutta italiana degli anni Settanta mancare l’accesso alla finale di Coppa delle Coppe nel 1979, dopo una gara vergognosa, sparagnina, nel peggior stile Trapattoni, contro l’Arsenal di Brady. Ma era una semifinale ed era l’Arsenal.
Ho visto la Juve forse più forte e spettacolare di sempre squagliarsi ad Atene contro l’Amburgo dello stramaledetto Magath. Ma era una finale e, come quelle perse anni dopo, nemmeno la voglio ricordare. Erano squadroni memorabili, quelli.
Scavo nella memoria, penso alla prima Juve di Rino Marchesi e a quella di Maifredi: entrambe uscite dall’Europa lottando con onore e con grandissime dosi di sfortuna, contro grandi avversari o almeno avversari abituati ai palcoscenici più prestigiosi. Ripenso a quelle di Ancelotti, eliminate dal Super Depor di quegli anni e dalle crisi di nervi di alcuni suoi campioni. Ripenso allo 0-4 di Vigo con Paolo Montero che si tocca i genitali uscendo dal campo, espulso e sommerso di fischi e insulti. Indicava al pubblico che lui, i cogl**ni, li aveva. Una prerogativa storicamente molto juventina. Almeno fino a poco fa.
 
Stasera ho assistito alla conferma che questa non è più la stessa Juve. E non perché non abbiamo qualità, perché non facciamo gol, perché siamo decimati da infortuni o perché siamo scarsi. Non è più la stessa cosa perché oggi mancano uomini con le palle. Siamo pieni di eunuchi. In abbondanza, in concentrazioni mai viste dalle parti di Corso Galfer. Ad ogni livello. E se il pesce marcio puzza dalla testa, ovvero dalla proprietà, figuratevi il resto. Le prime immagini giunte da Minsk (non Borisov, perché il tremendo Bate ha uno stadio grande quando il campo più scassato di Vinovo) mi hanno subito fatto sobbalzare. Sarà la febbre, pensavo. E invece no. Il Principe degli eunuchi l’aveva pensata bella per il ritorno ad una trasferta europea di quella squadra che un tempo era la Juventus F.C. Aveva dato libero sfogo ai suoi deliri onirici, schierando contemporaneamente De Ceglie, Giovinco, Del Piero, Camoranesi, Nedved e Iaquinta.
Nemmeno Zeman avrebbe osato tanto. Io non so più cosa dire di questo signore, fa più sciocchezze in una partita che un allenatore di calcio in tutta la stagione. Forse non gli par vero di poter gestire una volta nella vita qualche giocatore dal grande passato e di sedere su una panchina che, nella Juve in versione originale, avrebbe forse visto come avversario, nelle vesti di tecnico di qualche pericolante. Un uomo sorpreso dall’inizio veemente dei dopolavoristi bielorussi, da lui definiti una buona squadra nel dopogara. Un uomo che lascia senza parole, che dopo Genova ci aveva irritato e oggi a me ha sinceramente fatto pena. I
primi 30 minuti di questa gara devono rimanere nella memoria di tutti coloro i quali hanno legato la propria passione al bianconero. Sono il perfetto esempio di tutto ciò che la Juve non è mai stata. Squadra molle, svagata, senza grinta, impreparata. E gli avversari erano i più scarsi di tutti gli otto gironi di Champions League. Per generosità e con molti “smiles” è sembrato doveroso regalargli un punto, che sarà forse fondamentale in chiave qualificazione UEFA. Ma in campo succedono cose che non appartengono alla storia della Juve, non le sono mai appartenute.
La perla prima del gol dello svantaggio, con Legrottaglie e Chiellini che si sgolano per 5 minuti verso la panchina per avvisare dell’infortunio occorso al difensore pugliese. Urla inascoltate fino a quando i bielorussi trovano una prateria e vanno in gol con il buon Nicola immobile in quanto menomato. Episodio che Ranieri nel dopo gara lega al gol del 2-0. Viene da chiedersi se ciò sia frutto di una svista o di una forma di trance.
Dopo il 2-0 ci pensa il più piccolo e fin qui quasi ostracizzato Giovinco (uno che eunuco non lo è manco di striscio) ad innescare Vincenzo il Generoso, che vive una serata di parziale gloria personale proprio grazie al piccolo genio. Le note liete si fermano qui, però. Se proprio vogliamo esagerare, salviamo il De Ceglie del secondo tempo e con lui il grintoso Marchisio, quando l’inquilino abusivo della panchina bianconera decide di porre un parziale rimedio al suo sciagurato armeggio iniziale.
Per il resto, notte fonda. Ma proprio notte nera, da paura. Squadra senza uno straccio di gioco, senza un minimo fraseggio logico, soprattutto senza anima.
 
L’anima, già. Quella che dovrebbe essere plasmata dalla vecchia guardia e dall’allenatore. Appurato che l’allenatore non sappia fare il suo lavoro, per sua stessa ammissione (“sapevamo che avrebbero giocato così, ma ci hanno sorpresi. Non riuscivamo ad arginarli in nessuna parte del campo”), la Vecchia Guardia stasera ha letteralmente deluso. Camoranesi schierato in mezzo ripete la stessa gara di Genova: nullo. Nedved confusionario e pasticcione, sembra sparire e nascondersi: non è più Nedved, questo. Chiellini, stasera, è sembrato in linea con le peggiori esibizioni tecniche di Materazzi. Grygera: il sogno è già finito. Sissoko scavalla chilometri che infiammano gli animi ma sbaglia appoggi che mettono angoscia ai già pavidi compagni, portiere compreso. A proposito, Manninger conferma un’impressione già suscitata in altre occasioni: non esce nemmeno se gli rubano la macchina in garage.
Capitolo a parte merita il capitano Del Piero. Lui, simbolo della storia juventina dopo Boniperti, recordman bianconero in molte graduatorie, destinato a diventarlo in tutte, un collezionista incallito di primati. Lui ha dato molto alla Juve, la Juve ha restituito molto di più a lui. E’ storia, i sacrifici e le rinunce che la Juventus ha fatto per Del Piero non hanno precedenti. E lui come la ripaga? Considerandola cosa sua, probabilmente sentendo meno suoi quei due scudetti revocati in quanto figli di una gestione che lo vedeva prezioso grimaldello al momento opportuno ma non più icona assoluta. Non più centro dell’Universo. Cosa c’entra con la gara di stasera, direte. C’entra eccome. Da quando si è liberato di “certe” presenze, il capitano “sarò sempre al tuo fianco” fa in campo quello che gli pare. Ignora spesso i compagni per intestardirsi in inutili e sterili personalismi e soprattutto colleziona gare come quella di stasera, dove l’emblema della sua prestazione sta nell’egoismo, nell’avidità e nell’arroganza infantile che mostra nell’impossessarsi del pallone ogni qualvolta l’arbitro fischi una punizione con la porta a meno di trenta metri. Con altri specialisti in campo a guardare l’immancabile trasformazione stile-rugby. E quando c’entra lo specchio, il capitano non trova parabole memorabili quali quella vincente con lo Zenit. O molto più verosimilmente, tra i dopolavoristi bielorussi, non c’è uno peggio di Malafeev.
Mediti Del Piero, se diventare juventino come Boniperti vuol dire essere tifosi di se stessi è sulla buona strada. Essere juventini e fare gli interessi della squadra è una cosa completamente diversa. Non scomodo paroloni come “amore” e “sentimenti”, mi basta chiamare la cosa con il suo nome: serietà professionale. Sarebbe ora di mostrarla.