Ritratti: Didier Deschamps

Didier DeschampsUn francese nato il 12 ottobre 1968 in una citta fluviale, Bayonne, quasi affacciata sull'Atlantico, Paesi Baschi francesi. Una città assolutamente non banale, la città della baionetta, inventata dai cittadini, i bayonnais, durante le guerre contadine del XVII secolo, quando, rimasti a corto di polvere da sparo, si ingegnarono applicando ai fucili i loro coltelli da caccia. Una città nella quale lasciò un profondo segno persino Napoleone Bonaparte: qui destituì il sovrano Carlo IV di fatto assoggettando al suo impero la Spagna, nominando il fratello Giuseppe come reggente. Con simili requisiti, per chi ha visto giocare e ha sentito parlare di Deschamps, è difficile non riconoscerlo come figlio della sua terra. Un giocatore dalla tenacia incredibile, dalla personalità da leader riconosciuto più dai compagni che dai critici, categoria sempre alla ricerca del numero estetico e del colpo a sensazione, per i quali Deschamps non è mai stato la stella del gruppo. Ne era invece indiscutibilmente il Capo, in campo e nello spogliatoio.
A dispetto del fisico minuto (1,74 cm x 72 kg di peso) il suo ascendente era enorme. Un piccolo Napoleone, al quale tutti gli allenatori che ha avuto facevano riferimento sia in campo che fuori. Sin dagli esordi con il Nantes, squadra con la quale esordisce in Ligue 1, le doti di temperamento, carattere e senso tattico da perfetto allenatore in campo ne fanno il punto di riferimento, il cervello della squadra. A dispetto della poca incisività sotto porta e di doti tecniche normalissime, il gran senso della posizione, due polmoni inesauribili e l’abilità nel tackle completavano il profilo di un giocatore apparentemente normale, ma in realtà insostituibile. Per dirla alla Spike Lee, lui era quello che faceva sempre la cosa giusta.
Dopo una prima parentesi marsigliese, appena superati i 20 anni (con relativo primo titolo nazionale e Coppa di Francia), Didier va a Bordeaux, dove matura giocando una grande stagione e meritandosi il ritorno al club biancazzurro, che avviene in un momento di mestizia per i campioni, reduci dalla sconfitta in finale di Coppa dei Campioni a Bari contro la Stella Rossa di Jugovic e Savicevic. Il Marsiglia di Tapie in quel periodo, per la Francia, è una specie di Lione degli anni Novanta, dominante in Patria ma, a differenza del club di Aulas, altrettanto grande in Europa, dove più volte fa la voce grossa.
Memorabili le scoppole che in quegli anni la squadra di Goethals rifila al Milan del profeta Sacchi prima e del burbero Capello poi. In particolare contro la squadra del tecnico friulano il Marsiglia vince la Coppa dei Campioni 1993 entrando nella storia quale primo e tuttora unico club francese a fregiarsi del massimo alloro continentale. Quella sera Deschamps è in campo con la maglia numero 11, ma il ruolo è sempre lo stesso: quello del Capo. Dopo il trionfo, si addensano nubi sul patron Tapie, personaggio discusso ed estroverso, le indagini toccano il calcio e gli inquirenti giungono alla conclusione che il Valenciennes sarebbe stato corrotto per agevolare il successo dei marsigliesi, vicenda che costerà la revoca del titolo conquistato nel 1993 dal club del "Vélodrome" (titolo che per la cronaca non venne assegnato a nessuno...) e ne sancirà la retrocessione in Ligue 2 alla fine della stagione 1993/94.
Deschamps lascia allora l'O.M. e si trasferisce alla Juve nell'estate post-mondiale americano. E' una Juve nuova, che non vince lo scudetto da 9 anni e ha appena cambiato molto, in campo e dietro le scrivanie. Purtroppo Didier è alle prese con un serio infortunio alla caviglia che lo tiene lontano dall'attività per più di metà stagione, ma un finale sfolgorante gli consente di farsi apprezzare e di ricevere i convinti complimenti di Lippi. Il Mister lo elogia come e più di quella che era stata la più brillante novità del trionfale scudetto numero 23, il portoghese Paulo Sousa, che viene invitato dal tecnico viareggino a prendere esempio dal francese in quanto a duttilità, sacrificio e intelligenza tattica. Il centrocampista lusitano non la prende bene, l'anno successivo assaggia spesso la panchina e dopo la vittoriosa finale di Roma si trasferisce a Dortmund, con le chiavi del centrocampo juventino ormai saldamente in mano a "Didì".
In cinque anni di Juve, Deschamps vince 3 scudetti, 1 Coppa Italia, 2 Supercoppe italiane, 1 Champions League, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Supercoppa Europea.
E' il motore della Juve più performante della storia a livello europeo, con tre finali di Champions League consecutive raggiunte alla quale va aggiunta la finale UEFA dell' anno del debutto in Italia.
Una squadra che scrive alcune delle pagine più belle della storia del calcio italiano a livello europeo, le notti di Amsterdam, Manchester '96, Tokyo, Parigi, i trionfi contro le grandi rivali italiane.
Una serie che si interrompe nella serata balorda di semifinale contro il Manchester United che rimonta uno svantaggio di 2-0 imponendosi per 3-2 a Torino, sancendo la fine di un percorso senza paragoni nel calcio moderno. E nonostante il subentrato tecnico Carlo Ancelotti gli chieda più volte di rimanere, per facilitare la ricostruzione, Didier resta coerente anche in quell' occasione, chiudendo il rapporto da calciatore con la Juve e trasferendosi in Inghilterra, chiamato dall'amico Gianluca Vialli, che lo volle al Chelsea, club del quale il cremonese era diventato manager.
Un addio ai colori bianconeri, un ciclo che si chiude, come si chiude il ciclo dei suoi successi internazionali con i clubs. Perché con la Nazionale francese, il ciclo magico si era appena aperto l'estate precedente, quella del 1998.
Il 12 luglio di quell'anno, in una Parigi in delirio e ai piedi del suo compagno di club Zidane, Deschamps aveva avuto il privilegio toccato a meno di una ventina di calciatori nella storia: alzare la Coppa del Mondo da capitano. Il capitano, primo giocatore francese a raggiungere quota 100 nella graduatoria delle presenze con "les bleus" (finirà con 103, arricchite da 6 reti), il piccolo Generale che in campo aveva più autorità dei Blanc, dei Desailly, dei Thuram, gli altri leader dello spogliatoio transalpino. Il capitano, che all'Europeo del 2000 ripeterà la stessa scena del 1998, sollevando la Coppa davanti a molti suoi ex compagni di squadra juventini, sconfitti in quella rocambolesca gara di Rotterdam, manco a dirlo, da un gol di un (allora) prossimo juventino. Quella scena è anche il degno finale della carriera da calciatore di Deschamps, che fa seguire un ultimo anno a Valencia, dove arriva ambizioso ma chiude con spiccioli di presenze. A 33 anni ancora da compiere, intelligentemente, decide che è ora di chiudere una porta e aprirne un' altra, la più naturale possibile, quella da allenatore.
Trova subito il Monaco, che costruisce senza molti soldi, affiancando giovani promesse poi nemmeno tanto mantenute (Givet, Squillaci, Rothen, Evra) a giocatori di esperienza di discreto livello ma sostanzialmente ritenuti "scarti" dei grandi clubs (Roma, Nonda, Morientes, Giuly) e qui realizza un piccolo capolavoro. Durante la Champions League del 2004 stupisce l' Europa per la qualità del gioco, frizzante ma non scriteriato, portando il club del Principato ad eliminare il Real Madrid dei "galacticos" e il Chelsea di Ranieri alla prima stagione dell'era Abrahmovic, giungendo fino alla finale di Gelsenkirchen dove viene però sconfitto dal Porto dell’emergente Mourinho, squadra con più qualità di quella monegasca.
In quei giorni, il nome di Deschamps viene insistentemente accostato a quello della Juve, appena separatasi per la seconda volta da Marcello Lippi e, probabilmente, aspettando la Juve Didier perse il Chelsea di Abrahmovic, per il quale il basco era la prima scelta, alla faccia dello Special One. Alla fine, a Torino prevarrà la linea che porterà all'ingaggio di Fabio Capello. Didier resta a Monaco ma la stagione successiva si rivela negativa e l'annata 2005/06 vedrà il francese senza panchina. Ma il ritorno alla Juve è solo rimandato: è nell'estate del 2006, quella che resterà per sempre come una cicatrice profonda nell' animo juventino, che proprio da Didier arrivano le poche tracce di vera juventinità espresse dalla Nuova Dirigenza. Dall'accettazione del pesante incarico di guidare una squadra in serie B a -30 di penalizzazione, come da prima sentenza calciopoliana, allo stupore e allo smarrimento mostrati la sera del 31 agosto 2006, una volta informato della decisione di rinuncia al TAR presa dal CdA societario. La sensazione che avesse avuto ben altre rassicurazioni fu forte quando tutti lo sentimmo commentare la vicenda, il cui esito venne comunicato alla squadra dopo la fine del trofeo TIM, a Milano, forse un segno del destino.
Deschamps accolse la notizia pallido e sbigottito, ma dentro covava rabbia, come rivelò la frase: "Ora ci dovranno spiegare le motivazioni di questa scelta..". Si disse persino che in quelle ore Didier rassegnò le dimissioni, cosa non confermata ma tuttavia verosimile conoscendo il carattere del soggetto. Al di la di tutte le disquisizioni tecnico-societarie, è innegabile che il momento nel quale Deschamps prese in mano la squadra fu, dal punto di vista storico, il peggiore possibile. Lo spogliatoio, con i senatori rimasti controvoglia, doveva essere non facile da gestire e, malgrado la debordante superiorità tecnica, tenere le fila di un gruppo simile merita un plauso, soprattutto se consideriamo che i segnali provenienti dalla società davano la sensazione di precarietà, inadeguatezza e incapacità comunicativa.
In questo marasma, il piccolo Napoleone della panchina riuscì a valorizzare (seppur in Serie B ) alcuni giovani ereditati dalla precedente gestione, i vari De Ceglie, Palladino, Venitucci, Bianco, Marchisio e Giovinco, tutti giocatori ormai affermati a livello professionistico, alcuni dei quali pronti per affrontare la prossima stagione in bianconero.
Anche se la vera grande intuizione fu quella di impostare un buon terzino sinistro come Chiellini nel ruolo di difensore centrale, ruolo che oggi fa del ragazzo toscano il miglior interprete dell' intero panorama italiano (Cannavaro a parte), con prospettive di miglioramento enormi.
Compiuta la missione "Juve in A", Deschamps si scontrò, per "divergenze insanabili", con la società. Tema della discordia: il mercato. La società accennò a presunte pressioni fatte da Didier nel perorare la causa del suo agente Jeannot Werth (lo stesso che portò Boumsong), quale consulente privilegiato del club. Ma in realtà sembra che la lite sia sorta sui nomi (e soprattutto i costi) per i rinforzi alla squadra suggeriti da Didier, che pare non fossero propriamente in linea con le intenzioni degli acquirenti dei Tiago, degli Almiròn, degli Andrade e dei parametri zero. Sta di fatto che le ultime due giornate di campionato 2006/07 videro Corradini in panchina (con lo scempio di Juve-Spezia) e Deschamps a casa, dimissionario. Nel periodo successivo, il suo comportamento, dal punto di vista dello stile, è sempre stato impeccabile, riconoscendo la propria responsabilità per alcuni errori e per la troppa impulsività, ma manifestando sempre rispetto e amore per i colori bianconeri.
L'unico sassolino nella scarpa se lo tolse a caldo, appena dimessosi per le succitate "divergenze", con un laconico: "Adesso prenderanno uno che si accontenta...".
E sfortunatamente, a poco più di un anno di distanza, gli eventi ci hanno confermato quanto quelle parole fossero profetiche.