Tutti colpevoli. In primis, chi comanda

ranieri, blancLa partita che doveva essere giocata a porte chiuse, vicenda grottesca sulla quale si sono spesi fiumi di parole a sproposito (un classico del panorama di questa povera “Itaglia”), si gioca invece a porte aperte, e non stiamo parlando solo dei cancelli dello stadio, ma anche della porta della Juve.
Il pubblico, anche se non molto numeroso (e per i responsabili della triennale agonia juventina, forse è un bene giocare in uno stadietto da provinciale davanti a poche migliaia di tifosi...), innesca una protesta veemente e senza precedenti, significativa di quanto questo sia il momento più basso nella storia della Juventus.
Fischi e cori ripetuti contro dirigenza e allenatore, invocazioni ironiche ad ex quali Torricelli (forse per lo spirito che incarnava), Emerson e Zambrotta (in riferimento al contestato ritorno di Cannavaro, oggi a Perugia per sostenere le visite mediche per conto della Juventus), e, per la prima volta dopo 3 anni, slogan inneggianti a Luciano Moggi (in qualità di figura competente in fatto di calcio).
Moggi, un tempo ritenuto nemico dal tifo organizzato e oggi sdoganato anche dagli ultras, è stato acclamato da chi, evidentemente, si è reso conto di come “stavamo meglio quando stavamo peggio".
I tifosi della curva hanno perso la pazienza e hanno aperto gli occhi.
Meglio tardi che mai.
Dio solo sa quanto un Moggi (non necessariamente lui) servirebbe a questa Juventus, quanto un uomo forte e soprattutto “di calcio” sarebbe necessario.
Uno con le idee chiare, uno con le palle, uno che si faccia rispettare e restituisca dignità ad un gruppo che, tralasciando i limiti tecnici, si sente probabilmente abbandonato a se stesso.
Non c’è nessuno in società che risponda a simili requisiti, e John Elkann dovrebbe finalmente capire che il tempo degli scherzi e delle bugie è finito.
La Juventus è una cosa seria e va affidata a persone serie.
Oppure, caro Ingegnere, bisogna avere il coraggio di farsi da parte e lasciare il “giocattolo Juve” nelle mani di chi saprebbe cosa farsene, o che almeno ne abbia a cuore le sorti, difendendola concretamente.
Perché, esempio odierno, nonostante l’oscenità tecnica mostrata in campo, come già avvenuto più volte nel recente passato, nel dubbio si è scelto di sfavorire la Juventus.
Ciò è accaduto sul gol di Konan (in fuorigioco) e su un intervento che poteva portare alla mancata espulsione dello stesso.
Mentre alla Juventus, alla faccia del teorema calciopolaro sulle ammonizioni mirate, due diffidati vengono ammoniti e salteranno il prossimo turno contro il Milan.
Che poi la squadra giochi da schifo è un altro discorso, e che questi episodi siano irrilevanti in un Juve-Lecce è altrettanto chiaro.
Ma perché da Torino tutto tace? Sempre.
In nome della simpatia?
Quale simpatia, se l'antijuventinismo strisciante si manifesta quotidianamente in ogni settore?
La dirigenza riunisce nello spogliatoio squadra e allenatore a fine partita, presumibilmente per affrontare un momento di crisi ormai irreversibile, ma quale autorità può avere una dirigenza il cui presidente a partita in corso viene pescato con le spalle rivolte al campo mentre, appoggiato alla transenna, conversa e ridacchia amabilmente con una signora?
E questo signore dovrebbe spronare il gruppo?
Inaccettabile.
Com’è inaccettabile vedere il solo Ranieri (anche oggi tatticamente inetto, ma da salvare sul piano personale, abbandonato alla sua solitudine) presentarsi in sala stampa a fine partita, dopo il succitato colloquio, teso e rassegnato nell’esporsi al fuoco dei microfoni.
Mette tenerezza il tecnico romano, col suo arrampicarsi sugli specchi per difendere e coprire le magagne dello spogliatoio, mentre i capoccioni Blanc, Cobolli e Secco sviano i microfoni comportandosi da conigli.
E’ altrettanto inaccettabile vedere una squadra a pezzi, e che i cocci siano sparsi in modo tale da rendere impossibile rimetterli insieme.
Lo schieramento iniziale di Ranieri (un tridente con Camoranesi e Zanetti a supporto) intendeva forse richiamare coraggio e senso della responsabilità negli uomini-simbolo.
Che hanno risposto “assente”, escluso Nedved, sul quale torneremo più avanti.
Le sostituzioni di Del Piero e Camoranesi, irritanti e molli per tutto il primo tempo, sanno di strappo definitivo tra il tecnico e i senatori, posto che Trezeguet viene portato sistematicamente in panchina senza essere mai impiegato, quasi fosse soggetto ad una punizione prolungata.
Cose che, se da un lato sono funzionali alla sostituzione di un tecnico non adatto alla panchina della Juventus, dall'altro denotano una verità sconcertante: troppo potere in mano a pochi giocatori.
I giocatori facciano i giocatori, mai alla Juventus i giocatori hanno deciso i destini di un allenatore e indirizzato le scelte di una società.
Tra i vecchi, quello che sembra essere "neutrale" sembra Buffon, per conto suo ormai abbonato alle chiacchiere e poco avvezzo alle cose di campo, nonostante le plateali e solitarie incazzature e malgrado il buonismo di certi commentatori, ormai abituati a considerare miracolosi certi interventi di pura routine come quello su Tiribocchi.
A questi signori dalla memoria evidentemente corta diamo un suggerimento; il metro di giudizio per il vero Buffon c’entra zero con il normalissimo portiere attuale, e anche gli aggettivi usati a proposito delle sue parate andrebbero un pochino ridimensionati.
Per il resto, parlando di campo, da registrare il solito gol preso facendosi infilare a difesa schierata, dal solito Konan che segna solo contro la Juve, e un’impressione di scollamento tra le fila sinceramente imbarazzante.
Lo dimostra ancora più inequivocabilmente l’atteggiamento della ripresa, con i neo entrati Poulsen (che probabilmente verrà ingaggiato dalla prossima squadra di Altafini, ammesso che ne avrà mai una, visti gli elogi che il buon Josè ha riservato al danese con gli stivali) e Marchionni a cercare di farsi in quattro per il loro mentore Ranieri.
Emblematico l’episodio relativo al festeggiamento sul gol del 2-1, quando, osservando i compagni pascolare vagamente per il prato, Amauri si rivolge alla truppa richiamandola verso Nedved, ennesima dimostrazione di quanto l’entusiasmo non abiti da quelle parti.
Quanto al ceco, beh… lui andrebbe clonato.
La decisione di smettere col calcio a fine stagione (forse indotta dal basso profilo che attende la Juve del futuro) non gli impedisce di dare il massimo in ogni occasione, facendosi anche ammonire per troppa foga così da dover rinunciare ad un ultimo scontro di prestigio, ancora una volta contro quel Milan che rappresenta il cruccio più grande della sua carriera.
Peccato per Pavel, il quale porta il suo bottino personale a quota 7 reti, e la consapevolezza di quanto sia ancora competitivo dovrebbe far riflettere i signori nella stanza dei bottoni, riusciti in un’altra impresa in negativo fra le tante che hanno realizzato in questi tre anni: hanno fatto disamorare della Juve persino uno stakanovista come Nedved.
Nemmeno all'Inter in 100 anni hanno mai visto cose come noi ne stiamo vedendo dal 2006.

 

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