La Juve dura un tempo, Tagliavento ascolta "il vento"

iaquintaDoveva essere una semifinale di Coppa Italia, lo è stata ma è stata soprattutto molto altro.

Perché la partita dice tre cose fondamentali:

(1) la Juve ha l’autonomia di un tempo, turnover o non turnover, perché Ranieri cambia sette uomini come già contro il Napoli, rispetto al match di Londra, ma i risultati non si vedono.

(2) L’Amauri edizione 2009 (1 gol in 12 partite) ha la lingua che striscia per terra, sbaglia le cose più elementari ed è lo specchio dell’usura fisica della squadra.

(3) Se l’allenatore dell’Inter, tra un’idiozia e l’altra, ha avuto tempo per seguire la partita, converrà con noi di quanto i suoi sproloqui abbiano ottenuto il risultato sperato.

La partita si sviluppa esattamente al contrario rispetto alla gara di campionato giocata in gennaio. Allora la Juve regalò il primo tempo agli avversari, giocandosi l’opportunità di portarsi ad un solo punto dall’Inter, stasera aggredisce la Lazio dall’inizio e crea tre occasioni da gol nei primi minuti, con un voglioso Iaquinta su tutti. Il calabrese, il gol lo troverebbe anche, regolarissimo, su perfetto assist di Tiago (buona la prova del portoghese, finchè regge il fiato), ma il guardalinee, in netto contrasto ai dettami del “designatoremeglioretribuitodelluniverso” (ovvero: nel dubbio, lasciar correre) alza la bandierina quando non dovrebbe. Era una chiamata identica a quella che alla Juve è costata il gol di Drogba, solo che in Europa vedono correttamente, da noi si sbaglia in base ai colori delle maglie. Perché, per agganciarci alle deliranti dichiarazioni rilasciate oggi dall’allenatore del secondo club di Milano (quello che fa ridere dal 1908), quello sanzionato a Iaquinta non è assolutamente fuorigioco, e nel caso lo fosse stato, non avrebbe avuto nulla a che fare con quello di Siena-Inter, ovvero l’esempio di quello che definiremmo fuorigioco “di massa”, visto che in off-side (di metri, non rilevato) in quel caso ci finirono in 5. La differenza rispetto ad altri, è che con la Juve non si vedono capannelli di giocatori o tesserati assortiti urlare o scagliarsi fisicamente verso il direttore di gara, ma si continua a giocare. E poco dopo gli uomini di Ranieri passano con un gol buono, per fortuna. Succede come sabato scorso, che un tiro (di Marchisio sabato, di Marchionni stasera) destinato ad uscire venga deviato da un avversario e diventi buono per lo specchio della porta, con Muslera che interviene ma non può evitare che la palla finisca in rete. Troppa grazia due autoreti a favore in tre giorni? Può essere, ma c’è anche chi ne ha avute due in una sola partita, e una delle due ancora oggi non sappiamo se fosse gol oppure no. Tanto per rinfrescare ulteriormente la memoria a certi individui dalla chiacchiera facile. Da quel momento la Juve arretra e Manninger si mette in evidenza in un paio di occasioni, ma tutto sommato per Chiellini e compagni la situazione pare in controllo. Nella ripresa invece, la Lazio alza il ritmo e sfiora il pareggio in diverse occasioni, la Juve non riesce a far ripartire il contropiede soprattutto perché Iaquinta, pur battendosi con grinta e mostrando buona condizione, è troppo solo e Amauri non lo supporta adeguatamente. Il brasiliano ha tirato troppo la carretta (tra partite intere e spezzoni, il suo nome compare nei tabellini di tutte le partite ufficiali di questa stagione) ed ora sembra decisamente in riserva.

Il centrocampo subisce le verticalizzazioni della Lazio, Sissoko (già ammonito) non riesce a dare quanto potrebbe o vorrebbe, e anche in questo senso la direzione di Tagliavento lascia parecchio a desiderare. Un solo dato: partita grintosa e ad alto ritmo, cinque ammoniti per la Juve (“arbitraggio un po’ “cinese”, per noi aveva sempre pronto il giallo”, dirà Ranieri nel post partita) e due soli per la Lazio, con Matuzalem risparmiato da un secondo giallo per fallo evidente su Chiellini sul risultato di 1-1. Passiamo oltre, è meglio. Pandev e Foggia mettono in difficoltà sul piano del ritmo e della rapidità i difensori juventini e prima il macedone, poi Rocchi ribaltano il risultato, meritatamente, con la squadra di Ranieri che cede di schianto. A nulla servono i cambi di Marchisio per Sissoko e men che meno quello di Poulsen per Tiago. A proposito del danese con gli stivali, ci permettiamo di scomodare un simbolo oscuro della Juve zoffiana, umile e operaia ma concreta e, nel suo piccolo, vincente: Aleinikov. Il bielorusso, in confronto all’ex centrocampista del Siviglia, si fa ricordare come fosse una specie di Rijkaard. La Lazio rallenta ma potrebbe far male ancora, la Juve non ne ha più, e in previsione di derby e Chelsea (che vince anche stasera a Portsmouth; gol di Drogba, tanto per cambiare…), un’autonomia di 50 minuti non è granchè eccitante. Note positive della serata, il risultato comunque alla portata, la verve di Iaquinta, l’intraprendenza di Molinaro (alla seconda gara consecutiva positiva, dopo il disastro di Stamford Bridge), il buon primo tempo di Tiago e la grande prova di Manninger, che conferma quanto sia preferibile avere un buon portiere e una grande squadra, piuttosto che avere un grande portiere e una squadra appena buona. Ci riflettano in Corso Galfer. Ci vuole più cinismo, freddezza e calcolo, basta buonismo. Imparino da quello che è successo oggi, dagli sberleffi (gli ultimi in ordine di tempo) ricevuti dalle parti di chi fino a ieri ci ha cannibalizzato, condannato e avvelenato e al quale loro (i dirigenti) offrivano sempre l’altra guancia, oltre che l’onore e i giocatori determinanti. Speriamo che lo “stile Inter“ ironicamente (ma nemmeno troppo) così definito da Ranieri questa sera, apra finalmente gli occhi a questi signori che sembrano vivere in un mondo tutto loro, fuori dalla realtà odierna. Per "loro", intendiamo tutti i tesserati della Juventus, allenatore compreso. Noi li avevamo aperti da tre anni. La misura è colma, lo stile in questo calcio, in questo paese (minuscolo ovvio) non esiste. Che Inter-Juve torni ad essere quella che è sempre stata, siamo troppo diversi e inconciliabili, non c’è niente di più ipocrita di una pace artefatta.