Agnelli, il ministro e... i bulloni

andrea agnelliPare che il problema sia Andrea Agnelli. Il quale, come dice l'onorevole ministro in tarda sera, “è solo un bugiardo”, che però il pomeriggio successivo, sempre per l'onorevolissimo ministro diventa “solo un po' bugiardo”. In realtà, per come la vedo io, il problema vero di Andrea Agnelli è che si è fissato di fare il proprio mestiere. Pensate un po'. In questo Paese dove tutti si occupano di altro, dove non c'è pensionato, o metalmeccanico, o venditore porta a porta, che non abbia in tasca la soluzione per la crisi, dove non c'è nessuno che non sia certo di avere la formazione perfetta per la Nazionale di calcio, in questo Paese dove, mal che vada, ci si può sempre riciclare in politica, che tanto lì prendono proprio tutti e un posto nel CdA di un ente inutile non si nega a nessuno, questo “giovin signore” si è intestardito nel voler fare proprio quel che è stato chiamato a fare.
Cioè il presidente di una squadra di calcio, che è anche una grande azienda, per la quale, visto il settore in cui opera, l'immagine è un valore assoluto, non negoziabile, come direbbe qualcuno. Bene, cercherò di farla semplice, così la capisce anche il ministro. Fate per un attimo lo sforzo di pensare che la Juventus non “produca” calcio e tutto ciò che ne consegue. Lasciamo fuori le questioni di tifo, che per definizione sono irrazionali.

Immaginiamo, che so, che la Juventus sia una grande azienda produttrice di... bulloni. Alcuni tra i migliori bulloni del mondo. Apprezzati e venduti in tutto il pianeta, tanto da generare una passione smodata per i bulloni, fin da quando si è bambini e, anche in conseguenza di questo, fatturati multimilionari.
Ad un certo punto arriva “l'Autorità garante dei produttori di bulloni” (che non esiste ancora ma secondo me prima o poi al Parlamento europeo se la inventeranno), e dice: “Alt, fermi tutti. Tu hai barato. I tuoi bulloni vanno fortissimo perché i tuoi dirigenti telefonano dalla mattina alla sera a tutti quelli che fanno il mercato dei bulloni. Non si fa, non si può, è una vergogna, uno scandalo”.
L'azienda di bulloni, che da quando ha cominciato a produrre bulloni ha accettato di rispettare l'Autorità garante dei produttori di bulloni, ascolta basita, abbassa il capo, allarga le braccia e accetta il verdetto: “Dal prossimo anno, i tuoi bulloni, che prima vendevi in tutto il mondo, potrai venderli solo... nelle Marche”. Ora, con tutto il rispetto e la grande simpatia per le Marche e i marchigiani, capirà anche il ministro che tra vendere i bulloni in tutto il mondo e venderli solo nelle Marche c'è una gran bella differenza. Perché, se non sei un incosciente, intanto devi smantellare gran parte dell'azienda, licenziare operai e dirigenti, dismettere macchinari e magazzini, insomma ridimensionarti notevolmente, cambiare obiettivi e prospettive per diversi anni. In soldoni, ci sarebbe una differenza tra i 150 e i 300 milioni di euro, secondo stime che qualcuno definisce persino riduttive. Nel frattempo, oltre all'Autorità garante dei produttori di bulloni, della vicenda si occupa anche la Giustizia ordinaria, che però, soprattutto in Italia, come ben saprà l'informatissimo ministro, ha un piccolo difetto: quello di essere molto lenta.
Ci vogliono infatti quasi cinque anni perché attraverso il paziente lavoro delle difese di quegli ex dirigenti accusati di ogni nefandezza e l'impagabile impegno di centinaia di volontari che dedicano migliaia di ore a raccogliere, ordinare, archiviare e pubblicare sul web, si riesca a fare emergere un'enorme quantità di documenti, tale da stravolgere completamente il quadro descritto inizialmente dalla potentissima Autorità garante dei costruttori di bulloni.

Di fronte a questa nuova realtà così diversa e lontana anni luce da quella propinata durante l'estate del 2006 con il supporto mediatico martellante di centinaia di tv, radio e giornali nazionali e locali, totalmente genuflessi al “Verbo” dell'autorevolissima Autorità garante dei produttori di bulloni, succede che al signor presidente dell'azienda di bulloni... girano un po' i bulloni. Si chiede, il presidente, se davvero tutto quel che è successo sia normale amministrazione e se l'infallibile Autorità garante dei produttori dei bulloni non abbia, per caso e del tutto involontariamente, si capisce, sbagliato qualcosa. Così si rivolge, come tra l'altro previsto dal “Patto tra produttori europei di bulloni”, all'Organismo supremo europeo di tutte le autorità garanti dei produttori di bulloni, al fine di verificare se, alla luce di quanto emerso oggi, quel che accadde allora trova ancora giustificazione. Ma non lo fa per uno sfizio personale, il signor presidente, non lo fa perché è un “rancoroso”, lo fa innanzitutto perché “è il suo dovere”. E' proprio quel che deve fare il presidente di una società, che produca bulloni o che produca gioco del calcio. Deve difenderla. Nell'immagine e nel valore patrimoniale che anche da essa discende. Lo dovrebbe fare comunque, ma lo deve fare soprattutto perché l'azienda in questione non è sua, o almeno non tutta sua. Se si chiama SpA, certamente lo saprà anche il ministro, significa che la proprietà è divisa in quote, chiamate azioni, parte delle quali sono sul mercato, cioè possono appartenere a chiunque; e per ciascuno degli azionisti il presidente ha il dovere di tutelare ad ogni livello la società, anche e soprattutto sul piano patrimoniale. Poi, per non essere venali e perchè comunque sappiamo che non stiamo parlando di un'azienda di bulloni, nel caso specifico, al di là delle quote e delle azioni, la Juventus “è di tanti”, pare sui 15 milioni in Italia e un paio di centinaia di milioni nel mondo. Se ne faccia dunque una ragione il ministro e se la facciano tutti i benpensanti che non capiscono, non condividono e “la Juventus ha fatto bene... però adesso basta”. Il “basta” non ce lo faremo dire certamente da quella gente lì. Il “basta” lo dovranno dire tutte le sedi competenti a vario livello, tra giustizia sportiva e ordinaria, perché sia fatta pienamente luce su quanto accadde nell'estate del 2006 e ciascuno sia chiamato veramente a rispondere delle proprie responsabilità. A cominciare dal presidente, cui spetta proprio il compito di difendere, con tutti gli sforzi possibili, la società che è stato chiamato a rappresentare. Perché forse, finalmente, uno che fa il proprio mestiere, in Italia, l'abbiamo trovato.

Pare che il problema sia Andrea Agnelli. Il quale, come dice l'onorevole ministro in tarda sera, “è solo un bugiardo”, che però il pomeriggio successivo, sempre per l'onorevolissimo ministro diventa “solo un po' bugiardo”. In realtà, per come la vedo io, il problema vero di Andrea Agnelli è che si è fissato di fare il proprio mestiere. Pensate un po'. In questo Paese dove tutti si occupano di altro, dove non c'è pensionato, o metalmeccanico, o venditore porta a porta, che non abbia in tasca la soluzione per la crisi, dove non c'è nessuno che non sia certo di avere la formazione perfetta per la Nazionale di calcio, in questo Paese dove, mal che vada, ci si può sempre riciclare in politica, che tanto lì prendono proprio tutti e un posto nel CdA di un ente inutile non si nega a nessuno, questo “giovin signore” si è intestardito nel voler fare proprio quel che è stato chiamato a fare.
Cioè il presidente di una squadra di calcio, che è anche una grande azienda, per la quale, visto il settore in cui opera, l'immagine è un valore assoluto, non negoziabile, come direbbe qualcuno. Bene, cercherò di farla semplice, così la capisce anche il ministro. Fate per un attimo lo sforzo di pensare che la Juventus non “produca” calcio e tutto ciò che ne consegue. Lasciamo fuori le questioni di tifo, che per definizione sono irrazionali.

Immaginiamo, che so, che la Juventus sia una grande azienda produttrice di... bulloni. Alcuni tra i migliori bulloni del mondo. Apprezzati e venduti in tutto il pianeta, tanto da generare una passione smodata per i bulloni, fin da quando si è bambini e, anche in conseguenza di questo, fatturati multimilionari.
Ad un certo punto arriva “l'Autorità garante dei produttori di bulloni” (che non esiste ancora ma secondo me prima o poi al Parlamento europeo se la inventeranno), e dice: “Alt, fermi tutti. Tu hai barato. I tuoi bulloni vanno fortissimo perché i tuoi dirigenti telefonano dalla mattina alla sera a tutti quelli che fanno il mercato dei bulloni. Non si fa, non si può, è una vergogna, uno scandalo”.
L'azienda di bulloni, che da quando ha cominciato a produrre bulloni ha accettato di rispettare l'Autorità garante dei produttori di bulloni, ascolta basita, abbassa il capo, allarga le braccia e accetta il verdetto: “Dal prossimo anno, i tuoi bulloni, che prima vendevi in tutto il mondo, potrai venderli solo... nelle Marche”. Ora, con tutto il rispetto e la grande simpatia per le Marche e i marchigiani, capirà anche il ministro che tra vendere i bulloni in tutto il mondo e venderli solo nelle Marche c'è una gran bella differenza. Perché, se non sei un incosciente, intanto devi smantellare gran parte dell'azienda, licenziare operai e dirigenti, dismettere macchinari e magazzini, insomma ridimensionarti notevolmente, cambiare obiettivi e prospettive per diversi anni. In soldoni, ci sarebbe una differenza tra i 150 e i 300 milioni di euro, secondo stime che qualcuno definisce persino riduttive. Nel frattempo, oltre all'Autorità garante dei produttori di bulloni, della vicenda si occupa anche la Giustizia ordinaria, che però, soprattutto in Italia, come ben saprà l'informatissimo ministro, ha un piccolo difetto: quello di essere molto lenta.
Ci vogliono infatti quasi cinque anni perché attraverso il paziente lavoro delle difese di quegli ex dirigenti accusati di ogni nefandezza e l'impagabile impegno di centinaia di volontari che dedicano migliaia di ore a raccogliere, ordinare, archiviare e pubblicare sul web, si riesca a fare emergere un'enorme quantità di documenti, tale da stravolgere completamente il quadro descritto inizialmente dalla potentissima Autorità garante dei costruttori di bulloni.

Di fronte a questa nuova realtà così diversa e lontana anni luce da quella propinata durante l'estate del 2006 con il supporto mediatico martellante di centinaia di tv, radio e giornali nazionali e locali, totalmente genuflessi al “Verbo” dell'autorevolissima Autorità garante dei produttori di bulloni, succede che al signor presidente dell'azienda di bulloni... girano un po' i bulloni. Si chiede, il presidente, se davvero tutto quel che è successo sia normale amministrazione e se l'infallibile Autorità garante dei produttori dei bulloni non abbia, per caso e del tutto involontariamente, si capisce, sbagliato qualcosa. Così si rivolge, come tra l'altro previsto dal “Patto tra produttori europei di bulloni”, all'Organismo supremo europeo di tutte le autorità garanti dei produttori di bulloni, al fine di verificare se, alla luce di quanto emerso oggi, quel che accadde allora trova ancora giustificazione. Ma non lo fa per uno sfizio personale, il signor presidente, non lo fa perché è un “rancoroso”, lo fa innanzitutto perché “è il suo dovere”. E' proprio quel che deve fare il presidente di una società, che produca bulloni o che produca gioco del calcio. Deve difenderla. Nell'immagine e nel valore patrimoniale che anche da essa discende. Lo dovrebbe fare comunque, ma lo deve fare soprattutto perché l'azienda in questione non è sua, o almeno non tutta sua. Se si chiama SpA, certamente lo saprà anche il ministro, significa che la proprietà è divisa in quote, chiamate azioni, parte delle quali sono sul mercato, cioè possono appartenere a chiunque; e per ciascuno degli azionisti il presidente ha il dovere di tutelare ad ogni livello la società, anche e soprattutto sul piano patrimoniale. Poi, per non essere venali e perchè comunque sappiamo che non stiamo parlando di un'azienda di bulloni, nel caso specifico, al di là delle quote e delle azioni, la Juventus “è di tanti”, pare sui 15 milioni in Italia e un paio di centinaia di milioni nel mondo. Se ne faccia dunque una ragione il ministro e se la facciano tutti i benpensanti che non capiscono, non condividono e “la Juventus ha fatto bene... però adesso basta”. Il “basta” non ce lo faremo dire certamente da quella gente lì. Il “basta” lo dovranno dire tutte le sedi competenti a vario livello, tra giustizia sportiva e ordinaria, perché sia fatta pienamente luce su quanto accadde nell'estate del 2006 e ciascuno sia chiamato veramente a rispondere delle proprie responsabilità. A cominciare dal presidente, cui spetta proprio il compito di difendere, con tutti gli sforzi possibili, la società che è stato chiamato a rappresentare. Perché forse, finalmente, uno che fa il proprio mestiere, in Italia, l'abbiamo trovato.