Ravanelli, con la Juve nel cuore

ravanelliAlla faccia del gregario. Ravanelli è stato un protagonista assoluto, un grande giocatore della Juve “lippiana”, che riportò lustro e trofei in una bacheca bianconera che si era impoverita terribilmente alla fine degli anni Ottanta ed inizi dei Novanta.
Arrivato nel 1992 come riserva delle riserve, “Rava goal” divenne un titolare inamovibile di quella Juve che raggiunse l’apice nella notte di Roma, maggio '96, quando trionfò in Champions League. Fu proprio lui a realizzare la rete dell’1-0, con un abile colpo sull’uscita del portiere olandese, esibendosi in una corsa sfrenata fatta di gioia incontenibile subito dopo il goal.
Com’erano lontani quei tempi in cui soffriva in panchina, mentre la sua Juve lottava sui campi di gioco di tutta Italia! Sì, la sua Juve. Perché “Rava goal” è sempre stato vero tifoso juventino, portando sin da bambino nel cuore i colori bianconeri. Felice di vestire la sua gloriosa maglia ringraziò Boniperti che lo aveva acquistato e prese subito coscienza della realtà: per lui in squadra non ci sarebbe stato posto, vista la presenza là davanti di Moeller, Casiraghi, Vialli e Roby Baggio. Grossi problemi, quindi, per un generoso come lui. Decise di affrontarli a muso duro, conquistando mese dopo mese, rete dopo rete, la fiducia del Trap, che gli concedeva sempre più spazio con il passare del tempo.
Era un calciatore fortissimo fisicamente, mancino puro, abile di testa ma con le movenze che apparivano leggermente sgraziate e con i fondamentali da rivedere e correggere. Fu così che il Trap iniziò a lavorare sul nuovo arrivato proprio su queste basi, intuendo da subito che Rava era ambizioso e voglioso di crescere per la sua Juve. Ecco che il ragazzo del Trasimeno migliorò sensibilmente ed incredibilmente le sue performances, sotto gli occhi proprio del suo maestro Trap, che iniziò a schierarlo sempre più spesso, godendosi le sue prestazioni fatte di reti utilissime alla squadra.
Ma la svolta arrivò definitiva sotto la guida di Marcello Lippi, che inventò una formula molto spregiudicata e coraggiosa, dove gli attaccanti dovevano sacrificarsi per novanta minuti: un 4-3-3, con Ravanelli, Vialli e Roberto Baggio (poi Del Piero) che fungevano da attaccanti universali, nel senso che dovevano ripiegare a centrocampo per pressare gli avversari. Nacque così un vero campione a tutto campo, indispensabile per il tecnico viareggino, che difficilmente lo faceva riposare nella sua squadra travolgente, diventata un vero rullo compressore. Oltre al sacrificio Fabrizio si dedicava anche ai goal, segnandone a grappoli, anche di bella fattura, come quello che realizzò a Parma, nella partita che lanciò la Juve verso lo scudetto numero 23, dopo nove anni di digiuno. Il Parma era passato in vantaggio con l’ex Dino Baggio, poi, dopo il pareggio di Sousa, la squadra bianconera dilagò proprio con lui, con un colpo di testa straordinario in tuffo. Dopo quel bellissimo gesto tecnico e acrobatico le menti di tutti i tifosi volarono con il ricordo verso l’altro “Penna Bianca”, Bettega, che quel giorno applaudiva in tribuna con gli occhi lucidi di commozione. Quella rete di Fabrizio fu paragonata ad un suo goal alla Finlandia, con la maglia azzurra, realizzato a Torino nel 1977. Quel giorno Bobby segnò un poker di reti che è entrato nella storia del calcio italiano.
“Una squadra di Marines”, adorava chiamarla Fabrizio quella Juve: la sua Juve, la nostra Juve. Effettivamente si trattava di un gruppo di giocatori molto affiatati, che remavano tutti nella solita direzione, verso il porto dello scudetto, che arrivò trionfalmente, insieme alla Coppa Italia, con Ravanelli, autore di ben trenta reti complessive, divenuto un idolo irresistibile per gli ultrà della Curva Bianconera. Indimenticabile resterà il coro che i tifosi gli dedicavano ad ogni gara: “ Nella curva della Juve c’è una grande novità, è Fabrizio Ravanelli grande amico degli ultrà!!”.
Un amore grandissimo che Fabrizio corrispondeva in pieno: “ Sono uno di voi”, ripeteva di continuo.
Effettivamente era proprio così: quel bambino, che si recava allo stadio con il padre, trasportando una bandiera bianconera più grande di lui, era cresciuto, divenendo un campione juventino, ma mantenendo quella semplicità fatta di una purezza e una genuinità che lo facevano amare da tutti i tifosi.
Anche la Nazionale si accorse di lui. Alla fine saranno 22 presenze con otto reti.
Oltre alla rete all’Ajax in finale di C.L., ci sono altre tre belle immagini del nostro “Rava goal” che ricordo con piacere e commozione.
La prima è alla fine della partita di Coppa Uefa con il CSKA, quando Fabrizio uscì dal campo di gioco con il “pallone ricordo” sotto braccio: aveva appena segnato cinque reti in un match europeo, un record inattaccabile.
La seconda è al momento della sua dedica ad Andrea Fortunato, che ci aveva lasciato poche settimane prima della conquista del tricolore numero 23: Fabrizio piangeva con il dolore nel cuore, ripensando al suo amico mentre correva come un levriero sulla fascia sinistra. Erano lacrime vere.
La terza è durante lo scandalo di Calciopoli, 2006, quando per le vie di Torino fu organizzata una mega sfilata di tifosi juventini, che protestavano vivamente contro la farsa che ci avrebbe portato miseramente in Serie B: lui era alla testa del corteo, in prima fila, con la maglia bianconera addosso, la maglia della sua vita, che porterà per sempre nel cuore.
Fabrizio Ravanelli: “Uno di noi!”.

Riccardo Gambelli- Tratto dal libro "I nostri campioni", edito dalla Bradipolibri