Tutto secondo copione

comogallianiChi ha visto Chelsea-Liverpool si sarà stropicciato gli occhi. Chi ha visto Juventus-Inter si sarà probabilmente addormentato.
Questo è il livello del nostro calcio, un livello scadente, dove la prima e la seconda classificata offrono uno spettacolo indecente, fatto di provocazioni, approssimazione tecnica e svarioni in serie. Chi non aveva coinvolgimenti emotivi per via del tifo, pensiamo agli appassionati di calcio stranieri collegati per vedere la sfida più importante del nostro campionato, probabilmente avrà maledetto la malsana idea di non dedicare la serata ad altro.
La settimana a chiacchiere era stata vinta ancora una volta dalla Nuova Juventus Smile, distintasi per dichiarazioni ormai abituali da parte di tutti gli esponenti del ramo dirigenziale; da Cobolli a Secco, da Blanc a Ranieri, senza dimenticare il principino John Elkann.
Cose molto interiste.
L’Inter ha risposto a tono, com’è nello stile sbruffone del suo allenatore, ma con 10 punti in più, siamo spiacenti, stavolta poteva dire ciò che voleva.
Sul campo, gli uomini di Mourinho non incantano, tutt’altro, ma il vantaggio in classifica concede loro un’invidiabile serenità, anche se Ibrahimovic conferma con la sua ennesima scena muta contro la sua vecchia squadra, di essere più juventino di tutti quelli che vestono la maglia bianconera oggi.
La Juventus offre la solita impressione di squadra fragile, senza qualità e povera di idee, che cerca di aggredire ma nella quale i personalismi fini a se stessi riducono le già scarse possibilità di concretizzare.
La Juve è un gruppo che improvvisa con i nervi a fior di pelle, al quale basta poco per andare sopra le righe. Che poi il solito Farina si comporti ancora una volta da protagonista non previsto è un altro paio di maniche: la grazia a Balotelli che lo sfancula reiteratamente profuma di timore reverenziale, il rosso diretto a Tiago è stretto parente di quello comminato a Camoranesi domenica scorsa, e, usando lo stesso metro di prima, puzza di severità.
Come le barriere a 7 metri per i piazzati bianconeri e a 10 per quelli interisti. Ma funziona così, lo sappiamo, ma è sempre andata così, anche quando ci davano per “protetti” dalla quaterna di gara e ci hanno rovesciato il mondo addosso.
Piuttosto, è cronico il difetto che costringe gli uomini di Ranieri a subire gol al solito modo, ovvero sbilanciati con gli avversari in superiorità numerica. Un classico del repertorio 2008/09, in particolare di questo 2009.
Un centrocampo con i “campioni” Tiago e Poulsen, la sintesi tecnica di questo sciagurato biennio, nulli e dannosi; al danese preferiremmo un Primavera, a questo punto; al portoghese auguriamo di trovare finalmente una squadra di gradimento durante la prossima estate. Imperdonabile, con l’andazzo di questi tempi, il doppio raptus al cospetto di Farina.
I generosi Molinaro e Grygera meritano la sufficienza, Iaquinta è sempre braccato ma fa il suo con coraggio e volontà, mentre il solito Del Piero della seconda metà stagionale, ovvero imbolsito ed egoista, mette tenerezza al cospetto di Samuel e Cordoba, reattivi il doppio rispetto al ricordo del numero 10 juventino.
Il piccolo Giovinco, ostracizzato un po’ da tutti, entra e gioca semplice non più di due/tre palloni, ma sono sufficienti per dare un briciolo di vivacità ad un gruppo morto e sepolto. Nedved giocava il suo ultimo Juve-Inter: grazie di tutto, riconoscenza eterna e arrivederci. Non sarà facile sostituirti, esterno o trequartista che sia. Ammesso che sarà.
Marchionni manca per due volte il controllo decisivo a tu per tu con Julio Cesar: una roba che non si può vedere.
L’anima sulla quale ricostruire è Chiellini, che, tra limiti tecnici e generosità eccessiva (che lo porta a fare errori grossolani), non molla mai e, come si dice, getta il cuore oltre l’ostacolo.
Dubitiamo comunque che qualcuno in società abbia la competenza necessaria ad affiancargli gente all’altezza.
Buffon per una sera torna Buffon, e rinvia il vantaggio nerazzurro con un paio di interventi decisivi, forse stimolato dal confronto con chi attualmente gli è superiore. Il pareggio è il risultato che tutti volevano, anche se scaturito per caso, e la soddisfazione dei giocatori fa il paio con l’esultanza dello stadio intero, che invece di contestare come qualche mormorìo settimanale aveva preannunciato, non trova niente di meglio che insultare Balotelli per tutta la gara ed esplodere in un’ovazione al gol di Grygera: manco fosse il gol decisivo nella finale di Champions League.
Questione di ambizioni e di obiettivi.
Che per la Juve attuale sono quelle di vivacchiare ed accontentarsi, ascoltando il dopo partita ossequioso nei confronti degli eterni secondi, oggi divenuti primi con la benedizione della proprietà bianconera, evidentemente ammirata dallo stile di Moratti e co. tanto da ricalcarne le gesta.
In peggio.
Una tristezza constatare quanto noi si sia diventati l’Inter, e loro una copia sbiadita della vecchia Juve. Copia sbiadita perché, pur avendo in mano la gara, nemmeno stavolta i nerazzurri son riusciti a chiuderla, malgrado la superiorità numerica e l’avversario in stato comatoso.
Ecco perché con un minimo di convinzione in più, un minimo di coraggio e di furbizia in più, vincere questo campionato era tutt’altro che impossibile.
La sconfitta pomeridiana del Genoa, che solo sette giorni orsono aveva strapazzato la Juvetta di Ranieri, lascia tranquilli in chiave Champions League, anche se per il secondo posto “da non mancare assolutamente” (John Elkann) sembra farsi dura, con il Milan che domani avrà l’occasione per raggiungere i bianconeri e mettere la freccia attendendo lo scontro diretto.
Che stagione strepitosa…
Ma va bene così: all’Inter lo scudetto com’era nelle previsioni (o nei patti?), a noi la possibilità di giocare la semifinale di Coppa Italia sperando di ritrovarci a Pechino ad agosto.
Per soldi.
Che è quello che interessa alla proprietà della Juventus.
Restano da convincere Lotito e poi, eventualmente, Garrone.
Intanto tu, tifoso, corri ad abbonarti e sogna i campioni.
Ce ne promisero 3, di "campioni di livello internazionale", tre anni fa.
Stiamo ancora aspettando il primo.

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